Comunicazione, Critica femminista, Precarietà, R-Esistenze, Violenza

Perugia: le PDemocratiche in festa rivendicano di aver messo in sicurezza le donne

Ieri La PantaFika arriva e dice di essere stata ad una iniziativa surreale. Ne parliamo un pochino e nel frattempo c’è da elaborare il fatto che alle audizioni parlamentari sul decreto legge femminicidio succede che per esempio l’intervento più interessante, a mio avviso, quello di Barbara Spinelli, viene troncato dopo pochi minuti e non si capisce bene per il resto chi è che si oppone al Dl e chi invece lo rivendica. Chi lo vuole così com’è nella conversione in legge e chi lo vuole modificare. All’iniziativa di Perugia comunque c’era Loredana Lipperini la quale avrebbe dovuto presentare il libro sul  Femminicidio, suo e di Michela Murgia, e ci fa sapere, in una discussione via faccialibro che in realtà del libro s’è parlato quasi niente, ha espresso le sue critiche, già tra l’altro note, al Dl e si è trovata, suo malgrado, nel bel mezzo di un incontro tra rappresentanti locali del Pd e parlamentari nazionali. Di tutto ciò Loredana promette di farci un report domani e così avremo forse più chiaro che, come anche emerge dal report di PantaFika, le donne del Pd (un’area Snoq) non solo non hanno voglia di opporsi al Dl ma addirittura lo rivendicano.

Questa è la cronaca di PantaFika: da Incroci De-Generi. Buona lettura!

>>>^^^<<<

Sabato 14 settembre, alla libreria Feltrinelli di Perugia, nell’ambito della festa delle democratiche, si è tenuto un incontro a partire dalla presentazione de L’ho uccisa perché l’amavo, di Lipperini-Murgia. Partecipavano Loredana Lipperini, Maria Grazia Passuello, presidente di Solidea, la senatrice Maria Grazia Cirinnà e la deputata Fabrizia Giuliani, entrambe nelle rispettive commissioni Giustizia. Coordinava Maria Grazia Pugliese, PD Firenze.

Arrivo con mezz’ora di ritardo – gli autobus, a Perugia, sono vecchi, lenti, spesso si fermano per strada e ciononostante il prezzo del biglietto aumenta – e trovo una platea risicata, una trentina di persone, quasi esclusivamente donne, alcune delle quali sono facce abbastanza note, funzionarie di partito del PD. L’assessora Lorena Pesaresi è nel mezzo di un resoconto-panegirico del progetto Umbria antiviolenza, del percorso di formazione di operatrici per l’apertura di due centri antiviolenza in Umbria, dell’attività  ventennale del telefono donna, istituito presso il Centro pari opportunità. Marketing istituzionale, insomma, che sento fare nei medesimi termini ogni qualvolta prendo parte ad uno degli eventi organizzati dal Centro pari opportunità.

Un encomio di se stessa, che tralascia di rendere conto anche della tipologia di contratto con cui verranno assunte le operatrici selezionate e soprattutto quanto verranno pagate. A me risulta 4 euro l’ora, non so se lorde o nette, non so con che tipo di contratto, vorrei chiederlo, ma sono appena arrivata e non voglio interromperla. E’ la volta di Maria Grazia Passuello, segue lo stesso identico resoconto-panegirico per l’attività di Solidea, il marketing adesso è esteso anche al Dipartimento demografico dell’università la Sapienza di Roma, che ha contribuito a realizzare un osservatorio sulle donne in difficoltà e vittime di violenza. A lei vorrei rivolgere le stesse domande che non ho fatto a Pesaresi, ma taccio e la ascolto per un quarto d’ora abbondante, diciamo anche venti minuti.

Quindi tocca a Fabrizia Giuliani, cui la mediatrice chiede di riferire sull’iter parlamentare del DL cosiddetto sul femminicidio, attualmente in discussione per la conversione in legge. La deputata apre riallacciandosi ad un precedente intervento di Lipperini, che però mi sono persa causa ritardo, cita Recalcati, insiste sulla necessità di un corretto uso del linguaggio. Onestamente, non capisco dove voglia andare a parare. Le è stato chiesto di riferire sull’iter parlamentare del decreto, ma lei traccheggia avvalendosi di un repertorio retorico che attinge a piene mani dalla filosofia della differenza: il riconoscimento della nostra diversità – rispetto a chi, a cosa? –  la parità di diritti, l’uguglianza intesa come equa spartizione del potere fra il genere maschile e quello femminile. Anche in questo caso, avrei diverse domande da fare e numerose riserve da esprimere, ma taccio in attesa di una risposta precisa ed esaustiva alla domanda, che sta tardando ad arrivare.

