Lei scrive:
Salve, sono la figlia di una donna anoressica e bulimica. Vorrei tentare di spiegarvi cosa ha significato per me sopravvivere alla sua malattia. Sono stata causa dei chili che ha preso quando mi ha partorita e crescendo mentre lei tentava di tenere sotto controllo sé stessa teneva sotto controllo anche la mia alimentazione. Fintanto che sono rimasta longilinea, con un peso che le aggradava e le rinviava il riflesso di quel che lei avrebbe voluto essere non ho avuto problemi. Quando ho cominciato a mangiare autonomamente e mia nonna mi porgeva una merendina, lasciandomi davanti al televisore acceso ad abbuffarmi, mentre mia madre era lavorare, ho iniziato a prendere peso e ho visto negli occhi di mia madre tutto il suo disprezzo.
Dapprincipio non capivo e pensavo che lei non mi volesse bene, leggevo nei suoi occhi la delusione e talvolta l’ho accontentata accompagnandola nelle sue folli maratone per scalare qualche caloria percorrendo chilometri assieme a lei. L’adolescenza invece come tutti sanno è un momento di ribellione e per me quella ribellione è diventata poter ingrassare fottendomene di quello che pensava mia madre e convincendo me stessa che lei non mi amasse e pensando di poter fare a meno del suo amore. La sua vicinanza per me era devastante perché mi ricordava le mie debolezze e dai suoi occhi notavo la repulsione nei miei confronti o almeno così pensavo.
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