Antiautoritarismo, Antispecismo, Critica femminista, R-Esistenze

Il paradosso del paragone tra animalist* e pro-life: una riflessione

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Andy Warhol era un profeta.

Da Intersezioni:

Davvero molto interessante osservare lo tsunami di commenti che si sono avvicendati sui social, a velocità frenetica, in seguito alla mediatizzazione del caso di Caterina (la nostra riflessione in merito è qui). Quello che colpisce è la quantità di preconcetti, frasi fatte, inesattezze ripetute come mantra a qualsiasi interlocutore, possibilmente farcite di aperto disprezzo, dileggio, ostilità e violenza verbale. Mantenere toni pacati quando qualcun* ti grida in faccia di essere “estremista” – peraltro ignorando qualsiasi tuo tentativo di stabilire una connessione, un dialogo che ristabilisca la possibilità di una riflessione pacata – è davvero un’impresa ardua. Riflettere dunque è quello che cerchiamo di fare qui, e riflettere costa certo più tempo e fatica che insultare e pontificare in 150 parole, ma dal nostro punto di vista, è sicuramente più interessante e produttivo.

Da dove partire dunque? Beh, la tentazione di riprendere per filo e per segno le tante assurdità speciste lette o ascoltate in questi giorni è forte: essendo tutt* nat* e cresciut* in un milieu specista, sarebbe divertente – se non fosse tragico negli esiti per gli animali non umani – rilevare come la mente addestrata ad essere specista dall’infanzia infarcisca di giustificazioni pseudomorali, pseudoevoluzionistiche e financo pseudocreazioniste la realtà dell’uso della violenza che sottende il dominio, il potere, l’assoggettamento schiavistico e utilitaristico dei cosiddetti ‘animali’ (non umani, aggiungiamo noi). L’acriticità con cui si usano i più svariati argomenti, spesso contraddittori, allo scopo di giustificare l’uso della violenza e il mantenimento del privilegio specista è davvero aberrante, di una malafede senza fine e caratterizzato da un dogmatismo raro (un esempio per tutti, nello stesso dialogo si pone la radicale differenza tra ‘umani’ e ‘animali’, schiacciando in un calderone informe zanzare e scimmie antropomorfe che condividono il 90% del patrimonio genetico con noi, che a questo punto dobbiamo per mantenere le distanze elevarci al parnaso dei semidei), per poi usare invece l’esempio dei carnivori obbligati e le attività di predazione come giustificazione dell’uso della violenza  -ah, ma allora siamo animali? – e stabilire quindi che anche se siamo così indubitabilmente divers* non lo siamo poi davvero nel momento in cui ci serve utilizzare gli animali per la sperimentazione a beneficio umano, i quali insomma sarebbero uguali a noi quando ci serve utilizzarli, ma diversi da noi quando gli interessi da salvaguardare sono i loro, che passano continuamente dallo status di simili a quello di dissimili senza che nessun* alzi un sopracciglio).

Un vero insulto a quel carattere di intelligenza, moralità ed etica che si presuppone alla radice di tutta questa ‘differenza innata’ tra ‘noi’ e gli altri animali. A volte un sincero “sarà come dite, ma in sostanza me ne frego” sarebbe molto più dignitoso, anche perché le pseudo-giustificazioni ricordano tanto le dinamiche di potere che opprimono le donne su basi ugualmente false e arbitrarie (in bocca a quegli uomini che usano allo stesso modo il proprio potere e privilegio a proprio vantaggio, giustificandolo affermando ad esempio che le donne ‘se la sono cercata’ quando vengono stuprate, che le donne sono ‘naturalmente materne’ pertanto da ricacciare nell’ambito domestico e di cura senza se e senza ma, ecc.ecc.)

A proposito donne, e a proposito di femministe.

Dal mio punto di vista situato – di donna e femminista antispecista – sento l’esigenza di focalizzare l’attenzione su di un aspetto particolare, nel quale sono incappata diverse volte in questi giorni, per lo più in ambito femminista: il paragone tra animalist* e pro-life, sul quale vorrei spendere qualche parola in più.

