Antiautoritarismo, Autodeterminazione, Contributi Critici, Critica femminista, R-Esistenze

Calcutta, 1997: A Sex Worker Manifesto (ITA)

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Da SorellaOutSider:

A Sex Worker Manifesto è il risultato di una conferenza per Sex Worker, organizzata a Calcutta nel 1997, con l’intento di prevenire la trasmissione del virus HIV e di manifestare contro la violenza della polizia. Secondo Reuters, vi parteciparono più di 1000+ sex worker.

Qui sotto trovate il testo tradotto del loro manifesto:

Sembra che uno nuovo spettro si stia aggirando per la società. O forse le creature fantasma, che erano state spinte nell’ombra per tanto tempo, ora stanno prendendo una forma umana – ed è per questo che ora c’è così tanta paura. Il movimento Sex Worker ci ha spint@ a fare molte domande fondamentali sulle strutture sociali, la vita, la sessualità, cosa è giusto e cosa è sbagliato moralmente. Pensiamo che una componente intrinseca al nostro movimento sia proprio la ricerca di risposte a queste domande e la formulazione di domande sempre nuove.

Che cos’è il movimento Sex Worker?

Ci siamo riunite come una comunità collettiva grazie alla nostra partecipazione attiva nel ruolo di operatrici sanitarie, Peer Educators, in un progetto di controllo dell’HIV e delle malattie sessualmente trasmissibili in attività a Sonagachhi dal 1992. Il progetto ci ha fornito lo spazio necessario in un primo momento per darci supporto reciproco, per agevolare la riflessione e iniziare un’azione collettiva tra  noi, sex workers. Molto presto nel corso della vita del progetto Sonagachhi noi, col supporto empatico da parte di coloro che avevano lanciato il progetto, abbiamo capito che per realizzare anche solo gli obiettivi più basilari del progetto (cioè il controllo della trasmissione dell’HIV e delle malattie sessualmente trasmissibili) , dovevamo prenderci in considerazione nella nostra totalità – come delle persone complete, con una gamma di bisogni sia emotivi che materiali, che vivono in un contesto specifico dal punto di vista politico, sociale e ideologico che determina la qualità delle nostre vite e della nostra salute, e non considerarci solamente in relazione al nostro comportamento sessuale.

Per esempio, mentre promuovevamo l’uso di preservativi, ci siamo rese conto che, per cambiare il comportamento sessuale delle sex worker, non bastava semplicemente spiegare i rischi del sesso non protetto o migliorare le loro capacità di negoziare e di comunicare. Come può una sex worker che non valorizza sé stessa affatto pensare di fare i passi necessari per proteggere la propria salute e la propria vita? Anche se è completamente consapevole della necessità di usare il preservativo per prevenire la trasmissione di malattie, una sex worker potrebbe comunque sentirsi costretta a mettere in pericolo la propria salute per paura di perdere i propri clienti, a meno ché non le sia garantito che tutte le sex workers nell’area siano capaci di convincere i propri clienti a usare il preservativo per ogni atto sessuale.  Alcune sex worker potrebbero non essere neanche nella posizione giusta per negoziare con i propri clienti poiché sono sotto lo stretto controllo delle loro tenutarie o dei loro papponi. Se una sex worker sta morendo di fame, perché non ha abbastanza clienti o perché la maggior parte del suo guadagno viene speso per l’affitto di una stanza o per soddisfare le richieste della sua tenutaria o degli intermediari locali o della polizia, è davvero nella posizione giusta per poter rifiutare un cliente che non riesce a convincere ad usare il preservativo?

E il cliente? E’ probabile che un uomo sia ben disposto ad imparare qualcosa da una donna, in particolare una donna ‘caduta’ e incolta? Non è forse vero che per lui andare da una prostituta presuppone comunque un elemento intrinseco di pericolo un comportamento irresponsabile? E in tal caso, non è forse vero che idee di responsabilità e sicurezza contraddicono completamente il suo atteggiamento verso la sua relazione con una prostituta? E il preservativo non rappresenta, dunque, solo un impedimento superfluo perché lui raggiunta il piacere ‘totale’?

In molti casi questo cliente maschio è povero, o destituito. Si trova lui nella posizione migliore per valorizzare la propria vita e proteggere la propria salute?

