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Conseguenze della denuncia d’ufficio nei casi di violenza sulle donne (not in my name!)

Ecco spiegato perché non ho firmato né firmerò mai una petizione come quella proposta dalla Dandini & Company e perché ne ho promossa e firmata un’altra. Ovvero quando la questione della violenza sulle donne diventa appannaggio di chi non sa di cosa sta parlando.

La Dandini è d’accordo con il fatto che i ministri modifichino le leggi esistenti introducendo la procedibilità d’ufficio per i reati che riguardano la violenza di genere. Si sostituisce dunque alle donne che subiscono violenza nella decisione, nella scelta, di denunciare o meno. Le patologizza, non riconosce loro capacità di intendere e volere e vuole imporre loro una unica maniera di vedere le relazioni, amare, percepire la violenza in quanto tale.

La violenza è cosa complessa e complicata da risolvere. Vi spiego cosa succederà nel caso in cui fosse approvata una norma del genere. Qualunque operatrice di un centro antiviolenza può confermarlo.

Le donne che subiscono violenza si nasconderebbero. Non vorrebbero più essere ricoverate in ospedale. Non si rivolgerebbero più ai pronto soccorso. Le donne che subiscono violenza nasconderebbero lividi, si renderebbero ancora più invisibili, non si rivolgerebbero a nessuno per il timore di vedere spezzato quello che loro ritengono essere un “equilibrio” familiare. Le donne che subiscono violenza rimarrebbero da sole, vittime di una omertà obbligata, ogni volta che devono scegliere se veder aggravata la loro precarietà oppure continuare a tentare di ricucire. Ogni qual volta una madre di famiglia prenderà legnate avrà il terrore che mancherà casa, serenità ai figli, perché di certo nessuno darà a lei una alternativa e la favorirà nella conquista di una indipendenza economica. Tanto consegue a provvedimenti repressivi e di facciata che non vogliono prevenire e risolvere niente ma servono soltanto a legittimare un governo di merda. Ogni volta che qualcuno minaccerà di denunciare d’ufficio un maltrattante il maltrattante riterrà di non avere più nulla da perdere e diventerà più violento e forse, piuttosto che picchiare e fermarsi ad un certo punto, la ucciderà.

Le donne che subiscono violenza quando vedono istituzionalmente aggredito il partner rafforzeranno l’idea che i “panni sporchi si lavano in famiglia” e vittimizzeranno ancora di più l’uomo che le ha picchiate perché lo amano e da lui ritengono di essere riamate. Intenderanno come prevaricante una norma che regoli anche “l’amore”, perché è una questione culturale che non può essere istituzionalmente normata come se ci trovassimo nella peggiore delle dittature possibili. Vedranno lui come fosse oggetto di “abuso” istituzionale e si riterranno colpevoli di questo e la volta successiva smetteranno di lamentarsi e rispondere e tentare di difendersi. Vedranno l’uomo oggetto di gogna mediatica e di incarcerazione come un uomo da salvare e da aiutare e rimuoveranno ogni contraddizione, ogni acquisita consapevolezza, ogni più piccola certezza del fatto di sentirsi vittime di un abuso. Mentiranno, perché nelle co-dipendenze si mente sempre. Non diranno di essere state picchiate ma diranno che era ciò che preferivano anche se non lo preferivano e quelle che lo preferiscono davvero saranno oggetto di patologizzazione e la società moralizzerà ogni genere di relazione in senso autoritario.

Senza contare il fatto che si introduce un metodo statunitense che è compatibile con la deriva autoritaria e giustizialista che arriva dritta dal riconoscimento voluto dalla femminista radicale MacKinnon (e sue pari) della questione delle donne come questione umanitaria, principio che sarà introdotto in Italia, senza essere minimamente problematizzato, con la Convenzione di Istanbul, perché in questo modo la salvezza della donna diventa questione umanitaria e la questione umanitaria implica bombardamenti, guerre giuste, sovradeterminazione di popoli e persone, sovradeterminazione delle stesse donne che non hanno alcuna voglia o bisogno di essere salvate.