Prima di tutto, è interessante notare come le uscite inqualificabili di alcuni individui, identificati come animalist*, ma che non esiterei a definire persone psicologicamente disturbate, siano state usate a pretesto per definire in senso negativo un’intera categoria di persone (e, ancor peggio, ricacciare gli animali nel loro inferno senza ripensamenti o dubbi): una generalizzazione funzionale alla creazione del ‘mostro antispecista’, essere umano che ha voltato le spalle alla propria specie per una forma di perversione o odio di sé o masochismo, che ne fa un essere pericoloso e distruttivo, per sé e per gli altr*. Questa dinamica ha generato una fiumana di reazioni parimenti odiose o anche più estremiste da parte di specist* che però non avrebbero potuto essere messe in discussione nemmeno da un Gandhi redivivo, in virtù di un appiattimento e di una polarizzazione del discorso che ha realizzato un conflitto cieco e violento al pari di quello tipico delle curve di uno stadio alla domenica pomeriggio.

Questa dinamica ha caratterizzato gli scambi anche all’interno di contesti che avrei reputato meno inclini a facili generalizzazioni, come quello femminista, il quale, apparentemente aperto all’intersezionalità – quando parla di relazione inscindibile tra antisessismo e antirazzismo ad esempio per dirne una – spesso rinsalda il proprio muro difensivo dogmatico di fronte a qualsiasi tentativo di problematizzazione in senso antispecista, anche di fronte a persone appartenenti allo stesso contesto che, in altre situazioni, non si è esitato a definire “compagne” o “sorelle”… alla faccia della sorellanza!

La dinamica probabilmente dipende da fattori complessi, che passano anche attraverso la difficoltà di esperirsi non solo in quanto categoria oppressa ma anche oppressiva (risulta difficile farlo anche tra diversi femminismi!), dalla ancora relativa invisibilità dell’oppressione specista (un’oppressione è tanto più invisibile quanto più è considerata ‘normale’ dalla maggior parte della persone appartenenti alla categoria che detiene il privilegio), dalla paura tutta femminista di essere ricacciat* in un animalità che, da tempi immemori, è stata la cifra caratterizzante di tutto un discorso volto a dominare i corpi e le vite di donne, persone di colore, diversamente abili, comunità deboli in generale.

Il fatto che lascia perpless* però, è che invece di smascherare i meccanismi che stanno alla base dell’oppressione – ad esempio la creazione arbitraria di una supposta distinzione di valore, atta a dare ad alcuni soggetti diritto di esistenza e di qualità dell’esistenza, a scapito dell’esistenza e della qualità dell’esistenza di altri soggetti – squalificati per le proprie differenze da un ‘esemplare tipo’, di volta in volta ricalcato su chi in quel momento è il dominante (il maschio bianco eterosessuale occidentale in un caso, l’essere umano generico nell’altro) – si cerca semplicisticamente di rientrare nell’insieme privilegiato, senza andare a sradicare il sistema di dominio basato sull’imposizione del proprio potere, perlopiù coercitivo, su altri individui.

Tra le strategie che sono state utilizzate in questo senso, una merita particolare attenzione, ed è quella di paragonare l’atteggiamento animalista (o antispecista, parola che andrebbe conosciuta meglio negli ambiti di attivismo sociale e che è invece altezzosamente ignorata) a quello dei militanti pro-life: un tasto dolorosissimo e sensibile per tutte le femministe, che ha come risultato una chiusura difensiva a riccio, ma a ben vedere un paragone completamente erroneo, come cercherò di far intendere a chi ha avuto la pazienza di leggere fino a qui.

Quello che le femministe faticano a vedere è che, nei fatti, è proprio l’elevazione arbitraria della vita umana a valore insuperabile e inarrivabile,  una sacralizzazione che va a braccetto con la foga religiosa anch’essa è da sempre propugnatrice di privilegi impossibili da scalfire in virtù dell’adesione ad una fede aprioristica (che stabilisce il primato di dio sull’essere umano, dell’essere umano maschile su quello femminile, dell’essere umano in generale su tutti gli altri animali – tutte categorie e ‘caste’ presenti e ricorrenti in tutto il testo biblico a cui si rifanno la maggior parte dei pro-life) a proteggere il feto e ad elevarlo persino al di sopra della donna che lo porta in grembo, che è ridotta a contenitore di ‘vita in potenza’.