D’altra parte, perché una sex worker pronta ad usare il preservativo coi propri clienti, non fa del sesso protetto col proprio amante o marito? Quale equilibrio sottile tra un’operazione di natura commerciale e l’amore, la cautela e la fiducia, la sicurezza e l’intimità crea un comportamento del genere? Come fanno le ideologie dell’amore, della famiglia e della maternità ad influenzare ogni nostro gesto sessuale?

Dunque, pensando a una domanda all’apparenza per nulla complicata – se una sex worker può insistere per fare solamente del sesso protetto – ci ha fatto capire che la questione non è tanto semplice. La sessualità e le vite e il movimento Sex Worker sono aggrovigliati in modo intrinseco nelle strutture sociali nelle quali viviamo e nell’ideologia dominante che forma i nostri valori.

Proprio come altri tipi di lavoro, il sex work  è una forma di lavoro, ed è probabilmente una delle ‘professioni più antiche’ del mondo perché c’è grossa domanda sociale. Ma il termine ‘prositute/i’ è usato raramente per riferirsi a un gruppo di persone che si sostentano vendendo servizi sessuali. Piuttosto, il termine viene usato per descrivere una categorie omogenea, di solito di donne, che rappresentato un rischio per la salute pubblica, la moralità sessuale, la stabilità sociale e l’ordine civico. All’interno di questo limite discorsivo, ci ritroviamo sistematicamente ad essere i bersagli di impulsi moralizzatori da parte dei gruppi sociali dominanti, attraverso missioni di pulizia e di disinfestazione, sia materialmente e simbolicamente. Se e quando siamo incluse nei programmi politici o di sviluppo, veniamo invischiate in pratiche discorsive e progetti pratici che hanno come scopo salvarci, riabilitarci, migliorarci, educarci, controllarci o vigilarci. Le organizzazioni di beneficenza sono inclini a salvarci e a metterci in case ‘sicure’, le organizzazioni di sviluppo di solito ci ‘riabilitano’ con delle attività che generano un magro sostentamento, e la polizia sembra avere la propensione a fare irruzione nei nostri quartieri nel nome del controllo di traffichi ‘immorali’. Anche quando siamo descritte nei discorsi dominanti in modo meno negativo o addirittura simpatetico, non siamo comunque escluse dal processo di stigmatizzazione e esclusione sociale. In quanto vittime abusate e inermi e senza risorse, veniamo viste come oggetti di pietà. Altrimenti, veniamo mostrate nella letteratura popolare e nel cinema, come attrici non protagonisti altruiste e materne, continuamente pronte a rinunciare al nostro guadagno ottenuto con fatica, ai nostri clienti, ai nostri comportamenti ‘peccaminosi’ e infine alla nostra stessa vita. Il tutto per assicurare il benessere dell’eroe o della società che rappresenta. In ogni caso ci viene negata l’emancipazione in quanto cittadine o lavoratrici legittime, e veniamo relegate ai confini della società e della storia.

Il tipo di oppressione che può essere inflitto ai sex worker non potrebbe mai essere perpetuato ai danni di un lavoratore regolare. La giustificazione data è che il sex work non è vero lavoro – poiché è peccaminoso dal punto di vista morale. Quando la prostituzione viene tenuta nascosta dietro la facciata della moralità sessuale e dell’ordine sociale, a differenza di altre professioni, non viene data legittimazione o spazio per le discussioni riguardo le nostre richieste e e le nostre necessità in quanto lavoratrici dell’industria del sesso.

Le persone che sono interessate al nostro benessere, e molte persone lo sono sinceramente, spesso non riescono a pensare oltre la riabilitazione o l’abolizione completa della prostituzione. Ciò nonostante, noi sappiamo che è impossibile ‘riabilitare’ una sex worker poiché la società non ci permette mai di cancellare la nostra identità di prostitute. E’ possibile essere riabilitate? Ma sopratutto, è questo ciò che vogliamo?

In un paese dove la disoccupazione ha proporzioni gigantesche, da dove viene l’impulso di dislocare milioni di donne e uomini che hanno già un lavoro che gli garantisce un guadagno sufficiente per mantenere se stess@ e le proprie famiglie? Se altri lavoratori in condizioni simili di sfruttamento possono lavorare all’interno delle strutture della loro professione per migliorare le proprie condizioni di lavoro, perché le sex workers non possono rimanere nel proprio settore e richiedere delle condizioni migliori per la loro vita e il loro lavoro?

