Antiautoritarismo, Antirazzismo, Antisessismo, Autodeterminazione, Comunicazione, Critica femminista, R-Esistenze, Violenza

Quel femminismo razzista e classista che usa i corpi delle donne

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Lo vediamo in questi giorni, ancora impegnate a tentare una resurrezione, speculando sui fatti di Colonia. Di cos’altro potrebbero parlare donne che di femminismo non sanno niente e che tutto quel che sanno dire è solo qualcosa di scontato, banale, alla ricerca di una impossibile unità delle donne a qualunque costo. Le donne sono diverse. Sono di tante etnie, culture. C’è differenza di classe tra povere e precarie e borghesi e signore che parlano di femminismo usando tecniche di marketing obsolete, come se fosse un prodotto da rivendere con gadgets e poster ricordo. Un femminismo che non diffonde cultura ma preme a supporto di politiche economiche e sociali razziste e classiste.

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Antiautoritarismo, Autodeterminazione, Critica femminista, R-Esistenze

Maternità surrogata e oltre. Se non ora quando appellarsi al Parlamento europeo?

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da Incroci Degeneri

A pensar male si fa peccato, ma spesso ci si indovina diceva qualcuno, le cui parole sono ormai diventate letteralmente proverbiali.

Che all’improvviso una parte – per la precisione, le autoproclamatesi libere – delle SNOQ resuscitasse ex abrupto con un appello contro la maternità surrogata sembrava strano, dal momento che la gestazione per altri è vietata dalla legislazione italiana. Davvero non si capiva l’urgenza di prendere posizioni drastiche con tanta sbrigatività di fronte ad un nodo politico tanto delicato e complesso fino a quando è saltata fuori la data del 16 dicembre 2015 in cui al Parlamento europeo si voterà un emendamento contro la maternità surrogata proposto dal PPE all’interno della “Relazione annuale sui diritti umani e la democrazia del mondo” La (non) sorprendente tempestività dell’appello, datato 4 dicembre, è già stata notata da Simone Alliva sull’Espresso; tale tempestività di sicuro non sorprende chi ricorda la nascita della creatura SNOQ e c’era in piazza il 13 febbraio 2011, allorquando le varie Comencini, Bongiorno, Fedeli, chiamarono in un’accozzaglia, pardon, adunata comune il “fronte delle donne” per dire basta alla de-gener-azione politica dell’era berlusconiana.

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#Francia: licenziano donna che non vuole essere “liberata” dal velo!

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[QUI traduzione e recensione della vignetta di Rosalarian]

Se io abitassi in Francia penso che a questo punto indosserei il velo, perché lo fanno apparire tanto trasgressivo, perché diventa una risposta agli autoritarismi di chi dice che per “salvarti” vuole vietarti le tue convinzioni, il tuo percorso, la tua scelta o quel che è. Non penso che tutte le donne che indossano il velo siano libere e lo stesso penso delle donne che quel velo non lo indossano. La libertà individuale si misura in altro modo e certo il mio grado di libertà non può prescriverlo la legge neppure se dice di farlo per il mio bene.

Però è vezzo francese o dei paesi neocolonialisti, anche un po’ autoritari e razzisti, se vogliamo, come succede nel nord europa,  quello di pretendere la consegna del corpo delle donne allo Stato paternalista che, con il plauso delle femministe, dice di volerlo tutelare. Io trovo che le leggi promosse dalla Francia contro chi porta il velo, esattamente come quella abolizionista che pone un grave stigma sulle prostitute, siano di un autoritarismo senza eguali. Condite di islamofobia, razzismo, e quella presunzione nord/occidentale che trovi in tutte quelle persone che immaginano tu sia liberata soltanto se vieni assimilata dalla loro cultura.

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Femministese, Questa Donna No, Violenza

La “vittima” della violenza delle donne non esiste!

Francesca si sforzava, tutti i giorni, di certificare l’esser vittima di ogni donna, conoscente, estranea, con estese accuse a tutto il genere maschile, perché guai a mettere in discussione il fatto che le donne sono vittime, altrimenti fornisci una scusante a quelli che geneticamente sembrerebbero esser fatti per diventare carnefici.

Svolgeva un compito complesso, a modo suo eroico, non fosse per il fatto che sulla storia delle vittime femmine era venuto fuori un gran commercio. La vittima vende, è patrimonio del capitalismo, sollecita e legittima nuovamente il ruolo dei patriarchi (buoni) che rimestano nella memoria del cavalierato per recuperare un ruolo di genere che si sperava estinto, di fatto non c’è prodotto più prodotto che si venda meglio di una vittima, un volto con un occhio nero, uno spot con un uomo che dice forte e con aria severa “NO” e accanto a lui una povera fanciulla da salvare. Quello che un tempo era un riconoscimento per donne alle quali veniva negato il diritto di dirsi vittime di violenze oggi diventa l’attribuzione di uno status che assolve tutte e a volte fornisce una scusante alla foga forcaiola di certune.