Quel principio, per esempio, applicato a difesa delle vittime di Tratta diventa estensibile alle sex worker che fanno quel mestiere per propria scelta, e la questione coinvolge ogni luogo relazionale. Tra un po’ sarà proibito il bdsm perché non sarà concepibile che una donna possa scegliere di farsi sculacciare per il proprio piacere e sarà proibito alle donne di fare le “veline” e usare il proprio corpo per campare perché ogni loro scelta sarà suscettibile di moralizzazione, sarà patologizzata e saranno sempre ritenute vittime di cattivissime persone che impongono loro quei mestieri.

Tornando alla questione in se’, però, senza voler assolutamente minimizzare il problema della violenza sulle donne, io vi direi cosa avrei fatto io se qualcuno avesse denunciato d’ufficio un mio ex per violenza. Non avrei socializzato il dolore, la difficoltà, la mia crescita interiore, le consapevolezze che via via maturavo. Avrei rifiutato qualunque ingerenza esterna e avrei saldato un rapporto di complicità con l’uomo che mi picchiava. Avrei negato tutto. Lo avrei protetto. Avrei comunque tenuto a non rovinargli la vita. Avrei tenuto a conservare integra la sua esistenza per dare un padre a su@ figli@. Non mi sarei mai neppure lamentata, rivolta a qualcun@, non lo avrei consegnato alla sua rete familiare e sociale, sarei rimasta semplicemente lì e alla fine, forse, in silenzio, sarei stata uccisa.

L’altra faccia della medaglia è il fatto che con una norma del genere si moltiplicherebbero le false accuse. Già negli Stati Uniti basta un ordine di allontanamento per fare schedare o arrestare un uomo. Se vuoi toglierti di torno qualcuno per i motivi più vari, ti è semplicissimo farlo, perché se passa il principio che la donna è vittima sempre, anche quando non si dichiara tale, l’uomo sarà considerato sempre un carnefice. Non esisterà più il valore della consensualità ritagliata nella relazione tra due soggetti adulti ma esisterà soltanto una modalità di relazione di Stato, scelta dallo Stato, orientata dallo Stato, con un sesso di Stato, un matrimonio di Stato, una convivenza di Stato, un fidanzamento di Stato e, infine, una scissione di fine rapporto, anch’essa, di Stato.

Se è quello che volete, accomodatevi. Io, che sono stata ferita (quasi) a morte ma – purtroppo per chi vuole ricucire sulla pelle delle donne vittime di violenza una verità che esclude quelle come me – non sono morta, so che tutto questo non mi piace. So anche che la guerra che si sta svolgendo in rete a suon di colpi bassi e delegittimazioni è tutta, più o meno, su questi punti. Integralismi/giustizialismi vs buon senso e autodeterminazione. E io sono ancora ferita, abbattuta, per queste mie posizioni, secondo me di assoluto buon senso, ma comunque convinta che nessun@ possa impedirmi di dire che tutto ciò che capisco e vedo sia reale. Nessun@. Con calma. Prendendo tempo. Perché penso dunque sono.

Ps: Se permettiamo allo Stato di diventare tutore unico del nostro corpo come faremo poi a esigere rispetto per la libertà di scelta con la legge 194?

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20 pensieri su “Conseguenze della denuncia d’ufficio nei casi di violenza sulle donne (not in my name!)”

  1. Sono d’accordo su quasi tutto e comunque condivido l’impostazione generale del tuo discorso e i principi che poni alla base. Un dubbio però mi rimane: la denuncia d’ufficio non potrebbe avere almeno un lato positivo? Mi spiego: non potrebbe aiutare a far capire a chi picchia che quello non è una cosa da gestire all’interno della coppia, non è solo “cosa sua”, non è un “problema privato” che esiste solo se denunciato dalla controparte, perché in caso contrario può perpetuarsi. Culturalmente, l’idea che sia una cosa sbagliata in se’, indipendentemente dalla capacità o libertà della parte lesa di denunciare, l’idea che la violenza sia un problema di tutti, non potrebbe produrre qualche risultato positivo? E la paura di non poter contare sempre e solo sul silenzio della vittima, insieme a quello che ho detto prima, non potrebbe essere prima un deterrente poi un elemento culturale?

