Antiautoritarismo, Antisessismo, Autodeterminazione, Comunicazione, Culture

#Amina e l’effetto tetta nella comunicazione neocolonialista

Amina è questa ragazza tunisina parecchio punk che un bel giorno decide di farsi fotografare e assieme ad un amico dà vita ad un casino internazionale che ha due effetti: la prigionia di Amina, in casa, sedata e sorvegliata dalla famiglia; la dimostrazione a colpi di tette da parte di tante simil Femen, le quali hanno lanciato iniziativa per una jihad tettosa al 4 aprile, contro una non meglio precisata cultura islamica.

Così, ad una analisi superficiale, quel che viene fuori è che in Tunisia ci sarà pure stata una rivoluzione ma questa rivoluzione non ha riguardato le donne o quantomeno non ha messo in discussione quella serie di valori e tradizioni che obbligano le persone a rispettare una serie infinita di convenzioni sociali. Viene fuori anche che questa battaglia contro la cultura islamica può sembrare neocolonialista e mi pare sveli delle analogie con altro, a parte il fatto che sia che si tratti di donne con il burqa o di Amina, si pensa che la soluzione sia quella di invitare queste donne a scoprire il volto o a mostrare le tette.

Come vedete io la mia tetta sicula l’ho mostrata e non da ora. Anzi: in varie iniziative abbiamo mostrato corpi liberati perché rivendichiamo e io rivendico il diritto a considerare il mio corpo uno spazio politico che non può essere sottoposto a nessuna restrizione e rivendico il fatto che mi si lasci libera di scegliere come adoperare la mia nudità, incluso in una slut walk, per esempio, e qui vi ricordo l’appuntamento con Le Ribellule il 6 aprile a Roma, che ragiona anche di questo.

Ma quanto ci può essere di complesso, normativo e sovradeterminante in queste pratiche quando vengono imposte in senso neocolonialista io questo non lo so. Non so perché dovrei pensare che la mia soluzione ribelle, rispetto al contesto culturale in cui mi muovo io, debba anche essere la soluzione di donne che agiscono contro altre culture.

Senza contare il fatto che una modalità punk di utilizzare il corpo non equivale ad una marcia di tette la cui corporeità dirompente, la nudità rivoluzionaria, è stata secondo me per certi versi già neutralizzata dall’effetto glamour, dal brand Tetta al Vento, che, agli occhi di chi guarda, normalizza e disinnesca, anzi, per certi versi, il messaggio che si voleva dare.

Quando si parla di messaggi, linguaggi e stili, quel che bisogna pensare è che un messaggio politico assume valore tanto più è evidente la contraddizione che svela, quando è fuori norma, quando sovverte e capovolge significati. Non so se ricordate l’immagine delle Femen a Piazza San Pietro. Lì la figura sovversiva non erano le Femen e i loro bellissimi corpi. Era sovversiva la signora con l’ombrello, impellicciata e cattolica, che colpiva a ombrellate la Femen e che tradiva l’ipocrisia dietro cui si nasconde, spesso, una cultura e una tradizione.

Nella sfilata di tette che potete vedere sulla pagina facebook delle Femen la cosa sovversiva sono le tette di donne che finalmente non hanno misure standard e non sono simil/modelle.

La cosa sovversiva che viene fuori quando le Femen vengono braccate dalla polizia dipende dalla reazione della polizia che a parole dice di voler liberare le donne da costrizioni e violenze e che poi invece ti ricopre e ti fa violenza se non ti mostri o agisci secondo la norma.

Per assurdo: se io dovessi studiare una campagna di comunicazione in cui si svela il fascismo in Italia probabilmente metterei assieme due figure di contrasto che sollecitano le stesse, medesime, violente reazioni. Una donna con un corpo scoperto, ma non dalla fisicità utile al fashion, e una donna con un burqa.

A fare emergere paternalismi e modalità a “tutela” mi basterebbe andare in burqa a fare un presidio antifascista contro una delle organizzazioni di estrema destra che esistono in Italia, perché la tetta in se’, a certi fascismi, non sconvolge neanche un po’ ma anzi li compiace della presunta libertà che noi abbiamo raggiunto grazie alla loro presunta protezione.

La tetta di femminismo a sud, i corpi liberati in corteo contro movimenti no-choice o contro la violenza sulle donne, sono più una azione che  distingue femminismi da altri femminismi moralisti che per ogni rivendicazione schiacciano pratiche libertarie e in realtà consolidano culture patriarcali nel momento in cui ti dicono che il corpo è tuo, si, a patto che tu lo mostri sempre in quanto vittima e mai in senso autodeterminato.