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Antiautoritarismo, Autodeterminazione, Comunicazione, Contributi Critici, Culture, R-Esistenze

Il “corpo a corpo” con il capitale – risposta a Cristina Morini

di Mario Gamba (in risposta al post di Cristina Morini)

Nel “corpo a corpo” col capitale, quando in scena c’è il corpo e, eventualmente, il suo messaggio erotico, o quando in scena c’è qualsiasi altra cosa, si tratta appunto di una relazione, di un confronto, di un conflitto e reintrodurre il capitale come Moloch che sempre e comunque “sussume” le attività del soggetto opposto al capitale stesso (ma interno al suo dominio, attivo sul mercato pur combattendo la logica complessiva del mercato) non è una buona trovata. Abbiamo già dato.

Ho già deplorato altre volte in qualche modesto scritto che la sbornia francofortese sembrasse non smaltita, adesso, con l’uso dispiegato (per tanti aspetti prezioso) del concetto di biopolitico e di biopotere, ritorna. Se occorre valutare le conseguenze del propri atti pubblici, vedi Bacchiddu, per via dell’uso mediatico di essi, aspetto tra gli altri della forma biopolitica del potere, allora c’è un’infinità di valutazioni da fare in tanti nostri atti pubblici, manifestazioni, barricate, molotov, scioperi persino. Per non parlare delle azioni artistiche: recentemente (Alfapiù di pochi giorni fa a firma Nicolas Martino con citazioni di Lazzarato) si è osservato che la libertà dell’artista non esiste dato che il sistema del capitale ingloba ampiamente tutte le attività dell’artista, cosa a rigore verissima, ma restano i prodotti dell’arte, quelle “azioni” che circolano nella società, controllate dal mercato, e come negarlo, che contengono spunti di riflessione, impalpabili forme dell’intelligenza, forse, possibilmente, critica, comunque possibilmente divergente ed emozionalmente divergente.

Solo lì risiede la libertà dell’artista (dello speaker durante una rivolta, del grafico di un cartellone contro la precarietà e contro il lavoro durante un corteo…). Si tratta del possibile. Non c’è altra dimensione della nostra battaglia contro il capitale che non risieda nel possibile. Non ci sono dettami, non ci sono purezze degli atti. Sono stati pubblicati studi che dimostrano, documenti alla mano, che la musica di John Cage e di altri come lui (assai “irregolari”, sembrava e sembra tuttora) venne introdotta in Europa dalla Cia. Resta il possibile di quella musica. E allora non si parlava ancora di biopotere, c’era un semplice tentativo di colonizzazione culturale.

Lo so che a molti sembra duro accettare che in ogni caso la battaglia contro il capitale, per la libertà del comune – Toni Negri scrive spesso in questi giorni la parola comunista e a me non dispiace neanche tanto – sia una scommessa. Lo è. Il bikini poteva essere dissacrante, un détour nell’ambito della sacralità della contesa politica elettorale, o forse no. Bacchiddu c’ha provato. Da sola. Forse con una dose di narcisismo (sul concetto occorre fare nuove riflessioni: è un vizio o una virtù? e l’individualismo? finora ho trovato solo Franco Piperno che riflette sull’ipotesi comunista di Marx come un’ipotesi di libertà dell’individuo, in ultima analisi come ipotesi di una forma di libertà che non può non arrivare a riguardare l’individuo, onde continuare a contrapporre meccanicamente individuale e collettivo mi sembra poco produttivo).

Barbara Spinelli in una intervista di pochi giorni fa al Manifesto dice che la lista Tsipras e il M5S sono praticamente uguali, quanti voti potrebbe far perdere alla lista Tsipras con questa affermazione, basata tra l’altro sull’elogio del giustizialismo del M5S? Nessuno tra le fila della sinistra più o meno radicale ha reagito “moralmente” indignato e richiamato Spinelli al calcolo delle conseguenze nell’universo mediatico di una tale affermazione. Ma di mezzo non c’era il corpo erotico, questo è ancora il fattore di sconcerto, questo si presenta ancora come tabù, nonostante tutto, nonostante il ’68 e le patetiche disamine degli Zizek sul ’68 con la sua liberazione sessuale del tutto assorbito e anzi “realizzato” dal capitale nelle sue forme varie, Berlusconi compreso.

