Malafemmina

Cara mamma: sono precaria e un nipote non te lo faccio!

Quand’è che farai un figlio?” Chiede mia madre. “Mai!” rispondo io che non ho mai avuto la sindrome della madre mancata. Ed è l’estrema sintesi di un botta e risposta che dura già da qualche anno.

Riepilogando. Sono precaria, faccio tre/quattro lavori contemporaneamente, non ho alcuna prospettiva che possa garantirmi autonomia economica oltre la scadenza dei vari contratti. Pago l’affitto di un monovano/sottoscala, saldo le bollette, e sto in una città che non è quella dei miei genitori. Sono arrivata qui per l’università e ci sono rimasta anche dopo perché oramai la mia vita è qui. Lavoro da tanti anni eppure sono sempre considerata una apprendista. Una apprendista con esperienza, ché poi è quello che richiedono i datori di lavoro paraculi che vogliono manodopera qualificata ma sottopagata.

La mia vita privata, per forza di cose, non può che essere precaria tanto quanto. Relazioni che si schiantano sul dilemma massimo che ad un certo punto si pone: vado io a vivere nella sua stanza di tre metri quadri o viene lui a vivere nel mio monovano di di quattro? La decisione è presto aiutata dalle misure perché quando dopo l’orgasmo viene da dirsi cose idiote tipo “andiamo a cercare una casa per tutti e due“, sperando che la somma delle nostre due quote di affitto basti a coprire la spesa, ci rimettiamo subito ai nostri debitori, ai nostri conti in banca perennemente in rosso, alle cauzioni che non potremo mai pagare.

E’ che ogni tanto bisogna lasciare qualche spiraglio al sogno, per non deprimersi, e allora si parte con determinazione e coraggio a farsi il giro delle immobiliari, raccatti tutti i giornalini gratuiti dove trovi annunci che non sono mai veritieri, vai a guardare un tot di case, per poi concludere che non ce la farete mai. Dopo qualche settimana le relazioni muoiono di morte naturale perché l’amore è bello ché ti regala prospettiva, ti dà anche la forza di fare tutto quello che fai. Se pensi che anche lì sei ad un punto morto e che non c’è alcuna alternativa all’accamparsi portandosi spazzolino e carta igienica appresso, direi che non hai più tanta scelta.

Per quel che mi riguarda, poi, c’è anche il fatto che non accetto donazioni, che tu paghi più di quanto possa pagare io, se non posso permettermi qualcosa non lo faccio, non voglio dipendere da nessuno. Dato che attorno a me vedo tanti disastri mi chiedo “e se poi finisce?“. Valla a trovare un’altra stanza che costa quanto quella che ho adesso, perché anche i sottoscala aumentano di prezzo.

Dunque, tornando alla questione preminente, c’è mia madre che dice “torna a casa” e io dico di no. Poi dice che se non faccio un figlio ora, per varie congiunzioni astrali, ché glielo chiedono le amiche, e dunque porta iella, ché lei sarebbe una fantastica nonna, che poi io non dovrei fare proprio niente, e io rispondo “ma se mi faccio un figlio e poi lo cresci tu che me lo faccio a fare?“. Mi guarda stralunata, lei che da una vita pensa alla cura di papà, che ora vorrebbe un altro impegno, e giuro che ci sono volte che non so chi sia più oppressivo, se quello che qualche volta per caso incontro e che – scherzando – ti spara lì un “fammi un figlio” come fossi un contenitore o lei che formalmente mi considera una macchina sforna nipoti.

Dovrebbe esserci una regola che dice che se una donna ha desiderio di nonnità che s’affittasse i nipoti altrui. Ci sarà pure qualcuno che ne ha bisogno e può assumerla. E poi mi resta il grande dubbio che queste partorienze telecomandate, ad esclusione di chi mi darebbe il seme, siano tanto deresponsabilizzanti per l’altra parte della storia. E voglio dire: se faccio un figlio o una figlia e non voglio neppure dipendere dalla disponibilità di mia madre perché non devo poter contare, casomai, sul padre?

Perciò l’altra risposta che potrei darle è proprio questa. Io faccio un@ figli@, sempre se ne ho voglia, soltanto se sono economicamente indipendente e trovo una persona con cui condividere quella responsabilità. Non delego, non carico mia madre di ulteriori compiti, non la incateno ad una cosa che oggi le sembra bella e domani chi lo sa. Data la mia precarietà io non confido nella sua pensione per fare crescere mi@ figli@. Non costruisco dipendenze. Io me ne libero. E già qualcuno dovrebbe spiegarmelo davvero: perché è così difficile scindere le dipendenze? Perché c’è sempre chi trova il modo per farti restare lì?

