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#Roma: perché dico sì alle zone rosse e no alle multe ai clienti

controllo2di Angela Azzaro

Dai diritti alla repressione. Quando si parla di prostituzione il passo è breve, e anche le migliori intenzioni rischiano da un momento all’altro di fare una brutta fine. E’ quello che sta accadendo al sindaco di Roma Ignazio Marino, che prima sostiene la nobile iniziativa della zona rossa proposta dal decimo municipio guidato da Andrea Santoro, poi se ne esce con la solita proposta populista. Va bene fare le zone dedicate alla prostituzione – dice Marino – ma chi compra prestazioni sessuali al di fuori di queste riceverà a casa una multa di 500 euro. Una punizione reale ma anche simbolica: la multa che arriva a casa è una sorta di delazione, un atto di umiliazione per chi ha commesso un atto così impuro. Gli ha già risposto il Garante della privacy, Antonello Soro, ricordando che viene meno la tutela della privacy: «La notifica delle sanzioni, anche quelle amministrative, deve avvenire con modalità tali da garantire la riservatezza del destinatario e non deve rendere evidente la violazione commessa». Il prefetto di Roma ha criticato invece l’istituzione della zona rossa: «Tutta questa storia è una boutade. Non ci sono riferimenti normativi, anzi una legge c’è: si chiama Merlin. Fare ciò che vorrebbe Marino senza un intervento del governo o del Parlamento è reato: è favoreggiamento della prostituzione». Su questo punto, il reato di favoreggiamento, tornerò dopo.

Intanto partiamo dalle zone rosse. La proposta di Santoro è secondo me una buona iniziativa. Si tratta di creare una zona dove le prostitute e i clienti possano agire liberamente e dove il municipio garantisca una serie di servizi per le sex worker in genere abbandonate a se stesse. Stiamo parlando chiaramente di donne (e ormai qualche uomo) che decidono senza costrizione di vendere prestazioni sessuali. Il rischio, in questi casi, è quello di creare un ghetto, che isola ancora di più le prostitute, e di fare un discorso moralista: teniamo la prostituzione lontana dagli occhi dei “cittadini”, anzi dalla ggente. Ma in un momento in cui le prostitute sono sotto scacco e hanno perso terreno sul fonte dei diritti e della visibilità politica, l’idea di una zona rossa protetta sembra una buona soluzione. A Mestre, lo zoning (si chiama così) è attivo da diversi anni e i risultati sono positivi. Perché non provarci anche a Roma?

Ad opporsi come racconta benissimo la blogger Eretica, in prima linea da sempre per i diritti delle prostitute, sono principalmente: chiesa, femministe che si battono per l’abolizione della prostituzione, e la destra. Le femministe abolizioniste lo fanno perché pensano che le donne che scelgono di prostituirsi non esistono o se esistono sbagliano e devono essere aiutate, come se fossero incapaci di intendere e di volere, a lasciare quel mestiere. La destra perché si va con le prostitute ma non lo si dice e non le si mostra.

Quello che è certo, al di là delle posizioni ideologiche, è che per molte donne, piaccia o no, la prostituzione è un lavoro. Siamo d’accordo che più sono messe nelle condizioni di non essere sfruttate o maltrattate o a rischio meglio è? La zona rossa proposta da Santoro interviene esattamente su questo punto. Non si danno giudizi, si prestano servizi. Poi certo saremmo tutte noi e tutti noi a vigilare perché questo accada, come del resto facciamo per ogni settore della vita comune.

La proposta di Marino di multare i clienti ha invece un segno opposto. Fa pensare che per lui le zone rosse sono solo ghetti e che la prostituzione vada affrontata come un problema di ordine pubblico e non di servizi e diritti da garantire a chi fa liberamente questo lavoro.

Certo, come dice il prefetto il quadro normativo è la legge Merlin: ma oggi viene paura a pensare di modificarla, perché qualsiasi proposta ci riporta indietro, invece che guardare avanti. Eppure si potrebbero fare anche delle modifiche per cambiarla in meglio. Lo sapevate che se due donne lavorano insieme, vengono accusate di favoreggiamento? Questo sia in casa che per strada. A voglia a gridare contro lo sfruttamento, la tratta o la violenza se poi due donne (o tre o quattro o quante vogliono loro) non possono stare insieme perché la legge lo proibisce. In una situazione in cui la prostituzione è ancora considerata un peccato, stare insieme, darsi sostegno è una delle principali risorse per chi fa questo lavoro.

La criminalizzazione dei clienti è un altro grimaldello controproducente, perché giudica sulla base di preconcetti sessuali – il sesso comprato fa per forza schifo (cosa di cui vorrei tanto discutere, ma senza che si tiri fuori la tratta e lo sfruttamento) – e di mancata conoscenza dei problemi reali della prostituzione di strada. Se il cliente finisce sotto accusa, la sex worker sarà ancora più isolata, più soggetta al ricatto.

Insomma ci interessa davvero la vita di queste donne, ci interessano i loro diritti, o vogliamo solo farne terreno di affermazione delle nostre ideologie?

2 pensieri su “#Roma: perché dico sì alle zone rosse e no alle multe ai clienti”

  1. Se la prostituzione fosse un lavoro le prostitute sarebbero evasori fiscali e i clienti andrebbero multati per lo stesso motivo come qualunque altro cittadino che esce da un negozio o da uno studio di professionisti senza scontrino o fattura. Se la prostituzione fosse un lavoro andrebbe regolamentato come tutti gli altri, chiaramente, ognuno in riferimento alla propria peculiarità. Se la prostituzione fosse un lavoro le prostitute andrebbero tutelate da tutti coloro che le sfruttano costringendole a farsi pagare percentuali altissime sulle “loro ” prestazioni. Se la prostituzione fosse un lavoro dovrebbero esserci delle scuole appropriate per imparare a svolgerlo al meglio, addirittura avere una certificazione attestante l’idoneità a svolgerlo. Se la prostituzione fosse un lavoro quale sarebbe l’età giusta per iniziare 18, 20, 25 anni? E quale per andare in pensione 60, 62, 65, anni o magari solo 55? Se la prostituzione fosse un lavoro potremmo insegnare alle nostre figlie che in effetti non serve studiare più di tanto. …potrei continuare ancora! Ma sono sempre più convinta che la prostituzione NON E’ UN LAVORO. Cosa sia in realtà è un parere mio personale troppo lungo da spiegare, ma invito ognuno a farsi una propria idea. Pensare che l’Italia sia un paese basato sul lavoro compreso quello della prostituzione e come sancire che l’Italia sia un paese fondato sullo sfruttamento del corpo delle donne, che forse è vero comunque nella nostra società ancora troppo a misura maschile, ma non può, a mio parere, essere sancito per legge. Viceversa farsi carico di cambiare le cose partendo dalla cultura e soprattutto all’educazione affettiva in generale è senz’altro una delle risposte più coraggiose e oneste che una società può darsi.

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