Se non si tiene conto del fatto che assieme al consumo di sesso piuttosto fitto l’ideologia dominante fa circolare nuovi (vecchissimi) imperativi come l’orrore per la molteplicità dei rapporti d’amore (il “tradimento” è l’ossessivo, addirittura unico, ritornello di ogni fiction tv, di ogni dibattito negli show pomeridiani e anche serali che non siano di carattere strettamente politico), il valore della famiglia o comunque della coppia stabile, certi fatti come la prostituzione minorile e l’opzione pedofila visti come male assoluto e descritti col linguaggio esorcizzante degli anni ’50 su tutti i giornali e su tutti i mezzi d’informazione, se non si vede questa doppia realtà dell’oggi, non si viene a capo di niente.

L'”imperativo a godere” viene abbondantemente bilanciato e direi sovrastato, secondo me sicuramente sovrastato, sul piano ideologico, dall’imperativo a non godere, e in questo la sinistra guida le danze. Il corpo fotografato è merce, viene manipolato come merce, le parole, le opinioni dette e scritte no, ma chi l’ha detto? Siamo merce, sarà bene ricordarlo, sulla scorta di alcuni pensieri marxiani. Le libertà sessuali sono diventate secondo gli Zizek e i Recalcati – il neo-lacanismo come nuovo ordine del discorso è bene osservato e criticato da un Paolo Godani nel suoi articoli su Alfabeta2 e nel suo recente “Senza padri” di DeriveApprodi – moneta spicciola del sistema. Recalcati propone il ritorno al padre, all’ordine, all’amore eterno, all’osservanza dei limiti. Va da Fazio e da Concita de Gregorio, è il nuovo guru come il vecchio Alberoni, scrive sulla laica Repubblica.

Per fortuna, dobbiamo dire, anche lui verrà “sussunto” dal capitale, se non è già, come a me pare, del tutto in sintonia col capitale, che oggi più che mai non si presenta con un’unica faccia (ma questo lo sappiamo tutti: al presunto “imperativo a godere” degli anni passati sarebbe subentrata l’austerità, ma adesso Renzi dice di essere contro l’austerità – economica – come andrà a finire? vedete come è sfaccettata la questione?). In questo caso non ci resta che dire: forza capitale! e magari giocare le carte delle nostre libertà possibili. Marcuse e altri hanno decretato una volta l'”integrazione” degli operai nel sistema, si è visto che non è andata proprio così. C’hanno provato, c’abbiamo provato. Sempre così si procede. Ci si prova.

Mario Gamba

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Antiautoritarismo, Antispecismo, Critica femminista, R-Esistenze

Il paradosso del paragone tra animalist* e pro-life: una riflessione

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Andy Warhol era un profeta.

Da Intersezioni:

Davvero molto interessante osservare lo tsunami di commenti che si sono avvicendati sui social, a velocità frenetica, in seguito alla mediatizzazione del caso di Caterina (la nostra riflessione in merito è qui). Quello che colpisce è la quantità di preconcetti, frasi fatte, inesattezze ripetute come mantra a qualsiasi interlocutore, possibilmente farcite di aperto disprezzo, dileggio, ostilità e violenza verbale. Mantenere toni pacati quando qualcun* ti grida in faccia di essere “estremista” – peraltro ignorando qualsiasi tuo tentativo di stabilire una connessione, un dialogo che ristabilisca la possibilità di una riflessione pacata – è davvero un’impresa ardua. Riflettere dunque è quello che cerchiamo di fare qui, e riflettere costa certo più tempo e fatica che insultare e pontificare in 150 parole, ma dal nostro punto di vista, è sicuramente più interessante e produttivo.

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Antiautoritarismo, Autodeterminazione, Critica femminista, R-Esistenze, Violenza

Madri, donne incapaci e corpi di Stato

Quando la legge interviene sui corpi delle persone siamo alla biopolitica. I corpi diventano di Stato. Addirittura prima della nascita.

Scriveva qualche giorno fa Fabio Mugnaini su Lavoro Culturale che:

Una giovane donna di Chianciano, in avanzato stato di gravidanza, viene sorpresa a Londra, nella civilissima Londra, da una crisi depressiva e finisce ricoverata in un reparto psichiatrico. Già che ci sono i solerti terapeuti e gli avveduti operatori dei servizi sociali, si spingono fino a pensare che una così non avrebbe mai potuto affrontare il parto e tantomeno la maternità, quindi: sedazione, parto cesareo, estrazione di una bambina e l’avvio della procedura per la sua adottabilità. Possiamo rileggerlo come si vuole: ma questa notizia sta tra le leggende del furto di organi, nell’area di studio che sta tra Campion-Vincent e Schepher Hugues e le storie di maternità violate per motivi politici (le nonne di Plaza de Mayo in Argentina ne sanno molto) o per finalità di selezione razziale (la genitorialità negata agli aborigeni australiani).

