Comunicazione, Contributi Critici, Culture, Violenza

Genealogia di un serial killer

I primi a parlarne furono quelli che travisarono le gesta di misogini ai danni di prostitute in pieno ottocento vittoriano.

Seguirono gli Stati Uniti che hanno difficoltà a parlare di femminicidio, stupro e violenza di genere e dunque hanno rinominato un mostro per insistere sulla sicurezza delle donne nella famiglia tradizionale.

Avendo facilitato gli spostamenti da uno Stato all’altro, ciascuno con propria legislazione e per vari anni senza comunicazioni rapide sulle accuse e condanne di colui che impunito reitera il comportamento criminale, hanno dovuto trovare una formula che giustificasse la propria incompetenza. Dunque ecco il serial killer, pressoché definito come colui che uccide più di tre persone, dunque un padre che fa strage di moglie e figli dovrebbe rientrare nella tipologia. Invece a rientrarvi è il femminicida che uccide donne ovunque e ovviamente continua a farlo se la cultura lo legittima.

Su un semplice stupratore e assassino si realizzano congetture utili sul piano letterario, lo si esalta per trasformarlo in un mostro assetato di sangue e sulla conoscenza di costui si realizza un impianto teorico che forma i cosiddetti profiler.

Costoro ammantano la descrizione del femminicida di alone quasi mistico. Gli conferiscono un inatteso status sociale. Lo mitizzano e lo ricostruiscono in quanto brand. Parlano di modus operandi per definire la semplice differenza tra un assassino e l’altro. Regalano agli assassini nuovi metodi per immaginarsi grandiosi e unici. A loro basta annusare l’aria e declamano nome e numero di codice fiscale del killer, colore della pelle e finanche numero di scarpe e quante volte a settimana fa la cacca il soggetto profilato. Spiegano se il carnefice è proprietario di immobili e quali siano le sue preferenze in fatto di mobilia. Costui ama gli armadi a muro e il letto a baldacchino, vostro onore. È lui per forza, vostro onore.

Nel frattempo si fabbricano stereotipi precisi che resistono a qualunque decostruzione culturale.

Il serial killer deve essere necessariamente:

– colto e raffinato;

– amante dell’opera o della musica classica;

– perfetto conoscitore di vini e con ottime abilità culinarie;

– di ceto sociale altissimo;

– con l’immancabile cadavere mummificato della madre presente in casa propria (come Psycho insegna);

– con ottime abilità nel personalizzare armi, come se negli Stati Uniti non le vendessero ad ogni angolo;

– con una immaginazione fuori dal comune e sempre a emulare Hannibal il cannibale o Shining;

– quando commette crimini riesce magicamente a sfuggire alla sorveglianza grazie al potente berretto da baseball (che rende invisibili coloro i quali lo indossano);

– con personalità discutibili, dai pensieri contorti per costituire malattie mentali neppure descritte sul Dsm;

– con il gene della presunta psicopatia in via ereditaria (e qui siamo alla polizia precrimine di minority report);

– con la tendenza a esercitarsi da piccoli sugli animali per meglio realizzare i piani criminali da adulti (una capacità e determinazione che neppure i geni da Nobel…);

– di genialità e abilità eclettiche che neanche Einstein;

– con atteggiamenti utili a realizzare stigma sulle reali malattie mentali;

Che altro?

Basta leggere un thriller o vedere un film e vi parrà di aver seguito reali vicende invece che copioni fasulli che vi allontanano da una realtà molto più triste, banale e priva di particolari appetitosi per chi va in cerca di scoop.

Sono impegnata a leggere. A presto.

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