Il biopotere, che penetra nelle nostre vite e nei nostri corpi, sottostà alle stesse dinamiche e non fa grosse differenze, che si tratti di animali umani o non umani: anzi, spesso i non umani sono il ‘banco di prova’ di pratiche poi inevitabilmente utilizzate anche in ambito umano.

Pattrice Jones, attivista femminista antispecista, allarga la riflessione ulteriormente, e scrive in proposito:

Esiste in merito una corrispondenza superficiale, perché entrambe le controversie si focalizzano sul disaccordo fondamentale circa le prerogative delle persone in relazione a classi specifiche di organismi. Ma le somiglianze finiscono qui.  Diciamo che “la carne è assassinio” perché il mangiatore di carne non ha giustificazioni nell’uccidere un altro essere vivente al solo scopo di provare la sensazione piacevole che può derivare dal mangiar carne. Chi sostiene il carnivorismo offre ogni sorta di giustificazione alla pratica, ma nessuno può mettere in discussione il fatto che l’animale ucciso non è la stessa entità rispetto a chi si nutre della sua carne. La discussione verte quindi sul fatto se sia o meno giustificata l’uccisione, piuttosto che sul decidere se l’animale sia o meno un’entità separata. All’opposto, coloro che si definiscono attivist* “pro-life” definiscono l’aborto omicidio, mentre chi si definisce pro-choice risponde: “i nostri corpi, le nostre vite, il nostro diritto a decidere”.  Il fulcro del conflitto risiede perciò nel considerare l’entità abortita un individuo o meno. La maggior parte delle persone concorda nell’affermare che tutt* hanno il diritto di disporre dei propri corpi, fintantoché nel farlo non si nuoccia ad altr*. Allo stesso modo, quasi tutte le persone sono d’accordo nell’affermare che nessuno ha il diritto di uccidere un’altra persona salvo la giustificazione dell’autodifesa. Il problema qui, è il disaccordo che esiste sul quando una donna incinta e il feto che si sta sviluppando diventano entità separate. Non possiamo raggiungere un consenso sull’aborto perché la gravidanza è un processo misterioso.  All’inizio del processo esiste una sola persona che ha il diritto di disporre del proprio corpo, mentre alla fine del processo le persone esistenti sono due, e ognuna ha il diritto di non subire violenze da parte di altr*. Dunque nel corso del processo, l’organismo madre-figlio è precisamente il tipo di paradosso che la cultura occidentale non può tollerare: una persona e due individui allo stesso tempo. […] Per questo non sorprende che sia difficile trovare un punto di contatto […] anche tra donne.  In questo momento di empasse, sarebbe sicuramente più produttivo se i pro-life e i pro-choice, invece di passare il tempo a dibattere sull’aborto, focalizzassero la propria attenzione su quelle pratiche che sappiamo ridurre le gravidanze indesiderate, quali la contraccezione garantita per tutt*,  fare in modo che le persone, specialmente giovani, conoscano i diecimila modi di fare buon sesso che non includono la penetrazione, problematizzare e mettere in discussione quell’idea culturale che vede l’attività sessuale penetrativa alla base di una relazione sentimentale, ponendo la parola fine allo stupro e al sesso non consensuale caratteristico di molte relazioni eterosessuali, e allo sfruttamento sessuale. Se ci concentrassimo su questi aspetti, suppongo che la necessità di aborti diventerebbe così insignificante che smetterebbe di costituire una controversia di tali proporzioni […] Siamo onest*: a nessuna piace abortire. Non è orribile come una gravidanza indesiderata portata a termine, ma non è piacevole. La vera libertà riproduttiva  passa attraverso la libertà dalle gravidanze indesiderate.  Pertanto, mentre non ritengo la controversia sull’aborto in alcun modo analoga a quella riguardante la liberazione animale, credo che la libertà riproduttiva sia un tema centrale rispetto alla liberazione animale. Che cos’è esattamente il processo di domesticazione? Riduzione in schiavitù combinata a controllo della riproduzione. Come si perpetua l’allevamento? Attraverso il controllo totale delle vite riproduttive degli animali dominati. […] Dobbiamo approfondire e chiarire la nostra comprensione del ruolo centrale che ha il controllo della riproduzione nello sfruttamento, degli animali non umani e delle donne.