    1. Esistono già reati per perseguire le persone violente. Quindi sanno già che è sbagliato e che non è una questione “privata” e se non lo sanno e percepiscono la questione in modo diverso avviene per ragioni culturali che di certo non elimini con una denuncia d’ufficio consegnando le donne, di fatto, a tutori che da quel momento in poi avranno libertà di sindacare su qualunque loro scelta. La battaglia da fare è secondo me di tipo preventivo e culturale e non di tipo repressivo. La repressione agita in assenza di consapevolezza ed evoluzione culturale diventa ostacolo ai cambiamenti e diventa oppressione che salda vittime e carnefici contro un nemico esterno e autoritario che a quel punto diventa lo Stato. Tanto più lo Stato provvederà a dare strumenti senza mai imporli, tanto più investirà nella prevenzione e in una evoluzione culturale, che non è via semplice, sbrigativa e di facciata, totalmente inutile e anzi molto dannosa, come la denuncia d’ufficio, e tanto più vi sarà l’opportunità di agire questa questione nel modo giusto.

      1. Care donne,

        voi che per noi uomini siete sempre imperscrutabili, voi che sembrate così volubili, a volte fragili e insicure, altre forti e decise… cosa vogliamo fare?
        Ve lo chiede un uomo che si è rotto le p@11€ di sentire notizie di donne uccise da fidanzati/mariti/ex/compagni/conviventi/ecc…
        Siete molto attive sull’argomento, di questo bisogna darvene atto; online si moltiplicano le petizioni da firmare e presentare al Governo.
        Ma io mi domando: è mai possibile che non riusciate a mettervi d’accordo su dei punti base per poter presentare una proposta unica?
        C’è chi pensa che la denuncia d’ufficio sia solo dannosa, chi pensa che l’educazione in tal senso non porterà a risultati apprezzabili, chi pensa che la rivoluzione culturale potrà avvenire solo fra molti anni, chi non vuole nemmeno sentir parlare di femminicidio e ora anche questa: la violenza come modo di amare…
        E la cosa bella è che quando una di voi abbraccia una di queste proposte, pensa automaticamente che tutte le altre siano spazzatura e vadano considerate deleterie..

        E intanto, mentre vi accusate a vicenda di portare avanti ideologie maschiliste, l’esposizione mediatica sull’argomento sta svanendo.

  2. Condivido ogni singola virgola! Non voglio “protettori”, men che mai di stato!!!
    Voglio consapevolezza ed auto determinazione.
    Voglio reti di sostegno, consultori “al femminile”, confronto, partecipazione.
    Voglio la rieducazione dei violenti e la giusta pena per violenza ed omicidio, chiunque sia la vittima.
    L’erba voglio non cresce? Seminiamola tutte insieme!

  3. Qualcuno potrebbe anche decidere “d’ufficio” , che poiché ho lividi procuranti in modo CONSENSUALE durante una sessione sadomaso, il mio Master debba essere condannato? Non firmerò, perché stiamo come sempre curando l’effetto e non la causa e nemmeno stiamo cercando una soluzione: centri di autoaiuto e LAVORO. Credo che l’aumento di episodi di violenza in abito familiare sia anche dovuto a fattori esterni, i soliti e che tutti conosciamo. Non so, mi pare come sempre un tentativo di mettere “pezze”.

  4. condivido tutto, la denuncia d’ufficio e uno cavalcare la volontà della persona adulta trattandola alla stregua di un minore e privandola dei suoi diritti. Non siamo specie protette o da proteggere, non siamo panda e non è questa la via per combattere la violenza di genere. Inoltre dal punto di vista pratico non è valida neanche come deterrente, non mi risulta che in paesi in cui questa legge è in vigore siano diminuiti i reati di violenza.

  5. cara Glasnost, credo tu abbia ragione nell’indicare rischi e scarsa efficacia della denuncia d’ufficio. La convinzione mi deriva soprattutto dal pensare ad altri casi di (co)dipendenze, e all’evidenza che il drogato non smette di drogarsi perché gli vien tolta la dose, né tantomeno con la coercizione.
    Però vorrei mettere in luce un altro punto di vista, quello dei figli: sapendo quanta lacerazione e quanto danno può fare allo sviluppo affettivo del bambino assistere anche solo ai litigi tra genitori, mi chiedo: come si può conciliare l’autodeterminazione della donna che non vuole denunciare la violenza con la necessità (su cui non credo si possa discutere) di evitare questi danni, che rischiano di perpetuare proprio quella cattiva educazione affettiva, causa di futura violenza, a cui anche tu nel post su Fabiana mi pare concordi dover porre rimedio?