Qual è la storia della moralità sessuale?

Come le altre tendenze e gli altri desideri umani, la sessualità e il bisogno sessuale sono fondamentali e necessari per la condizione umana. Idee etiche e politiche riguardo la sessualità e le pratiche sessuali sono influenzate dalla società e specifiche al momento storico e al contesto. Nella società che conosciamo ora, le ideologie riguardanti la sessualità sono legate alle strutture del patriarcato e a usanze per lo più misogine. Lo stato e le strutture sociali riconoscono un lato limitante e limitato della nostra sessualità. Il piacere, la felicità, il conforto e l’intimità trovano la loro espressione attraverso la sessualità. Da una parte costruiamo narrative riguardo queste cose nella letteratura e nell’arte. D’altra parte, le norme e i regolamenti imposti dalla società permettono di esprimersi sessualmente solamente tra uomo e donna e solamente all’interno delle strette barriere imposte dal matrimonio all’interno dell’istituzione della famiglia.

Perché abbiamo delimitato la sessualità in questo modo, ignorando così altre espressioni, manifestazioni e esperienze? 

Per mantenere l’istituzione della proprietà privata e del sistema patriarcale c’è bisogno di controllare le capacità riproduttive delle donne. Poiché le linee di proprietà sono mantenute grazie un sistema di eredità legittimata, e poiché solamente un rapporto sessuale tra uomo e donna può garantire il potenziale per la procreazione,  il patriarcato capitalista approva solamente di questo tipo di relazione. Il sesso viene dunque visto principalmente o esclusivamente come uno strumento per la riproduzione, negandone tutti gli aspetti intrinsechi di piacere e di desiderio. Poiché l’eterosessualità viene privilegiata, non solo viene negata la legittimità dell’omosessualità ma viene addirittura considerata indesiderabile, innaturale, e degenerata. Quindi il sesso e la sessualità non ottengono un consenso da parte della società all’infuori del loro scopo di mezzi per la riproduzione.

Non diamo valore alla maternità? Solamente perché la nostra professione o la nostra situazione sociale non concede spazio per una condizione di genitore legittima, stiamo cercando di dire che la maternità e l’avere dei figli è una cosa non importante o senza valore per le donne? Non è questo il caso. Noi pensiamo che ogni donna ha il diritto ad avere dei figli, se è ciò che desidera. Ma pensiamo anche che. cercando di fissare la maternità come unico e primario scopo per una donna, le strutture patriarcali stiano tentando di controllare le funzioni riproduttive delle donne e tenere a bada la loro autonomia sociale e sessuale. Tra di noi, sex workers, molte persone sono madri – e i nostri bambini sono importantissimi per noi. Ma per gli standard sociali i nostri bambini sono illegittimi – dei bastardi. Ma se non altro sono nostri, e non sono solamente strumenti per mantenere la proprietà di un uomo o continuare la sua genealogia. Ciò nonostante, nemmeno noi siamo immuni alle ideologie della società nella quale viviamo. Per molte di noi il desiderio impossibile di una famiglia, una casa e una sensazione di unione è continuamente una causa di dolore.

Gli uomini e le donne hanno un uguale diritto alla sessualità?

Le norme della società riguardo il sesso e la sessualità non vengono applicate allo stesso modo a uomini e donne. Se i bisogni sessuali vengono riconosciuti all’infuori della procreazione, questo viene fatto solamente per gli uomini. Sebbene ci siano piccole variazioni tra diverse comunità, e anche se nel nome della modernità alcuni comportamenti sono cambiati in certi posti, sono stati per la maggior parte gli uomini ad aver avuto il diritto di essere poligami o cercare diversi partner sessuali. Dalle donne ci si aspetta sempre di rimanere fedeli ad un solo uomo. Andando anche oltre le proibizioni dei libri sacri, le pratiche della società restringono severamente l’espressione della sessualità femminile. Dal momento che una ragazza raggiunge la pubertà, il suo comportamento comincia ad essere tenuto a stretto controllo e monitorato in modo che non provochi il desiderio da parte degli uomini. Nel nome della ‘decenza’ e della ‘tradizione’ una donna che insegna non può vestirsi come le pare e piace all’università. Quando gli uomini della famiglia scelgono una moglie per il proprio figlio, gli attributi fisici della potenziale sposa vengono analizzati. Le rappresentazioni pornografiche di donne soddisfano i piaceri vouyeristici di milioni di uomini. Dalla crema per farsi la barba a accessori per il bagno, i prodotti venduti agli uomini vengono pubblicizzati rappresentando le donne come oggetti sessuali.