Il monologo è interrotto da una riflessione della Lipperini sul codice etico dei giornalisti e una domanda a lei rivolta dal pubblico. Finalmente, Giuliani chiude la lunghissima parentesi e passa al DL, di cui elogia immediatamente il fatto di riconoscere, per la prima volta nella storia d’Italia, l’esistenza della violenza domestica e di quella assistita. Sta per prendermi un colpo di sonno, quando improvvisamente balzo sulla sedia udendo la compiaciuta affermazione abbiamo messo in sicurezza le donne. Lo ripete una, due, tre volte, rivendica a sé e al proprio partito la scelta obbligata di una politica securitaria per contrastare la violenza di genere.  Sì, il securitarismo è necessario per mettere in sicurezza le donne. Al mio fianco vedo qualche testa annuire soddisfatta, allora domando: “Scusa, ma che significa mettere in sicurezza le donne?” “Chiedilo a lei” è la risposta. Giuliani si ferma per passare la parola a Cirinnà, ma a questo punto io non posso più tacere.

Alzo la mano e la voce e le chiedo cosa significhi esattamente  mettere in sicurezza le donne, un‘espressione che più che ad una persona, mi fa pensare ad un cantiere edilizio. Già che ci sono, chiedo anche quante risorse sono state destinate ai centri antiviolenza, precisando che voglio una risposta secca, i soldi, la cifra, quanti euro. Giuliani fa una smorfia, ha individuato la nemica e mi dice “lo so che a te non piace questa espressione, però così deve essere”. A me non piacerà, però è necessario. Si, ma cosa significa? Interviene la mediatrice e suggerisce di rimandare il dibattito alla conclusione dell’ultimo intervento. Manca una risposta, però. La cifra destinata ai centri antiviolenza si potrà dire, non richiederà troppo tempo, no? A quanto ammonta, allora? La cifra, voglio la cifra. Percepisco un certo imbarazzo, con un giro di parole il succo del discorso è: non è stato destinato niente, ma lo dico io. “Ah, non avete destinato niente, nemmeno un euro, ho capito bene? “. Ti ha detto di no” mi risponde secca Pugliese. “Sai, c’è la crisi”, aggiunge dispiaciuta Giuliani.

Io vorrei allora sapere come mai, se c’è la crisi, con il DL si sono trovati i circa 6 milioni e 300.000 euro, per il solo 2013, per le forze di polizia e forze armate. Però mi viene impedito, non è corretto, sto togliendo spazio alla senatrice, adesso spetta a lei, poverina, è stata sempre in silenzio e io non la sto facendo parlare. Promettendomi che sarà breve, anche  Cirinnà apre con il solito repertorio della differenza, le donne in quanto donne e gli uomini in quanto uomini, la parità e l’uguaglianza, l’autodeterminazione e l’empowerment, una parola, assicura, che a noi piace tanto, ma che, le vorrei far notare, significativamente non ha un corrispettivo nella lingua italiana. Poi, terminato il sermone differenzialista, guardandomi annuendo denuncia la mancanza di risorse della giunta Alemanno e le difficoltà  con cui si sono dovute confrontare le donne in quanto donne che hanno lavorato contro la violenza di genere.

Frutto di questo impegno è  un opuscolo che viene generosamente distribuito tra le presenti, perché se ne possa avvalere chi lavora nelle istituzioni al servizio delle donne. Io non lo prendo, perché detesto la pubblicità e perché non lavoro nelle istituzioni, ma sono e intendo rimanere una militante femminista autonoma. Ad un certo punto, interviene Loredana Lipperini,  promettendo anche lei di essere breve, per far notare che utilizzare questo decreto per sponsorizzare il governo italiano al G6 non è stata proprio una bella mossa. Infine, quando mi sembra evidente che il passaparola fra le convitate di pietra è terminato, rialzo la mano per riprendere le domande da dove ero stata interrotta. “Ora posso parlare, vero?” “Sì, ma senza togliere spazio alle altre, che stai parlando solo tu. Intanto presentati”.

Dico il mio nome, mi rivolgo alla mediatrice che precedentemente si era identificata come insegnante, sostenendo di conoscere bene dalla sua cattedra la mancanza di risorse per una cultura della parità, e inizio a presentarmi “Faccio, e non sono, come te l’insegnante, ma sono precaria da 13 anni e ho anche l’esenzione dal ticket per povertà. Da questa posizione, chiedo a quale autodeterminazione ed emporwerment ci si riferisca quando ci sono donne che, anche a causa della mancanza di reddito, sono costrette a dipendere da un partner che non possono lasciare anche quando è il loro persecutore. Voglio sapere quali misure prevede il decreto per le precarie come me, per le disoccupate, le inoccupate, le povere.” Chiedo finalmente conferma alla Pesaresi del compenso delle future operatrici dei tanto celebrati centri antiviolenza che apriranno a Perugia e a Terni. La Pesaresi mi sorride, sì, sono quattro 4 all’ora, più o meno. “Come più o meno, sono lorde o nette?” “Eh, ma quante ne vuoi sapere”, è la risposta. In effetti, poco importa. Retribuire una operatrice di un centro antiviolenza 4 euro, anche nette, all’ora, non è forse sfruttamento? Non è una forma di violenza anche questa?