Ritornando perciò al concetto di biopotere.

Ribaltando il paragone erroneo tra animalist* e pro-life, ho cercato qui di dimostrare come la difesa del feto attuata dai pro-life scaturisca proprio da quell’idea di unicità inarrivabile e distanza tra l’umano e tutto ciò che non lo è; e di converso, che la biopolitica attuata sui corpi degli animali non umani anche in merito al controllo della riproduzione, è lo specchio e l’anticamera del controllo sempre più pervasivo che viene attuato anche sui corpi umani e la loro riproduzione (in merito perciò all’aborto, alla fecondazione assistita, ma allargando il discorso anche, ad esempio, su eutanasia e fine vita). Lo stringersi delle maglie del controllo da parte del sistema passa attraverso il corpo degli animali non umani, e lo specismo, discorso fondante della nostra società, ha avallato pratiche di dominio vergognose, che in realtà possono ritorcersi contro qualsiasi essere, umano e non.

Finché non abbracceremo un’idea davvero libertaria e rivoluzionaria che sostenga ‘senza se e senza ma’ la libertà e dignità di animali umani e non, finché non la smetteremo di disprezzare nel profondo ‘gli animali che dunque siamo’, non potremo che abbracciare, consapevolmente o meno, le dinamiche di dominio e di potere del sistema che diciamo di voler abbattere il quale sceglie, arbitrariamente e di volta in volta, le categorie da privilegiare e da opprimere.

Ignorare la sofferenza degli animali non umani, in sostanza, fa il gioco di quel potere che opprime da sempre non solo i non umani, ma anche innumerevoli e incolpevoli animali umani, ovvero… noi stess*. E’ ora di aprire gli occhi e rendersene conto.

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19 pensieri su “Il paradosso del paragone tra animalist* e pro-life: una riflessione”

  1. Vi seguo sempre con molto interesse, ma garbatamente vi dico che questa volta non sono d’accordo. Sono specista, mi dispiace, amo gli animali, sono ambientalista, ma per me la vita di un uomo non vale quanto quella di un gatto, di un cane o di un topo. E non per questo vorrei sentirmi dire che sono meno femminista di qualcun@ altr@.

    1. Lascia perdere una relazione + o -. Prima intendiamoci sui concetti, l’articolo l’hai letto? Di questo pezzo finale che ne pensi?

      —> Finché non abbracceremo un’idea davvero libertaria e rivoluzionaria che sostenga ‘senza se e senza ma’ la libertà e dignità di animali umani e non, finché non la smetteremo di disprezzare nel profondo ‘gli animali che dunque siamo’, non potremo che abbracciare, consapevolmente o meno, le dinamiche di dominio e di potere del sistema che diciamo di voler abbattere il quale sceglie, arbitrariamente e di volta in volta, le categorie da privilegiare e da opprimere.
      Ignorare la sofferenza degli animali non umani, in sostanza, fa il gioco di quel potere che opprime da sempre non solo i non umani, ma anche innumerevoli e incolpevoli animali umani, ovvero… noi stess*. E’ ora di aprire gli occhi e rendersene conto.

    2. E se ti dicessi che io, uomo, non sono cortesemente d’accordo con le tue concezioni antisessiste perchè -mi dispiace tanto- ma non riesco proprio ad attribuire a una donna lo stesso valore che attribuisco a un uomo, saresti sempre convinta che si tratta di una semplice questione di punti di vista nell’attribuire soggettivo valore a quanto ci circonda?

      1. Assolutamente sì, dato che non potresti avere la stessa conversazione con una pulce o un leone. Ma nessuno che si degni di rispondere alla mia domanda: che cosa fate quando intorno a casa vostra fanno delle campagne di derattizzazione. Se vi entrano i topi in casa, li accogliete come ospiti alla pari e gli servite il formaggio?

