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Madri, donne incapaci e corpi di Stato

Quando la legge interviene sui corpi delle persone siamo alla biopolitica. I corpi diventano di Stato. Addirittura prima della nascita.

Scriveva qualche giorno fa Fabio Mugnaini su Lavoro Culturale che:

Una giovane donna di Chianciano, in avanzato stato di gravidanza, viene sorpresa a Londra, nella civilissima Londra, da una crisi depressiva e finisce ricoverata in un reparto psichiatrico. Già che ci sono i solerti terapeuti e gli avveduti operatori dei servizi sociali, si spingono fino a pensare che una così non avrebbe mai potuto affrontare il parto e tantomeno la maternità, quindi: sedazione, parto cesareo, estrazione di una bambina e l’avvio della procedura per la sua adottabilità. Possiamo rileggerlo come si vuole: ma questa notizia sta tra le leggende del furto di organi, nell’area di studio che sta tra Campion-Vincent e Schepher Hugues e le storie di maternità violate per motivi politici (le nonne di Plaza de Mayo in Argentina ne sanno molto) o per finalità di selezione razziale (la genitorialità negata agli aborigeni australiani).

Potete trovare la notizia QUI.

E ancora, commenta Mugnaini:

sembrano ristabilirsi la verità biologica e il primato della sanità mentale, stanno lì a negare questo valore culturale della scelta genitoriale e delle pratiche che la fondano e la sostanziano e a renderci visibile lo strapotere di un piano formale/burocratico che fa corpo con l’evidenza della verità biologica. Senza contare il supporto della morale comune, o del comune senso della genitorialità che, in questa compagnia, attribuisce a queste storie terribili di violenza strutturale, la loro parvenza di rispetto delle norme, il loro potenziale di ragionevolezza.

Questo è il suo commento. Io metto questa storia sullo stesso piano della mistica della maternità e dei parti post/mortem. La metto anche sullo stesso piano delle politiche che tengono sotto controllo le donne, in quanto uteri, affinché facciano figli sempre e comunque a prescindere dalla propria scelta.

Delle donne che fanno figli talvolta non importa quel che pensano o scelgono. Sono dei contenitori. Tutto qui.

D’altro canto l’opposizione a questa invasività che domina le politiche intrusive sui corpi si scandalizza spesso solo perché la mamma è sempre la mamma e in nome di questa convinzione si producono chilometri di retoriche, che auspicano e legittimano ampiamente l’intrusività di Stato su corpi/figli/genitori, per stabilire che i figli dovranno restare con le madri sempre, anche se quelle madri non sono ottimi genitori. E questa teoria, decisamente normativa, che si ispira a un riduzionismo biologico che porta a considerazioni anche sessiste quando si parla di adozioni concesse a coppie gay, fa il paio con un regime fondato su quella che Mugnaini chiama verità biologica.

Da un lato c’è dunque quella maniera di considerare i corpi delle donne dei contenitori privi di coscienza e capacità di scelta e dall’altro quella di imprigionare le donne in ruoli precisi perché i corpi delle donne sarebbero tutti madrificati e così vorrebbe natura. Per me due facce, speculari e opposte, della stessa medaglia.

La storia che si racconta all’inizio è indicativa perché rappresenta tutta la schizofrenia di questo tempo che è, ricordiamolo, quello in cui se vuoi essere madre, con la procreazione medicalmente assistita, non puoi esserlo (in Italia no eterologa, in Inghilterra si) perché così vuole il contesto sociale che predilige il concepimento quando avviene solo in modo naturale, tra coppie, preferibilmente sposate, ed è il tempo in cui se non vuoi essere madre comunque dovrai esserlo lo stesso perché c’è chi vorrebbe impedirti la contraccezione, l’aborto, e tutto il resto.