In questa economia politica della sessualità non c’è spazio per l’espressione della sessualità e del desiderio proprio delle donne. Le donne devono coprire il proprio corpo per nasconderlo agli uomini e allo stesso tempo mostrarsi per la gratificazione maschile. Anche quando alle donne viene offerta una qualche forma di soggettività quando vengono rappresentate come consumatrici nei media commerciale, il loro ruolo è definito solamente della capacità di comprare e quindi viene regolata da una struttura patriarcale e capitalista.

Il nostro movimento è contro gli uomini?

Il nostro movimento di definisce contro il patriarcato, ma non contro tutti gli uomini. A dire il vero, tranne le tenutarie di bordelli e le proprietarie, la maggior parte delle persone che traggono profitto dall’industria del sesso sono uomini. Ma ciò che importa veramente è che i loro atteggiamenti nei confronti delle donne e della prostituzione sono pregiudicati da forti valori patriarcali. Considerano di solito le donne deboli, dipendenti, immorali o irrazionali – e che quindi, in virtù di questo, devono essere controllate e disciplinate. Condizionati dalle ideologie di genere patriarcali, sia gli uomini che le donne di solito sono d’accordo col controllo del commercio del sesso e dell’oppressione delle sex workers, in quanto lo considerano necessario per mantenere l’ordine sociale. Il potere di questo discorso morale è così forte che noi prostitute tendiamo a considerare noi stesse corrotte moralmente e senza vergogna. Gli uomini che vengono da noi come clienti sono influenzati dalla stessa ideologia. A volte l’idea del peccato aumenta la loro eccitazione, a volte porta alla perversione e quasi sempre crea in loro una sensazione di disgusto nei confronti di se stessi. Questo non permette di avere uno scambio sessuale onesto e sicuro.

E’ importante ricordare che non c’è una categoria uniforme di ‘uomini’. Gli uomini, come le donne, si differenziano per classe, casta, razza e altre relazioni sociali. Per molti uomini essere fedeli alle norme sessuali dominanti è non solo impraticabile ma anche illusorio. I giovani uomini che cercano l’iniziazione sessuale, gli uomini sposati che cercano la compagnia di ‘altre’ donne, i lavoratori migranti separati dalle loro mogli che cercano di trovare calore e amicizia nel quartiere a luci rosse non possono essere tutti dismessi in quanto malvagi e pervertiti. Fare questo significherebbe dismettere tutta una parte della storia umana riguardante la ricerca umana del desiderio, dell’intimità e del bisogno. Questo rifiuto crea una domanda insoddisfatta di piacere sessuale. Il peso di questo rifiuto, sebbene sia condiviso sia dagli uomini che dalle donne, finisce sempre col pesare di più sulle donne. La sessualità – che può essere alla base di una relazione sana di uguaglianza tra uomini e donne, tra persone – diventa una fonte di ulteriore ineguaglianza e di severo controllo. Questo è quello contro cui lottiamo.

Affianco ad ogni fabbrica, ogni camion, ogni posto di blocco, ogni mercato c’è sempre stato un quartiere a luci rosse. Lo stesso sistema di relazioni di produzione e la stessa logica di massimizzazione dei profitti che spinge le persone lontano dalle loro case e dai loro villaggi verso le città fa diventare le donne sex workers per gli uomini.

Quello che è deplorabile è che questa ideologia patriarcale è così radicata, e l’interesse degli uomini come gruppo è garantito da queste ideologia che le richieste delle donne trovano raramente posto nella politica tradizionale e nei movimenti sociali. I lavoratori maschi che si organizzano contro lo sfruttamento raramente discutono dell’oppressione di genere, figuriamoci l’oppressione delle sex workers. Contro l’interesse delle donne, anche questi uomini difendono l’ideologia della famiglia e del patriarcato.

Siamo contrarie all’istituzione della famiglia? 

Nella percezione della società, noi sex workers – ma anche tutte le donne all’infuori del vincolo del matrimonio – veniamo viste come pericolose per l’istituzione della famiglia. Viene detto che noi convinciamo gli uomini a non rigare dritto e a distruggere la famiglia. Tutte le istituzioni, che siano queste religiose o formali, reiterano e perpetuano questa paura nei nostri confronti. Sia le donne che gli uomini sono vittime di questa misoginia pervasiva.