        1. infatti questo discorso non lo sto facendo con una pulce o con un leone, lo sto facendo con te che, in quanto essere umano razionale, hai le possibilità di affrontarlo. Per altro, cosa significa il fatto che un animale non è in grado di affrontare tematiche etico-filosofiche al pari degli esseri umani? Qui si discute il loro diritto alla libertà e alla vita, non il loro diritto a iscriversi all’università. Per giunta, sarei io che vorrei farti una domanda a mio avviso molto importante: secondo te, chi non è in grado di formulare ragionamenti come quello che stiamo analizzando, chi non è (a tuo avviso) al tuo pari dal punto di vista della razionalità, è di rimando sacrificabile e schiavizzabile? Gli animali sono schiavizzabili e sacrificabili perchè non dispongono (a tuo avviso) delle stesse doti razionali dell’uomo? E’ per questo?
          Per quel che riguarda la tua domanda, potrei raccontarti provvedimenti presi personalmente per fare in modo che le derattizzazioni in zona venissero sostituite da metodi in grado di allontare gli animali senza ucciderli (ultrasuoni o gabbie-trappola), ma ciò significherebbe sconfinare nella sfera individuale e a me non interessa fare la gara a chi è più coerente, mi interessa discutere in maniera costruttiva le questioni di cui si sta dibattendo

          1. Io invece vedo proprio l’utilità di parlare del comportamento individuale perché almeno si capisce quello che uno ha precisamente in mente. Scusate non voglio abbandonare la discussione ma starò al computer a balzelloni in questi giorni per cui non riuscirò a ribattere a tutti. Comunque mi pare che sia chiaro che nessuno di noi può essere “convinto” dall’altro, si tratterebbe, anche se magari è utopistico – di venirsi incontro su posizioni comuni.

            1. Nessuno tenta di convincere nessuno. Si tratta semplicemente di esporre le proprie considerazioni in merito alla questione trattata, argomentandole e spiegando cosa vi è alla base.
              Essendo l’aromento in esame una questione di carattere etico che riguarda la collettività, a mio avviso le gare di coerenza andrebbero accantonate in favore di un’analisi il più possibile oggettiva.
              Mi auguro che, quando avrai del tempo, replicherai al quesito che ti ho posto più sopra

  2. Il punto in cui l’anti-specismo diventa simile alla fede pro-life è quando pretende di astrarsi dalla realtà. Il privilegio del nostro interesse è proprio di tutti gli organismi viventi, è una caratteristica ineludibile. Non è il frutto di una scelta arbitraria, è un lascito dell’evoluzione ( come lo è il patriarcato ). Non abbiamo scelto di essere specisti ( e lo specismo è tutto da dimostrare ), il bene della specie non esiste, esiste il bene dell’individuo e dei suoi discendenti. Solo noi esseri umani siamo in grado di preoccuparci a tal punto degli altri organismi viventi. La libertà e la dignità di tutti gli organismi viventi non esiste, è un atto di fede. Lodevole quanto si vuole, ma quello resta. In merito alla sperimentazione animale la scelta è fra maggiore o minore progresso scientifico e dunque benessere umano. Si può seguire una via che cerchi di limitare i danni mettendo sempre più a frutto le nuove scoperte oppure una via che rinunci alla sperimentazione animale con relative conseguenze.

  3. Il punto in cui l’anti-specismo diventa simile alla fede pro-life è quando pretende di obbligare i malati a rinunciare a curarsi in quanto la loro vita vale altrettanto di quella di un batterio della cacca. No perché lo sapete vero che i ricercatori di Telethon lavorano soprattutto sui lombrichi e i batteri della cacca? Per conto mio gli animalisti e antispecisti dovrebbero tutti prendersi un dottorato in biologia, veterinaria o medicina e mettersi a studiare in prima persona i metodi alternativi, invece di pretendere l’impossibile da chi su queste cose ci lavora da anni.

    1. Di grazia, quali tesi antispeciste prevederebbero l’ “obbligare i malati a rinunciare a curarsi”?Semmai si richiede una modifica dell’attuale prassi prevista per la sperimentazione dei farmaci.
      Per altro, i “ricercatori telethon” non esistono. Telethon non è un istituto di ricerca,è una maratona televisiva che si occupa di raccolta fondi. Le specie impiegate per la ricerca sono poi a discrezione dei singoli istituti di ricerca che ricevono i fondi.Il mario negri,ad esempio, sperimenta soprattutto sui topi.

