Antisessismo, Comunicazione, Violenza

Violenza e cultura dell’appartenenza

Non è un processo. A decidere chi è colpevole e in che misura saranno altri. Io faccio comunicazione.

Articolo de Il Mattino segnalato da Monica (grazie!).

La vicenda è quella di una ragazza presa a calci alla quale hanno dovuto asportare la milza.

La posizione del quotidiano la leggi su titolo e sottotitolo:

«Antonio era pazzo di lei, è arrivato a regalarle mille euro di fiori»
Il barista di Casal di Principe: «Caliendo era generoso ma provato da vicende di cuore»

Un quotidiano può fare due scelte quando parla di queste cose. Dipende qual è il suo target. Il target di Repubblica è quello che se attacchi l’etichetta del Femminicidio ovunque il pezzo viene condiviso un tot di volte e quindi c’è più guadagno in pubblicità. Le testate minori possono accodarsi, ma non ricavano uguali visite, ovvero possono ricavare altri lettori incrociati tra innocentisti e colpevolisti ben sapendo che un titolo del genere susciterà indignazione. Quindi a volte è una scelta di campo precisa e a volte invece è una scelta di marketing. Dove non fa brand la condanna chiara del gesto diventa “utile” la provocazione. Perché becchi accessi per il fatto di usare il termine tentato femminicidio o per via dell’ostilità e l’incazzatura di chi legge invece che voleva ammazzarla perché l’amava.

Poi, l’articolo, definisce il personaggio. Fino a ieri nessuno avrebbe detto fosse violento. Gli inquirenti però dicono che ha vari precedenti penali per lesioni personali, ingiuria, violenza privata e violazione di domicilio.

Comunque ci troviamo a leggere un articolo di cronaca. Dovrebbe dare notizie su tutti i protagonisti della vicenda. Ne dà moltissime sull’uomo accusato di aver picchiato la convivente. Ci sono tanti “si dice” o “in paese dicono“. Si parla della sua ex ragazza, ancora viva, pare.

Intervistano perfino il titolare di un bar che tira fuori tanti complimenti. Sicuramente pagava per se’ e per gli amici. Pare spendesse molto anche in regali per la ex ragazza che l’ha lasciato. La fine della storia l’avrebbe fatto diventare “sospettoso“, “provato“, “con addosso una «ferita» difficile da rimarginare dal primo rapporto. Sospetti e gelosia che” lui “ha portato poi anche nella nuova relazione“.

La storia continua e scopriamo che “Per questa ragazza aveva completamente perso la testa, lo vedevamo sempre più rapito e ricordo che, in un’occasione particolare, le regalò fiori per un valore di oltre mille euro. Un giorno, addirittura, mi chiese di consegnarle la colazione a domicilio. Gli sarebbe costato tanto e lo feci desistere“. Il barista conclude che “È stato da me anche per l’ultima festa della Befana comprando regali non solo per il piccolo figlio di lei, ma anche per i familiari della ragazza“.

L’articolo continua a insistere su questo dettaglio.

Una spesa non indifferente, per fare bella figura con tutti. Un modo di fare che gli era evidentemente proprio e nessuno avrebbe potuto immaginare. Un doppio comportamento, contrastante, …“.

Quindi da un lato parrebbe esserci Dottor Jekill e dall’altro Mister Hide. Così si completa l’interrogativo su chi mai può aver fatto questa brutta cosa a questa bella guagliona.

Su di lei appena poche righe alla fine: un figlio, i concorsi di bellezza, un titolo nel curriculum, un sacco di botte, gelosia. Lui lavorava con il padre, mamma casalinga, sorella avvocato che lo sta seguendo.

L’articolo è lo specchio di una mentalità precisa che svela come non si ritenga possibile vi sia un legame tra quel tanto acquistare roba e il considerare una ragazza di proprietà. Non c’è un Jekill e Hide ma è l’espressione di una subcultura delle relazioni che almeno dalle mie parti conosciamo bene.

L’articolo perciò sembrerebbe rivolto a quel tipo di mentalità e a quel tipo di pubblico. Le critiche che gli pioveranno addosso sono tutto oro colato.