Il gesto di Amina è autodeterminato? Parrebbe di si. Ha preso una pratica internazionale e l’ha calata nel suo contesto in modo sporco. Dunque è con lei che bisognerebbe parlare adesso per capire che cosa le serve, cosa vuole fare. Ma dove sono i presìdi e le iniziative in Tunisia per sostenere questa azione? Dove sono le donne e gli uomini che scendono in piazza tirando pietre contro i regimi? Dov’è tutta quella gente quando si tratta di mettere in discussione il potere normativo e repressivo di famiglie e religioni? Quali sono le forme attraverso le quali queste persone possono essere coinvolte? Perché mi pare chiaro che in Tunisia un martire di regime e una martire della cultura patriarcale non hanno lo stesso valore e mi pare anche chiaro che non vedremo una sfilata di tette che si aggira per quello Stato.

Penso alle Pussy Riot e al fatto che in Russia c’è comunque un movimento che le sostiene. E quando io o altre le appoggiamo stiamo comunque supportando una lotta autodeterminata la cui autonomia è perfettamente narrata da pagine di rivendicazioni che prescindono da quello che io, da fuori, posso fare e interpretare.

Dopo aver letto l’intervista a Zied, colui il quale ha fotografato Amina con un intento ben preciso, il quale dice:

le azioni di solidarietà internazionali non servono a molto. L’unica soluzione sarebbe fare un’azione legale contro la famiglia della ragazza e trovare una rete di sostegno in Tunisia. Purtroppo, causa le prossime elezioni, che si terranno probabilmente per la fine dell’anno, nessun partito o grande associazione vuole appoggiare Amina.

“Siamo una carta bruciata. Nessuno ha capito che questa non è un’azione diretta contro l’Islam o la religione ma contro la tradizione culturale di una società retrograda. La Tunisia non è pronta ad affrontare determinati discorsi, è difficile accettare la libertà individuale della donna o comprendere cosa significa realmente la libertà di espressione”.

mi chiedo se la campagna internazionale contro la cultura islamica abbia senso o rinomini e sovradetermini ciò che stava nelle stesse intenzioni di Zied e Amina.

Perciò mi chiedo ancora: il movimento tunisino a favore di Amina dove sta? Dove stanno i femminismi locali? Dove sono i femminismi mediterranei? Come mai al Social Forum di Tunisi non si è detto o fatto nulla su questo? E a queste domande risponde in qualche modo un articolo che dice che “la giovane Femen è (…) trattenuta in casa dai famigliari e fortemente sedata con barbiturici per impedire che torni a connettersi con il web e proseguire il suo attivismo neofemminista. A consigliare la famiglia della ragazza sarebbero due importanti attiviste per i diritti delle donne tunisine, l’avvocata Bochra Bel Hadj Hmida e la psichiatra Ahlem Belhadj, che sembrano avallare l’ipotesi che la ragazza soffra di disturbi mentali. D’altronde il gesto di Amina è stato fortemente criticato anche dalle femministe del paese maghrebino, che in questi giorni ha ospitato a Tunisi il Forum sociale mondiale, secondo le quali la giovane Femen non avrebbe dovuto adottare uno stile di lotta occidentale calandolo violentemente nella realtà mediorientale. Tanto è che vero che la maggiore associazione di donne tunisine Aftd (Association des Femmes Tunisiennes Démocrates) non sta spendendo una parola sulla storia di Amina, che in Europa invece ha destato molta attenzione.

Dunque è solo un fenomeno mediatico o ha un impatto nella realtà? E se non cambia la cultura nella quale vive e si manifesta e questa cosa viene guardata con imbarazzo e scetticismo perfino dai femminismi locali, che non ho dubbi sul fatto che siano normativi, se istituzionalizzati, tanto quanto quello delle simil-snoq-donniste nostrane, dunque cosa si può fare in concreto? Che tipo di riflessione, tetta a parte, si può avviare?

Voglio dire: nel mediterraneo ci sono chilometri di cadaveri di giovani tunisini morti per i confini imposti dalla Fortezza Europa. Le madri di tanti tunisini vanno in pellegrinaggio di città in città per cercare di capire se i loro figli sono vivi o morti. Come contestualizziamo quel che succede ad Amina senza che si ritenga lecito mettere i sigilli ai nostri civilissimi confini, dove, certo, non ti sedano più se mostri le tette ma pur di “salvarti” (da altri o da te stessa) ignorano le tue richieste autodeterminate e ti danno della vittima e/o malata o – peggio – maschilista se invece che andare a lavare scale vuoi svolgere un sex work? Come facciamo a ragionare di questa cosa senza sollecitare paternalismi istituzionali da parte di Stati che in nome delle “donne” lanciano bombe ai civili e impongono la propria politica economica ad altre nazioni? Quanto le colonizzazioni pesano sulla sopravvivenza o il ripristino di integralismi nazionalisti e religiosi? Quanta responsabilità abbiamo noi in quello che succede ad Amina? Quali sono le azioni che possiamo compiere affinché LEI si liberi nei modi e nelle forme che preferisce? Quanta responsabilità avremo in quello che accadrà a tante altre Amina se oggi la dichiariamo martire della cultura islamica e domani faremo diventare quella cultura l’unica che preserva quei confini dall’intrusione di Stati che della sovranità territoriale tunisina (o di altri paesi simili) se ne fregano?