Potete trovare la notizia QUI.

E ancora, commenta Mugnaini:

sembrano ristabilirsi la verità biologica e il primato della sanità mentale, stanno lì a negare questo valore culturale della scelta genitoriale e delle pratiche che la fondano e la sostanziano e a renderci visibile lo strapotere di un piano formale/burocratico che fa corpo con l’evidenza della verità biologica. Senza contare il supporto della morale comune, o del comune senso della genitorialità che, in questa compagnia, attribuisce a queste storie terribili di violenza strutturale, la loro parvenza di rispetto delle norme, il loro potenziale di ragionevolezza.

Questo è il suo commento. Io metto questa storia sullo stesso piano della mistica della maternità e dei parti post/mortem. La metto anche sullo stesso piano delle politiche che tengono sotto controllo le donne, in quanto uteri, affinché facciano figli sempre e comunque a prescindere dalla propria scelta.

Delle donne che fanno figli talvolta non importa quel che pensano o scelgono. Sono dei contenitori. Tutto qui.

D’altro canto l’opposizione a questa invasività che domina le politiche intrusive sui corpi si scandalizza spesso solo perché la mamma è sempre la mamma e in nome di questa convinzione si producono chilometri di retoriche, che auspicano e legittimano ampiamente l’intrusività di Stato su corpi/figli/genitori, per stabilire che i figli dovranno restare con le madri sempre, anche se quelle madri non sono ottimi genitori. E questa teoria, decisamente normativa, che si ispira a un riduzionismo biologico che porta a considerazioni anche sessiste quando si parla di adozioni concesse a coppie gay, fa il paio con un regime fondato su quella che Mugnaini chiama verità biologica.

Da un lato c’è dunque quella maniera di considerare i corpi delle donne dei contenitori privi di coscienza e capacità di scelta e dall’altro quella di imprigionare le donne in ruoli precisi perché i corpi delle donne sarebbero tutti madrificati e così vorrebbe natura. Per me due facce, speculari e opposte, della stessa medaglia.

La storia che si racconta all’inizio è indicativa perché rappresenta tutta la schizofrenia di questo tempo che è, ricordiamolo, quello in cui se vuoi essere madre, con la procreazione medicalmente assistita, non puoi esserlo (in Italia no eterologa, in Inghilterra si) perché così vuole il contesto sociale che predilige il concepimento quando avviene solo in modo naturale, tra coppie, preferibilmente sposate, ed è il tempo in cui se non vuoi essere madre comunque dovrai esserlo lo stesso perché c’è chi vorrebbe impedirti la contraccezione, l’aborto, e tutto il resto.

Da un lato l’unica opposizione alla spinta capitalista del controllo dei corpi, l’aborto illegale e le sterilizzazioni forzate, così come avviene in Perù, è una cultura che racconta di altre maniere attraverso cui controllare i corpi per, appunto, indurre nascite, a qualunque costo, a prescindere da quel che le donne vogliono, e poi c’è quello che è successo a questa donna in Inghilterra.

Il punto è che quando i corpi sono oggetto di questo genere di interventi autoritari tu come persona non esisti più. Di te come individuo interessa solo la tua funzione riproduttiva o produttiva. Non conta quello che sei, scegli, vivi. E dunque non conta la tua autodeterminazione.

Ed è con questo che abbiamo a che fare al momento. Si decide, sui corpi delle donne, senza considerare quale sia la loro scelta. Spesso per richiesta stessa donne che sposano linee paternaliste e così legittimano lo Stato affinché tuteli i loro corpi. Dunque si decide, in nome della tutela di un bene superiore. Oggi è quel bambino. Domani sulla tua pelle si deciderà quel che tu, considerata debole e incapace, dovrai fare per opporti alla violenza sulle donne (es: l’irrevocabilità della querela), dopodomani sarà qualcosa d’altro. Ma che si tratti del tuo bene o del bene di chiunque altr@ il tuo corpo comunque non è più tuo. Non lo è.

Quindi, prima di chiedere la tutela di Stato quando abbiamo a che fare con i nostri corpi, pensiamoci. Perché questo è lo Stato che si intrufola nella tua vita. Paternalista, autoritario, perché “sa quel che è bene per te. Pensiamoci, perché quando legittimi lo Stato a decidere al posto tuo hai aperto una porta a queste aberrazioni. Ed è una porta che difficilmente si rinchiuderà.

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