Le guardo strabuzzare gli occhi, il pubblico, prima quasi infastidito dalla mia smania di prendere parola, ora ascolta in silenzio e sembra aver cambiato umore. Sicuramente l’hanno cambiato le mie interlocutrici, che tentano di contenermi passandosi il microfono. “Ma adesso, con tutto il rispetto per la tua condizione, non possiamo discutere di questo”, mi interrompe la mediatrice. “Non sto parlando di me. Mi avete chiesto di presentarmi e l’ho fatto. C’è o no una correlazione fra le condizioni materiali di vita e la violenza che si subisce? Ci si può autodeterminare senza reddito?” “Ma guarda che ti sbagli, non è che si rimane con il partner solo per una dipendenza economica” tenta di correggermi la deputata. “Ho detto ANCHE. Allora per te c’è o non c’è questa correlazione?” L’imbarazzo è in forte aumento, anche perché si cerca sostegno nel pubblico, che adesso non sembra poi così compatto. “Allora i vecchietti che toccano il sedere alla badante? per te non è violenza quella?” tenta di distrarmi la senatrice, ma sarebbe stato meglio per lei tacere, perchè la sparata è evidentemente fuori luogo e non convince nessuno, tanto che la mediatrice si vede costretta a riprendere  il microfono e ad iniziare uno sproloquio sulla necessità di stare tutte unite.

Sì, dobbiamo stare tutte unite e chi fa conflitto non è utile alla causa. La violenza di genere si combatte tutte insieme, tenendoci per mano, compatte, senza creare divisioni, conflitti, dissapori…tutte unite….tutte unite…A questo punto, non ne posso più, alzo la voce, perché lei ha il microfono e io no, e chiedo forte: “Ma pagare un’operatrice quattro euro all’ora è violenza o no? Mi rispondete o no?” Si crea scompiglio. Pesaresi e Pausello, che prima tanto avevano celebrato le attività istituzionali, i “loro” punti di ascolto, telefoni rosa e centri,  sono a testa bassa, mute, da un pezzo. Anzi, la Pesaresi non è proprio muta, ma ha continuato a parlare per tutto il tempo solo con il suo vicino di sedia. Neanche ci provano adesso a dire qualcosa di rosa.

“Ma… io… non saprei che dire…. non mi compete…. non posso rispondere” balbetta Giuliani. “Da chi di noi lo vuoi sapere” tenta di mediare Pugliese “Da tutte” “Hai sentito che ti ha detto? Lei non ti può rispondere” incalza a muso duro, ma io sono più dura di lei “Come non mi può rispondere, non mi può dire qual è la sua opinione?” e di nuovo, raccolgo tutta la voce che ho in gola e  torno a rivolgermi a Giuliani “Ma per te è una forma di violenza oppure no, pagare un’operatrice 4 euro l’ora. E soprattutto, ma tu quanto guadagni, 4 euro l’ora?” Giuliani, quella del securitarismo ad oltranza, è in panne. Con quel microfono che sembra le stia scoppiando in mano, guardando la mediatrice che le ha passato la patata bollente, torna a balbettare “Sì, vabbe’, per me è una forma di violenza pagarla 100 euro l’ora”, evidentemente mischiando nella confusione la risposta alle due domande che le avevo rivolto e tradendo, con il suo lapsus, la differenza, questa sì, di classe che la divide da me e da quelle operatrici che saranno condannate ad una vita di sfruttamento proprio da quei centri dove dovrebbero contribuire a combattere la violenza di genere, mentre presidenti, senatrici, deputate e assessore  vanno in giro di festa in festa ad autocelebrare i propri trionfi.

Ma io non ho ancora finito “Allora, se per te anche questa è violenza, mi dici da chi è esercitata? Non sono forse proprio le istituzioni e lo Stato?” A questo punto, è finita. Pugliese, ripreso il microfono, ex abrupto dichiara terminato l’incontro. E’ tardi e non ce la fanno più. “Pensavo di venirmi a rilassare in Umbria e invece…” cerca di captare la benevolentia di un pubblico che oramai non la sta più a sentire. Vi piacerebbe, vero, continuare a parlarvi addosso senza contraddittorio e a farci la pelle indisturbate? E invece….

Lascia un commento

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.