Antiautoritarismo, Antisessismo, Autodeterminazione, Comunicazione, R-Esistenze, Violenza

#SlutWalkRoma: l’antiviolenza che fa la differenza!

Buone pratiche.

Finalmente dopo tanto discuterne e auspicarla Le Ribellule sono riuscite a portare in piazza la prima Slut Walk italiana. Potete leggerne e godervi le foto qui, qui, qui.

Ho visto alcune amiche tra quelle che ballavano e si divertivano dispiacendomi di non essere riuscita a essere con loro. Dopodiché penso alle persone che non c’erano, che mal digeriscono una manifestazione declinata in senso queer, dove i corpi si espongono in modo rivoluzionario, rivendicando il diritto di attraversare gli spazi comuni senza perciò dover aspettarsi nulla di male, decostruendo e capovolgendo il senso dei giudizi che vengono espressi quando si parla di stupro. Perciò non è un vestito a stuprare ma è chi stupra. Non è l’abbigliamento che porto che mi espone ad uno stupro perché lo stesso abbigliamento indosso ad un corpo maschile non sortisce lo stesso effetto.

E la morale normativa che ancora ci impone di vestirci e comportarci in un certo modo per non attirare l’attenzione di qualcun@ è presente nelle discussioni, nel modo in cui vengono trattate le notizie che parlano di stupro, nella maniera attraverso la quale si suppone di dover normare la vita di persone esigendo adesioni a stereotipi sessisti che riguardano tutti.

Di fondo la giustificazione che si ricava dal concetto di “natura”. Natura vorrebbe l’uomo incline a non contenere il proprio desiderio e la donna dunque dovrebbe adeguarsi a questo, compatire e soccombere quando in realtà la natura ti fa uomo ma non ti fa stupratore. Gli uomini non sono stupratori, né  mostri o assassini, la penetrazione non è stupro, il sesso consensuale non è stupro, perché lo stupro è un’altra cosa.

Di questi pregiudizi si vive ancora in molti posti, così è per quella Montalto di Castro in cui ancora una ragazzina aspetta di capire perché la sua vita sia sospesa da anni mentre un paese intero le dà contro, e quindi non è chiaro il perché poi non si intervenga ad una manifestazione in cui una volta tanto non vedi la sfilata lugubre di martiri piene di lividi, reali o metaforici o simbolici, vittimiste e in processione con le fiaccole e gli amministratori con le fasce istituzionali in prima fila. I funerali che celebrano i cadaveri anche no, perché una donna che lotta contro la violenza è tutto meno che una vittimista, è forza, è potenza, è allegria, ed è sessuata, vivaddio, è piacere, è corpo, è sensualità, è scelta consapevole di quale sessualità preferisce e quale no. Una donna che ha vissuto una violenza non è morta, non ha neppure smesso di piacere e piacersi, non si deve vergognare di desiderare ed essere soggetto di desiderio, perché altrimenti avrebbero ragione quelle là, quegli altri che ti dicono che dipende da come ti vesti e ti comporti.

E dunque ti parlano di “colpe” e tu che fai? Scendi in piazza a capo chino, pietosa e timida, al massimo incazzata, con manifesti e striscioni in cui celebri la tua superiorità morale in quanto vittima e non mostri poi di volerti riappropriare della tua vita fatta di gioia, sensi, del toccarsi?

No. Giammai. Nei cortei contro la violenza sulle donne quasi ti guardano male se vai mano nella mano col tuo compagno, perché sei lì a celebrare la separazione e lui è il colpevole anche se non ha fatto un cazzo. Io innocente e sennò complice anche se non sono vittima. Ed è proprio in quella dimensione del martirio che si delega tutela ad altri che poi ti ridicono che la tua gonna deve essere lunga, perché altrimenti dai troppo lavoro da fare ai militari: vestiti meglio, perdio, non possiamo mica stare tutti lì a sorvegliare te per farti stare bene…

Invece la Slut Walk non delega a nessuno la soluzione e il ribaltamento di quei pregiudizi che ti schiacciano lì a fare solo quello che ti dicono di fare, a recitare quello che ti dicono di recitare. Sei tu che prendi e vai, con le tette al vento, il corpo esposto, senza barriere né divise, senza celebrare il martirio né legittimando il potere normativo delle istituzioni. Ché poi, non dimentichiamolo, la Slut Walk nasce perché esistono tutori dell’ordine che si permettono di dire che se ti vesti da puttana allora meriti lo stupro.

Insomma, è una manifestazione in cui si celebra l’autonomia, l’autodeterminazione, dove finalmente i corpi non viaggiano separati e si toccano, dove l’orgoglio è quello di dirsi insieme contro ogni stereotipo e pressione moralistica e normativa. Da tutta le gente che non c’era capisco che c’è chi evidentemente in quella morale da quattro soldi che vuole vittime le vittime e legittimati i tutori, con tanto di soluzioni autoritarie a richiesta, investe a piene mani. Ché è troppo complicato tentare di cambiare la cultura in modo radicale e a partire da te. Capisco.

Mille Slut Walk prossimamente spero. Ma già ne basta una per fare emergere con forza quale desolante quadro vi sia in Italia che contro queste meravigliose facce in piazza non reggono il confronto. Per fortuna.