Vogliamo chiarire che il Movimento Sex Worker non è contrario all’istituzione della famiglia. Quello che noi sfidiamo è l’ineguaglianza e l’oppressione presenti all’interno delle nozioni dominanti di famiglia ‘ideale’ che sostengono e giustificano un’ineguale distribuzione di potere e di risorse all’interno della struttura familiare. Quello che il nostro movimento vuole fare è lavorare per creare una struttura della famiglia, probabilmente ancora inesistente, che sia realmente umanitaria, giusta e equa.

Come altre istituzioni sociali, anche la famiglia è situata all’interno delle strutture ideologiche e materiali dello stato e della società. La base per una famiglia ideale e normativa è l’eredità, ottenuta attraverso eredi legittimi e quindi attraverso una fedeltà sessuale. Storicamente, in verità, le strutture della famiglia sono cambiate molte volte.  Nel nostro paese, le famiglie estese (NOTA DI TRADUZIONE: Joint Family: famiglie  dove molte generazioni abitano nella stessa casa. Di solito, tutti i maschi sono imparentati tra di loro, mentre le donne sono le madri, le figlie, le sorelle non sposate o parenti rimaste vedove degli uomini legati tra loro dal ‘legame di sangue’) vengono rimpiazzate sempre più spesso da famiglie tradizionali. Infatti, in tutte le società le persone in realtà vivono la propria vita in molti modi diversi, grazie a diverse relazioni culturali e sociali – che deviano dalla norma, ma che comunque non vengono riconosciute come ideali dai discorsi dominanti.

Se due persone si amano e vogliono stare insieme, vogliono avere dei bambini insieme, e relazionarsi al mondo sociale questa può essere una sistemazione felice, equa e democratica. Ma succede veramente questo nelle famiglie che vediamo, nelle coppie che conosciamo? Non è forse vero che conosciamo molte famiglie dove non c’è amore e dove le relazioni sono basate sull’ineguaglianza e sull’oppressione? Non è forse vero che molte mogli vivono praticamente una vita da schiave sessuali in cambio di cibo e alloggio? Nella maggior parte dei casi le donne non hanno la possibilità di rifiutare questo tipo di matrimonio e di famiglia. A volte uomini e donne rimangono intrappolati in relazioni vuote per via della pressione sociale. Questa situazione è desiderabile? Questa situazione è sana?

La puttana e la santa – divide et impera

All’interno dell’ideologia oppressiva della famiglia, la sessualità della donna viene identificata come il pericolo maggiore per la stabilità della relazione coniugale della coppia. Le donne vengono messe in competizione l’una con l’altra: la moglie contro la prostituta, la casta contro l’immorale – entrambe vengono rappresentate come in lotta tra loro per l’attenzione e il desiderio degli uomini. Alla moglie casta non viene dato spazio per esprimere la propria la sessualità, ma solo la maternità e la domesticità, prive di ogni sessualità. Dall’altra parte c’è la donna ‘caduta’ – una macchina del sesso, non toccata dalle inclinazioni domestiche o da emozioni ‘femminili’. La ragazza di quartiere che si veste in modo vistoso non può essere una brava persona, le modelle e le attrici sono moralmente corrotte. In tutti i casi, la sessualità femminile viene controllata e modellata dal patriarcato, in modo che riproduca l’esistenza dell’economia politica della sessualità e tuteli l’interesse degli uomini. L’uomo così può avere sia la docile moglie di casa e madre dei suoi figli, che la prostituta che può venire incontro alle sue fantasie più selvagge. I bisogni sessuali della donna non solo non vengono considerati abbastanza importanti, ma in molti casi viene negata loro l’autonomia o la stessa esistenza di questi bisogni viene cancellata.

Probabilmente, solo una prostituta può davvero capire l’entità della solitudine, dell’alienazione, del desiderio e della voglia di intimità che spinge gli uomini da noi. Il bisogno che noi soddisfiamo a questi uomini non è semplicemente un atto sessuale meccanico, non è una gratificazione momentanea di istinti ‘basilari’. Oltre all’atto sessuale, noi diamo una vasta gamma di piacere sessuale che è legato all’intimità, al tocco, all’amicizia. Questo è un servizio che noi diamo senza che il significato sociale di ciò che facciamo ci venga riconosciuto. Gli uomini, almeno, possono venire da noi per i loro bisogni sessuali – per quanto il sistema di prostituzione sia visto come lascivo o vergognoso. Le donne raramente hanno queste risorse. L’autonomia della sessualità delle donne viene completamente negata. L’unica possibilità che hanno è di prostituirsi all’interno dell’industria del sesso.