Da un lato l’unica opposizione alla spinta capitalista del controllo dei corpi, l’aborto illegale e le sterilizzazioni forzate, così come avviene in Perù, è una cultura che racconta di altre maniere attraverso cui controllare i corpi per, appunto, indurre nascite, a qualunque costo, a prescindere da quel che le donne vogliono, e poi c’è quello che è successo a questa donna in Inghilterra.

Il punto è che quando i corpi sono oggetto di questo genere di interventi autoritari tu come persona non esisti più. Di te come individuo interessa solo la tua funzione riproduttiva o produttiva. Non conta quello che sei, scegli, vivi. E dunque non conta la tua autodeterminazione.

Ed è con questo che abbiamo a che fare al momento. Si decide, sui corpi delle donne, senza considerare quale sia la loro scelta. Spesso per richiesta stessa donne che sposano linee paternaliste e così legittimano lo Stato affinché tuteli i loro corpi. Dunque si decide, in nome della tutela di un bene superiore. Oggi è quel bambino. Domani sulla tua pelle si deciderà quel che tu, considerata debole e incapace, dovrai fare per opporti alla violenza sulle donne (es: l’irrevocabilità della querela), dopodomani sarà qualcosa d’altro. Ma che si tratti del tuo bene o del bene di chiunque altr@ il tuo corpo comunque non è più tuo. Non lo è.

Quindi, prima di chiedere la tutela di Stato quando abbiamo a che fare con i nostri corpi, pensiamoci. Perché questo è lo Stato che si intrufola nella tua vita. Paternalista, autoritario, perché “sa quel che è bene per te. Pensiamoci, perché quando legittimi lo Stato a decidere al posto tuo hai aperto una porta a queste aberrazioni. Ed è una porta che difficilmente si rinchiuderà.

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5 pensieri su “Madri, donne incapaci e corpi di Stato”

  1. Mi piacerebbe affrontassi/imo (o eventualmente mi segnalassi, nel caso fosse già stato fatto) una discussione/articolo sul tema della decisione relativa all’aborto o dell’accettazione non concordata da parte di entrambe le figure genitoriali, (considerando normativamente l’attuale esclusione del ruolo maschile).
    Decidere si e no alla vita, è una competenza solo femminile poichè la gestazione avviene in quel corpo, oppure occorre dare un peso anche ad ruolo del fecondatore?
    Guardando poi più lontano, immaginare l’accettazione o meno dei compiti e delle responsabilità di entrambi davanti ad una mini persona che crescerà e andrà accolta accudita ed educata con apporto di entrambi e con un legame che vedrà entrambi coinvolti, nel bene o nel male per tutta la vita. E ancora, ammesso che si tratti di “incidente di percorso”, con che pesi e forze, con che percezione di ruoli sia nell’accoglienza che nell’eventuale alea di rifiuto si potrebbero collocare le due figure maschile e femminile in una etica prossimità alle pari opportunità?
    Grazie

    1. Roberto, io credo di averne già scritto, in effetti.
      Il corpo delle donne è delle donne. E’ mio il diritto di decidere se abortire o meno. Il punto è se voglio portare la gravidanza avanti e tu non vuoi essere padre. Io penso che la genitorialità sia una scelta, anche un dovere o una responsabilità, certo, ma una scelta. Se non sei tu a scegliere dovresti avere il diritto di non assumerti alcuna responsabilità.

  2. Questo genere di normalità, che in realtà è composta per buona parte di aspettative sociali che si innalzano periodicamente fino ad un culto di (una finta) perfezione, ha ben poco a che fare con la natura, semmai ne esiste una sola, e molto con una cultura che fabbrica persone sempre più bisognose di cose e di status, sempre più volutamente inadeguate in modo che possano chiedere dopo che magari il fornitore stesso le avrà convinte dei propri (non) bisogni. Radicali e post-sessantottini, nonché Ivan Illich, l’han capito da tempo. Lo studiamo nelle scuole alle voci Capitalismo e Darwinismo Sociale ma lo dimentichiamo spesso perché, essendo il nostro sfondo, è dato per scontato. E la cosa sembra peggiorare col tempo…

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