NB: Malafemmina, diario di una precaria qualunque, è un personaggio di pura invenzione e un progetto di comunicazione politica. Ogni riferimento a fatti, cose e persone è puramente casuale. 

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5 pensieri su “Cara mamma: sono precaria e un nipote non te lo faccio!”

  1. Si poteva puntare un pò di più sul fatto che un figlio non è nei desideri di molte donne. mi sembra un argomentazione molto meno calcata rispetto al “non me lo posso permettere” che imperversa in tutte le retoriche della famiglia che vorrebbe tanto costituirsi ma se lo può permettere. A me è capitato un sacco di volte che mi venisse chiesto se volessi un figlio e che il mio interlocutore non capisse che io sono proprio refrattaria a quest’idea, e che provasse a convincermi di questo desiderio naturale dettato dall’egoismo genetico della riproduzione della specie. Come se l’uomo non fosse un essere culturale che in molti dei suoi istinti primari ci ha pisciato sopra! Mi sembra che partire dalla possibilità che la donna non contempli il concepimento a priori, soprattutto al di là delle condizioni economiche, sia una prospettiva molto più radicale per riuscire a evadere da determinati ruoli che ci vengono affibiati.

      1. Si l’avevo immaginato, ma per me è molto importante come vengono poste le questioni per non rischiare che rimangano ambigue o persino controverse. Le condizioni economiche non possono essere il punto di partenza per una teoria della liberazione generale. Anche perché potrebbe essere un autogol nei casi di gravidanze desiderate da parte delle meno abienti. Capita già in molti altri paesi che vi sia un disprezzo verso chi fa figli pur non potendoseli “permettere”, immaginario questo che alimenta la ghettizzazione dei poveri.

  2. Lasciando da parte la questione del “sentire” individuale rispetto al tema e alla scelta di diventare madre, “sentire” che è sempre legittimo e sempre va rispettato, vorrei concentrarmi su altri aspetti toccati dalla “precaria qualunque”. In particolare vorrei concentrarmi su ciò che la mia “omologa” immaginaria (sono una qualunquissima precaria laureata ventinovenne) chiama “legami di dipendenza”. Ebbene trovo che la mia omologa abbia sposato in toto l’etica iper-individualista della cultura dominante e che la declini nella sua versione femminista. Nessuno è un’isola, e l’essere umano è certamente un’animale culturale e lo è diventato a partire dalla sua peculiare evoluzione come specie: ovvero un’evoluzione sociale. Nessun essere umano è “indipendente” per definizione, l’essere umano esiste in quanto ogni individuo è “inter-dipendente” dall’altro (per la cura di cui ha bisogno il cucciolo più debole tra tutte le specie, quello umano; per la necessità che altri procurino il cibo e la protezione necessaria alla madre che cura e al neonato; per la necessità di vivere e lavorare in gruppo per poter ottenere un’alimentazione che permetta uno sviluppo sano ecc..). Per cui io, nella mia personalissima esperienza, non chiamo “dipendenza” l’aiuto economico che mi puó dare mia madre o il mio compagno in quei (rari) mesi in cui guadagna più di me. Chiamo questo “aiuto” solidarietà. In questa società saranno poche a “farcela” (con i figli o economicamente) da sole e sicuramente saranno le più abbienti (e qualche compagna graziata dalla natura che esprime un talento eccezionale). Per tutte noi altre, alla base della piramide sociale, schiacciate dalla doppia oppressione di classe e di genere l’unica possibilità di realizzare i nostri sogni passa dalla solidarietà. Per questa ragione, forse, i miei legami affettivi sono molto più stabili di quelli di malafemmina. E non sarà certo la mia condizione economica ad impedirmi di fare figli: il desiderio è rivoluzionario!

  3. Io ho 22 anni e di maternità non sento nemmeno il vago richiamo, sono una studentessa e lavoricchio occasionalmente. È frustrante sentirsi dire che “Aspetto solo l’uomo giusto per cambiare idea”, visto il mio mancato desiderio di figliare. Che poi mi sento già precaria da studente, figuriamoci in seguito e con un figlio in mezzo.

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