      1. K. so bene come funziona Telethon, per favore non fare finta di non capire: ho letto troppe pagine in rete per linkartele tutte in cui invitano a boicottare Telethon e i malati vengono invitati a togliere il disturbo non vedendo il 2014, chiedono al paraplegico che senso abbia fare una vita da paraplegici mentre fanno campagne di raccolta fondi per un cane senza zampe (come sempre cito pagine viste). Queste anime belle dividono l’umanità in persone di serie A e di serie B e propongono di usare la SA su pedofili, assassini, terroristi e quant’altro. Ti ricorda qualcosa? Sono tutte pratiche abolite dalla convenzione di Norimberga.
        Purtroppo l’antispecismo può convivere benissimo con proposte razziste, e il “rispetto per la vita senza se e senza ma” lo apparenta facilmente coi movimenti pro-life. Ma la cosa più seria è che la livorosità di alcuni esponenti non è affatto rimessa in discussione da chi li accoglie: i vari gruppi FB a cui ho scritto per segnalare che i loro membri avevano augurato il cancro o la morte (non solo a Caterina Simonsen, lei è stata l’unica a reagire con un video) non mi hanno MAI risposto, i loro membri sono ancora TUTTI LI, e si capisce che è una cosa che fanno sistematicamente perché sono velocissimi a cancellare commenti e pagine in modo da non essere bannati da Facebook. E’ soprattutto il silenzio degli amministratori dei gruppi che mi ha resa scettica quando mi si dice che queste persone sono una minoranza del movimento, perché secondo me suscitano parecchie simpatie, e me lo ha confermato il giudizio dato dalla LAV sulla scelta di Caterina di mettere online il suo video, “strumentalizzando” la sua sofferenza, perché evidentemente di “visibile” deve rimanere solo la sofferenza degli animali.

        1. carissima, temo che tu non abbia la più pallida idea di cosa sia l’antispecismo, giacchè tendi a confonderlo con le sparate dei singoli sedicenti animalisti che leggi su facebook e sui social network.
          E’ un pò come giudicare, ad esempio, il marxismo (non sono marxista) basandosi esclusivamente sui commenti di sedicenti marxisti che scrivono su facebook. E’ riduttivo e marginale. Per potersi pronunciare in merito al marxismo (così come in merito ad ogni altra teoria) è necessario leggere marx, le teorie critiche e le analisi a riguardo. I commenti su facebook non sono una fonte che permetta di pronunciarsi in merito a una qualsivoglia teoria, tant’al più se complessa. Ne è riprova il fatto che a tuo avviso l’antispecismo sarebbe attribuibile a coloro che utilizzerebbero i devianti come cavie, se non addirittura compatibile col razzismo.
          L’antispecismo (che è poi affrontato in chiave differente dai singoli autori) nasce dalle stesse logiche di non-prevaricazione da cui nascono l’antisessismo e l’antirazzismo, e come gli stessi si basa su una visione non gerarchica degli individui. E’ di rimando inconcepibile conciliarlo con qualsivoglia concezione liberticida,gerarchica o prevaricatoria giacchè alla base della teoria vi è l’intento di estendere i principi di non-sopraffazione -gia applicati concettualmente agli esseri umani- anche alle altre specie.
          Se vuoi pronunciarti in merito all’antispecismo, il mio consiglio è quello di approfondire i principali autori antispecisti e di elaborare quindi con cognizione di causa una tua critica seria e ponderata. Lascia stare i commenti di facebook, non fanno altro che confusione.

          1. Certo ovvio che non si può fare di tutta l’erba un fascio K., ma infatti io più che con i decerebrati che commentano in questo modo (e sono tanti, fidati!) me la prendo con le organizzazioni che non prendono le distanze e con i gruppi FB che non fanno nulla per isolare e scoraggiare questi comportamenti. Quante incazzature ci prendiamo perché le gerarchie cattoliche non fanno nulla per isolare preti pedofili e obiettori alla cavolo negli ospedali pubblici? Forse perché di fondo l’ideologia di base condivide il loro comportamento o non lo giudica immorale abbastanza? Ovviamente su questo non si può basare una condanna a priori del cattolicesimo, ma il paragone a mio avviso è più che valido. Buona giornata e buon anno.

