La violenza. Da un lato trovi talebane che ti dicono che le donne che denunciano violenza dicono sempre la verità e dall’altra trovi integralisti che ti dicono che tutte le donne che denunciano dicono il falso. Di che parla questa gente? Di cazzi propri, per la maggior parte. Trovi quella che ha subìto violenza e nessuno le ha creduto, quella che se l’è tenuto in serbo e poi se l’è rivelato dopo vent’anni, quella che l’ha vissuta, superata, maybe, ma è rimasta calata nel ruolo di vittima e sta bene in quello status lì, quella che ha fatto diventare la questione che le è capitata una esperienza imprescindibile, ché da quella storia lì fa dipendere tutti i suoi fallimenti, se hai perso chili, un lavoro, pezzi di vita, è tutta colpa sua, sua, sua, sua… Perché altrimenti non ce la fai ad andare avanti. C’è quella che racconta un mare di cazzate e chi l’ha violenza l’ha vissuta lo capisce, quando si smette di proiettare sull’altra il proprio se’ ferito. C’è quella che non ha subìto propriamente ma parlare il linguaggio della sorellanza le piace e investe energia nelle crociate che trova, a tempo perso, o nel tempo che ha deciso di dedicare alle buone cause. C’è gente che cerca riscatto, riconoscimento, una spiegazione, qualcosa da capire, risposte, o cerca e basta e ogni tanto trova e ogni tanto si perde. Dolore, incertezza, che spesso si traduce in astio, che realizza una cappa morale che giudica tutto e tutti e che non ammette dubbi. Nessun dubbio. Mai.
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