La tetta scoperta in un contesto in cui diventa la legittimazione della cultura patriarcale e colonialista che attraverso questa dimostrazione di libertà assume il valore della propria potenza, ché ti protegge, ti tutela, anche se vai a seno nudo, può diventare la pratica dietro la quale si nascondono altri perbenismi e moralismi di diverso tipo?

Non so. Chiedo. E me lo chiedo proprio in relazione ad Amina e con tutto il rispetto per le Femen che, personalmente, mi piacciono molto.

6 pensieri su “#Amina e l’effetto tetta nella comunicazione neocolonialista”

  1. Una riflessione molto sottile. Ma in questo caso io andrei “dritto per dritto”.
    Il corpo è tuo a qualunque latitudine, in qualunque contesto. E’ tuo se sei una similmodella ukraina ed è tuo se sei una donna baffuta abruzzese come me. L’autodeterminazione sul corpo viene prima di tutto il resto. Amina ha il diritto di dirlo come le pare, che nel caso in questione è mutuato da un movimento di donne di una cultura altra, peraltro neppure occidentale nel senso piu’ proprio visto che viene dall’est del continente europeo.
    Io il necolonialismo stile “liberiamole dal burqa” di triste memoria non ce lo vedo, fermo restando che tutto è interpretabile e dunque strumentalizzabile. Ci vedo solo l’affermazione di una libertà. E questa libertà le Femen la rivendicano, sia pure con qualche semplificazione, tanto per la “cultura musulmana” quanto per quella cattolica e ortodossa et simili.

    1. No no, ma infatti apposta ho citato la azione a san pietro perché sono coerentissime su questo contro le religioni in generale. però tutte le mie domande, sapendo quello che mi dici tu, in qualche modo restano. 🙂

      1. Sì. Le cagne si fanno un sacco di domande. Le domande aprono varchi alla risignificazione. Anche per questo cagna è bella 🙂

  2. Pochi giorni dopo la vicenda di Amina uscì un comunicato della Rete di Donne Mussulmane in cui appoggiavano Amina, ma denunciavano le imprecisioni diffuse da stampa internazionale e social network (es: in Tunisia non esiste più la pena di morte dal 2011, dunque era impossibile che fosse stata condannata alla lapidazione). Il comunicato dsi trova qui: http://www.redmusulmanas.com/muslim-women-s-network-release-breasts-and-fatwas in inglese, e qui: http://www.redmusulmanas.com/comunicado-de-red-musulmanas-pechos-y-fatuas in spagnolo. Giorni dopo, le Femen hanno risposto senza comunque prendere in considerazione il comunicato delle musulmane, senza solidarizzare con loro né esprimere una sola parola in merito. Questo ha scatenato la rabbia delle donne musulmane, che accusano le Femen di eurocentrismo, e di censurare volutamente chi non sia espressione della stessa maniera di praticare femminismo (egemone e neocolonialista). Ci sono vari articoli interessanti che argomentano bene questa indignazione, uno fra gli altri: http://nasreenvrblog.wordpress.com/2013/03/22/lo-que-ensenan-los-pechos-de-amina-la-chica-de-tunez/ (in spagnolo)
    Ps. a me invece le Femen non hanno mai convinto. Un’azione che hanno realizzato di recente poi mi ha fatto pensare che proprio non abbiano nulla da dire: l’incursione al salone dell’erotismo a Bourget, Francia. Azione che dovrebbe mirare a contestare forse l’immagine della donna nel porno mainstream. Ma salgono sul palco col classico dito medio alzato verso tutti i presenti, e non riescono neppure ad argomentare qualcosa al microfono. http://metrofrance.com/blog/ovidie/2013/03/26/salon-de-lerotisme-le-combat-partage-des-femen-et-des-cathos-integristes/ Mah.

    1. avevo letto alcune cose ma non avevo beccato il comunicato. però anche quelle di cui ho letto qui e là io dicevano più o meno questo. si sono sentite sovradeterminate.

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