Di attenuanti culturali ne troviamo due, fortemente stereotipate e sessiste:  la ex lo aveva lasciato un tantino provato e diffidente, dunque sarebbe colpa della ex se lui si comportava un po’ così con l’attuale ragazza. Della ragazza attuale si può dire che insisteva con i concorsi di bellezza e questo suggerisce che sia molto bella, ambita, e lui abbia ragione ad esserne geloso. Dunque il ritratto è di un bravo ragazzo provato da una tizia che l’ha mollato e costantemente sotto pressione per l’avvenenza della nuova compagna. In entrambi i casi lui ha speso un capitale per queste due donne.

In tutto ciò quel che io ci leggo, dato che è una mentalità che conosco perfettamente e che sfuggo come la peste, la gratificazione che deriva dal fatto di stare con uno che ti apre tasche e portafogli per dimostrarti che vale la pena stargli vicino, il fatto di non poter gestire una relazione senza obblighi per via del figlio né di poter contare sulla disponibilità di lui affinché tu cresca, faccia carriera, ti rendi economicamente indipendente. Perché se lui ti compra tante cose e tu vuoi guadagnare per conto tuo è già un affronto. Se poi vuoi guadagnare contando sulla tua bellezza diventa improponibile.

Ma in tutto ciò: perché lei è rimasta con uno che l’aveva già picchiata? E poi: sopravvissuta e fuori dall’ospedale, siamo sicuri che non lo vedrà mai più? Perché in queste cose nulla mai si può sapere. E se deciderà di rivederlo che si fa? La si priva del diritto di scegliere se denunciare o meno? La si ricovera in un reparto psichiatrico per farle passare la voglia? Le si dice che saranno cazzi suoi, così come fu detto più o meno a Rihanna? Allenatevi pure a immaginare soluzioni e così vediamo quali livelli di autoritarismo si possono raggiungere in nome della lotta contro la violenza sulle donne.

Perché nelle versioni innocentiste o colpevoliste passa in gran carriera il fatto che le verità siano spezzate in due quando ancora sono confuse perfino per chi le vive. Il pubblico esige un colpevole, da una parte e dall’altra. Dunque quel colpevole diventa la vittima o il carnefice o perfino la sua ex. Si volesse seriamente capire si indagherebbe quella cultura della quale entrambi, evidentemente, si nutrivano e si nutrono, e mentre c’è chi vuole lui impiccato e lei canonizzata, finisce che nessuno mette in discussione la cultura che sarà veicolata altre mille volte e che diventerà motivo di altri, tanti, delitti.

Catarsi vuole che lui sia reputato responsabile di questa mostruosità, e picchiare a sangue una donna comunque è una responsabilità individuale perché gli individui possono sempre scegliere e se scelgono di farti del male non esiste alcuna giustificazione che possa renderti più gradito al mondo. Ma archiviato lui resta intatta quella cultura, la vedi per le strade, ne leggerai e sentirai parlare mille volte, ci saranno tanti ancora che compreranno mille regalini e dunque rivendicheranno l’appartenenza di ogni persona toccata dalla propria “generosità”. Ci saranno anche tante ragazze che si sentiranno gratificate o partecipi alla relazione con questo genere di macho che si affatica a mostrare che può permettersi tutto e non deve chiedere mai, colui che non sa gestire in definitiva quei rapporti che pure ha costruito sull’acquisto. Quella cultura, dunque, non la combatti né con le aggravanti legislative né con tutte le formule repressive di cui parlano i ministri.

Non sto giudicando la storia perché non ne so niente, so per esperienza che quel che scrivono i giornali non sempre è vero, e sto commentando la notizia così per come è data. E’ comunque un gran bel caso che frutta tanti incassi alle testate giornalistiche locali. Peccato che sul nazionale passi meno (“peccato” è ironico) perché al momento la notizia è per i ghanesi. Fosse stato un ghanese, lui, la storia sarebbe in prima pagina. Invece no.

2 pensieri su “Violenza e cultura dell’appartenenza”

  1. bisogna distinguere appartenersi reciprocamente non implica i calci nella milza..quello non è amore, non c’entra nulla.
    E fare dei regali alla persona amata non vuol dire per forza comprarla nè è prova provata di persona violenta. Questo qua forse pensava di avera comprata ma non è detto che tutti quelli che regalano fiori siano come questo qua..anzi so per certo che non è così

  2. ciao, io ho dei dubbi lessicali, non per fare il rompino, ma perché mi pare che il termine sessismo venga esteso in maniera un po’ variabile. Quindi non ho capito perché hai definito le attenuanti culturali sessiste.

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