Perché le donne diventano prostitute?

Le donne diventano prostitute per lo stesso motivo che spinge molte altre a guadagnarsi da vivere in qualunque altro modo abbiano a loro disposizione. Le nostre storie non sono troppo differenti da quelle del lavoratore di Bihar che guida il risciò a Calcutta, o del lavoratore di Calcutta che lavora part-time in una fabbrica a Bombay. Alcune di noi vengono vendute all’industria. Dopo essere state legate a una tenutaria che ci sostiene per alcuni anni, possiamo ottenere un qualche livello di indipendenza all’interno dell’industria del sesso. Molte di noi finiscono nel commercio del sesso dopo molte esperienze di vita – spesso senza volerlo, senza capire tutto ciò che implica fare la prostituta.

Ma quand’è che la maggior parte delle donne può avere accesso alla libertà di scelta all’interno della famiglia o fuori dalla famiglia? Diventiamo forse lavoratrici casuali domestiche di nostro spunto? Possiamo scegliere chi sposare e quando? La scelta non è una vera scelta per la maggior parte delle donne, in particolare per quelle che vivono in povertà.

Perché decidiamo di continuare a fare le prostitute? Dopo tutto è un mestiere difficile. Lo sforzo fisico richiesto per dare servizi sessuali a molti clienti nell’arco della giornata lavorativa è intenso, e non è meno impegnativo che arare o lavorare in fabbrica. Non è decisamente né divertente né uno spasso. Ci sono rischi del mestiere quali una gravidanza indesiderata, aborti dolorosi, rischio di avere malattie sessualmente trasmissibili. In quasi tutte le aree a luci rosse la condizione delle case e dei servizi sanitari è tremenda, i posti sono affollati, la maggior parte delle sex worker è povera, e, ciliegina sulla torta, ci sono gli abusi della polizia e dei teppisti locali. In più, oltre alle condizioni materiali di privazione e angoscia, dobbiamo anche subire stigmatizzazione e marginalizzazione – l’accusa di essere ‘indegne’ da parte della società, di essere madri di figli illegittimi ed essere il bersaglio delle loro frustrazioni e rabbia.

Siamo sostenitrici del sesso libero?

Quello che noi promuoviamo è il sesso indipendente, democratico, non coercitivo, reciprocamente piacevole e sicuro. In qualche modo il termine ‘sesso libero’ sembra implicare irresponsabilità e mancanza di preoccupazione per la salute altrui, e non è questo quello che stiamo cercando di ottenere. La libertà di parola, d’espressione o politica viene con l’obbligo e la necessità di rispettare i bisogni e la libertà altrui. La libera sessualità dovrebbe venire accompagnata anche dal rispetto e la responsabilità nei confronti dei desideri e bisogni altrui. Vogliamo che ci sia la libertà di esplorare e modellare un’attitudine e una pratica sessuale matura e sana – libera da oscenità e volgarità. Non sappiamo ancora che forma prenderà questa sessualità libera nella pratica – non abbiamo ancora il quadro completo. Siamo persone che stanno lavorando, non siamo né profeti né indovini. Quando, per la prima volta nella storia, i lavoratori hanno combattuto per la giustizia di classe e per la libertà dallo sfruttamento capitalista, quando i neri hanno protestato contro l’egemonia dei bianchi, quando le femministe hanno rifiutato la subordinazione delle donne, non sapevano esattamente quale aspetto avrebbe avuto il nuovo sistema per il quale si battevano. Non c’è un’immagine esatta del futuro ‘ideale’ – può solo emergersi e modellarsi attraverso il processo del movimento stesso.

Tutto quello che possiamo dire è, che nella nostra immaginazione di sessualità autonoma gli uomini e le donne avranno uguale accesso alla sessualità, vi parteciperanno in maniera uguale, avranno il diritto a dire ‘sì’ o ‘no’ e non ci sarà spazio per senso di colpa o oppressione.