  4. E comunque ripeto: sto ancora aspettando di leggere sulla pagina FB della LAV e dell’on. Brambilla una presa di distanza dai pazzi furiosi che recriminano che una giovane non sia morta da bambina. Ho letto quelle frasi mentre venivano scritte, ho cercato di bloccare l’utente su FB ma erano così vigliacchi da cancellarle i commenti immediatamente, ed erano tutti membri di gruppi FB animalisti: persone vere, con un cervello e purtroppo con diritto di voto. Ho contattato i gruppi FB cui appartenevano queste persone per segnalarle e non mi è arrivata UNA risposta che fosse una. Allora non raccontiamoci palle: qui non si parla di benessere animale, si parla di delirio di onnipotenza e sindrome da complotto, questi sono come i membri del Ku Klux Klan ed evidentemente riscuotono simpatie fra i vertici delle organizzazioni animaliste, evidentemente c’è chi certe cose le pensa ma non ha il coraggio di scriverle.

  5. Cara K., eccomi cerco di rispondere alla tua domanda. Ovviamente penso che gli animali abbiano diritto alla loro vita e a una vita di benessere e che debbano essere tenuti al riparo da crudeltà inutili: certi maltrattamenti assurdi degli allevamenti e dei macelli, gli spettacoli tipo la corrida o il circo, il bracconaggio ecc… la lista è lunga. Quello che però non capisco dell’antispecismo, è dove si ferma il diritto alla vita dell’animale, e dove inizia il mio. Perché è lì che secondo me nascono i commenti livorosi degli animalisti talebani, e soprattutto è lì che nasce la politica della LAV e delle altre organizzazioni animaliste di sminuire e svilire il senso del video che Caterina Simonsen ha caricato individualmente su Youtube.
    Il mio commento sulle pulci che ha fatto incazzare Pietro non voleva stabilire un diritto alla parola sulla base di un’esperienza negativa con animali pericolosi. Se volete parlerò più chiaramente del principio indiano dell'”ahimsa” usato da Gandhi. A mio avviso ha senso con gli umani, con cui come dicevo sopra puoi discutere e che puoi eventualmente convincere. Se però mi trovo di fronte a un leone che ha fame, ritengo giusto attribuirmi il diritto alla legittima difesa, proprio come si fa con gli uomini, e quindi userò il fucile con il leone, e il veleno con i topi e le pulci che mi entrano in casa. Non so come facciano gli antispecisti per non trovarsi la casa infestata dai pulci avendo i gatti, ma non conosco molti metodi naturali alternativi all’antiparassitario.
    Lo stesso principio lo applico alla sperimentazione animale, con la dovuta precisazione che sarebbe bene mettersi d’accordo sul significato di questa parola : in questi mesi gli scienziati presi di mira hanno dichiarato che la LAV e altre organizzazione diffonde foto false o vecchie e decontestualizzate di vivisezione, che oggi è illegale in tutta Europa, ivi comprese le foto di Green Hill per cui se non erro è partita una denuncia. La sedazione dell’animale utilizzato per me non è ipocrisia, ma un gesto di pietà in un’attività che può salvare le vite di tanti animali oltre che di umani. Ora prima di darmi addosso, prima quindi di rispondere, invito chi scrive a leggere per intero i link che ho postato più su. Il primo è di un ricercatore favorevole alla SA che spiega perché l’uso di organismi viventi è indispensabile per un certo tipo di ricerca, in quanto alcune reazioni chimiche sono imprevedibili (a proposito di chi mi dava della confusa riguardo al talinomide, per me il talinomide rimane l’esempio più famoso di quello che succede quando sottovaluti l’imprevedibilità delle reazioni chimiche in un essere vivente).
    Il secondo link è di un gruppo di ricercatori CONTRO la SA, e la cosa interessante è che loro stessi dicono che l’utilizzo dell’animale può essere limitato, ma non eliminato del tutto.

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