    1. Cara, quindi che fare? Si tolgono i figli alle donne che non vogliono denunciare? Verrebbe vissuta come una punizione per tutti e oltretutto non penso che si possa fare. Qualunque ingerenza di Stato diventa coercitiva. Ancora peggio. Nessuna più dirà mai niente e obbligherà all’omertà anche i figli per il timore che si verifichi tutto ciò. 😐

  6. e mi chiedo, andando un po’ oltre, non dovrebbe esserci un punto, certo diverso per ognuna, in cui alla donna scatta un istinto di autoconservazione che superi ogni altra cosa? forse in alcune non è presente, oppure è offuscato da altre cose – dalla paura di restare sola, o qualcos’altro?

    1. Hai presente una tossicodipendente? Non puoi istituzionalizzarla. Se non decide da sola di smettere non lo farà mai. La prevenzione sta nel modello educativo che ricevi, quello che ti insegna che la tua libertà di scelta viene rispettata, chi ti regala autostima e ti induce a ricercare modelli relazionali differenti. E’ una faccenda prevalentemente culturale dove cultura fa rima con destrutturazione dei ruoli di genere, dove si smettono le retoriche nazional/sentimentali, dove c’è un mare di lavoro da fare di cui sicuramente sai benissimo anche tu. Dopo puoi solo metterci le pezze ma se per farlo decidi di attuare una serie di misure simil/Tso non risolvi niente. Anzi. L’istinto di conservazione scatta quando da sola riesci a scovare risorse che hai dentro di te e solo quelle possono indurti a preservare la tua vita. Soltanto quelle.

  7. Mi dispiace x quello che ti è successo.. ma non concordo x niente.. per me la legge sarebbe più che giusta.. sarebbe un freno x i criminali non uomini.. x le false denunce.. esistono anche adesso

  8. Ho letto l’articolo tutto d’un fiato. Mi sono ritrovata in quelle descrizioni, in quelle violenze, in quelle paure. Aggiungo pure un altro aspetto: il cinismo delle “altre donne”, quelle felici, quelle rispettate. Quelle che ti guardano dall’alto verso il basso, ritenendo che tu, vittima, un uomo violento lo abbia voluto, che tu comunque non meriteresti la loro felicità, essendo comunque inferiore a loro. Loro che, essendo “intelligenti” e belle, hanno saputo e potuto scegliere un uomo che le amasse, accudisse, perfino viziasse. Loro che ti guardano dall’alto verso il basso, siccome a loro, che sanno valutare, che sono capaci di guardare dentro gli uomini, nulla di ciò sarebbe mai potuto capitare. Ho letto, ripeto, tutto l’articolo, fino a quando mi sono cadute le palle. Perché la legge 194 riguarda sì la violenza, ma la violenza di una persona adulta contro un bambino inerme, incapace di scegliere se vivere o morire. La libertà di ognuno finisce dove inizia quella altrui. In questo caso un altro che noi stesse abbiamo voluto. Perché, a parte rarissimi casi di violenze sessuali, non si inciampa su un pene camminando per strada. Il rapporto sessuale comporta la possibilità di diventare madri, anzi, è fatto per questo. Che poi ci siano alcune signore che lo fanno solo per trastullarsi, posso anche capirlo. Ma nel 2017 ci sono moltissimi modi per evitare di staccare la testa, le gambe e le braccia al proprio figlioletto con una pinza. I metodi anticoncezionali esistono, a ognuna il suo. Nel grande e spesso misterioso senso della vita, noi siamo solo il mezzo, non il fine. Un figlio è vita, la nostra vita non può essere sterile e fatta solo di trastulli e spensieratezza. Chi sceglie di avere rapporti sessuali deve anche accettare il “rischio” di tenere in braccio, poi, un bimbo. Altrimenti che si dedichi alla lettura, al jogging, alla musica classica. Il sesso non è un diritto, tantomeno un obbligo. E’ un traguardo di un percoso di maturazione e responsabilizzazione personale. O almeno il premio di chi ha voluto frequentare un corso per la conoscenza di metodi anticoncezionali. Buona giornata. Ottima la torta, peccato che, al posto della ciliegina, alla fine sopra ci abbiate messo una cacca di capra.

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