Non viviamo in un mondo ideale dal punto di vista sociale, oggi come oggi. Non sappiamo quando o se un ordine sociale ideale verrà mai attuato. Nel nostro mondo men ché ideale, se accettiamo l’uso di transazioni economiche per ottenere del cibo, o per la nostra salute – perché fare sesso in cambio di denaro è considerato così amorale e inaccettabile? Forse in un mondo ideale non ci sarà bisogno affatto di questo tipo di transazioni – forse sarà un mondo dove i bisogni materiali, emotivi e intellettuali e sessuali di tutt@ saranno soddisfatti equamente e con piacere e gioia. Non lo sappiamo. Tutto quello che possiamo fare ora è esplorare le ineguaglianze e ingiustizie, mettere in dubbio le loro fondamenta e e confrontarci con loro, sfidarle, e cambiarle.

In che direzione sta andando il nostro movimento?

Il processo di lotta nel quale noi, membri del Comitato Mahila Samanwaya, ci stiamo impegnando è appena cominciato. Pensiamo che il nostro movimento abbia due aspetti principali. Il primo è di discutere, definire e ridefinire il mare di domande riguardanti il genere, la povertà, la sessualità nei quali ci stiamo imbattendo nel corso del processo stesso di lotta. La nostra esperienza nel Comitato Mahila Samanwaya mostra che, affinché un gruppo marginale possa ottenere anche la più piccola vittoria, diventa un imperativo combattere contro un ordine materiale e simbolico onnicomprensivo che non solo forma il discorso dominante all’esterno dell’industria del sesso, ma che, e forse questo è più importante, storicamente ha condizionato il modo in cui negoziamo il nostro posto in quanto sex worker all’interno dell’industria. Questo complesso processo a lungo termine dovrà continuare.

In secondo luogo, l’oppressione che viene praticata su di noi quotidianamente con l’aiuto delle ideologie dominanti, deve essere urgentemente e costantemente affrontata e opposta. Dobbiamo combattere per migliorare le condizioni del nostro lavoro e la qualità materiale delle nostre vite e questo può avvenire grazie ai nostri sforzi per far sì che noi, sex worker, possiamo arrivare a controllare l’industria del sesso. Abbiamo già cominciato questo processo – oggi in molti quartieri a luci rosse nelle città e nei villaggi, noi, sex worker, organizziamo i nostri forum per creare solidarietà e forza collettiva all’interno di una comunità più grande di prostitute, forgiando un’identità positiva per noi stesse in quanto prostitute e per segnare uno spazio per agire per conto nostro e per noi stesse.

Anche gli uomini che si prostituiscono sono dalla nostra parte.

Il Comitato Durbar Mahila Samanwaya è stato originariamente fondato da donne sex worker di Songachhi e dai vicini quartieri a luci rosse, e inizialmente per prostitute donne. Ma, dopo meno di due anni dalla fondazione del comitato, uomini sex worker si sono uniti a noi di propria iniziativa. Questi uomini sex worker offrono servizi sessuali principalmente a uomini omosessuali. Poiché la nostra società è molto omofobica, e poiché un atto di penetrazione tra adulti maschi consenzienti può ancora essere punito legalmente, lo status materiale e ideologico dei sex worker maschi è ancora più precario. Dunque noi gli abbiamo dato il benvenuto in quanto compagni, e crediamo fortemente che la loro partecipazione renderà il movimento sex worker veramente rappresentativo e potente.

Il movimento sex worker sta continuando – perché deve continuare. Crediamo che le domande sulla sessualità che stiamo facendo non riguardino solo i/le sex worker, ma anche ogni uomo o donna che mette in discussione ogni tipo di subordinazione  – che sia all’interno della società o all’interno di loro stessi. Il movimento è per chiunque si batte per un mondo equo, giusto, libero dall’oppressione e soprattutto felice. La sessualità, come la classe e il genere, ci rende chi siamo. Negare la sua importanza è accettare un’esistenza incompleta in quanto esseri umani. L’ineguaglianza sessuale e il controllo della sessualità generano e perpetuano molte altre forme di ineguaglianza e sfruttamento. Vogliamo sradicare le radici di ogni ineguaglianza attraverso il nostro movimento. Dobbiamo vincere questa battaglia e dobbiamo vincere la guerra – per un’uguaglianza tra generi, per una società equa, emotivamente appagante, intellettualmente stimolante e inebriante per uomini, donne e bambini.

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