Personale/Politico, Questa Donna No, Violenza

Diario di una vittima di cyberbullismo

E alla fine ero tanto stanca che ho scritto su facebook questa cosa:

“Sono un po’ stanca. Mesi e mesi di attacchi ripetuti. Sto considerando l’idea di chiudere tutto e smettere. Smettere di lottare in una dimensione in cui avere un’idea che non risponda al pensiero unico sembra essere un crimine. Ce l’hanno quasi fatta. Mi hanno quasi spenta. Scusate tutti/e.”

Mi hanno scritto in tanti/e e tanti sono stati i messaggi di grande solidarietà.

Ho risposto, ancora, con stanchezza:

“Volevo abbattere i muri e hanno abbattuto me. C’è chi non tollera altra voce a parte la propria. C’è un fanatismo che nega umanità verso chiunque non la pensi allo stesso modo. E tutto questo mi fa paura. Ho tentato di fare di questo spazio un luogo in cui riuscissero a parlare voci diverse, con civiltà e intelligenza, senza timore di affrontare la diversità, senza isterismi e tifoserie, senza integralismi di nessun genere, affrontando gli argomenti senza accettare imposizioni da chi, da qualunque parte arrivi, che ritenga di essere dalla parte del “bene” o che si ritenga sia dalla parte del “male”, immagina che non possa esistere altra voce che non sia la propria. L’umanità non è un regno in cui puoi demonizzare e mandare in esilio chi non la pensa come te. E io odio le dittature di pensiero, chiunque le imponga. Questa curiosa idea che l’umanità debba buttare giù le armi e parlarsi invece che combattersi è strenuamente ostacolata. Ce l’hanno fatta, infine, mi hanno abbattuta. Adesso so davvero cosa prova una ragazzina di 15 anni che è vittima di cyberbullismo. Ma io non ho 15 anni. E mi riprendo la mia vita e le mie parole. Chiunque voglia banchettare sul mio cadavere, chiunque voglia regnare incontrastat@ sul web per imporre un pensiero unico, non può farlo. Non sulla mia pelle. Anche se a nulla vale un buon ragionamento, una analisi serena di fronte alla cattiveria e all’odio. Ho tanto lottato per dare voce a tante persone. C’è chi ha lottato per spegnere la mia. Spero di avervi regalato almeno la metà delle cose che le persone che ho incontrato hanno regalato a me. Grazie dell’affetto, dei messaggi, tanti, ricevuti. Un grande abbraccio a tutti/e. Io sono qui. Un po’ meno e molto ferita, ho da curarmi per guarire, ma sono qui.”

Altri messaggi e tanti abbracci di persone che mi hanno raccontato tante cose belle, e in me prevaleva ciò che sono, una che razionalizza e analizza i fenomeni, prendendo distanza perfino da me stessa, usandomi come cavia da laboratorio per raccontare quel che accade quando sei vittima di cyberbullismo, l’accerchiamento, la sensazione di essere assediata, persone che spuntano ovunque come funghi, che ti sorvegliano ogni giorno e che vanno a insultarti perfino nelle bacheche altrui per segnare anche quei territori, che polarizzano la loro esistenza tutta su di te, usandoti come caproespiatorio per tutte le loro frustrazioni. Ciò nonostante loro non smettono, perché il bullismo, come qualunque altra forma di violenza, ritiene di avere ragione di poter essere usato.

Penso:

“Il cyberbullismo è così. Tu sei a terra, ferita, abbattuta, e loro continuano a sputarti addosso veleno, livore, astio, insulti, infamie, e ti disumanizzano demonizzando la tua diversità possibilmente mentre fingono che “diversità” è bello. Non è possibile discutere con chi decide che tu sei una criminale perché pensi cose differenti. Così come non è possibile discutere con chi ti chiama “malat@” se tu dici che sei semplicemente gay o lesbica o trans. Se ti considera inferiore se hai un altro colore della pelle. Se si sente autorizzat@ a insultarti perché sei una donna. Tu vuoi parlare e c’è chi ti vuole solo fare guerra per farti smettere di esistere perché dove tu esisti problematizzi le questioni del mondo, apri parentesi complesse dove c’è chi vuole guardare il mondo soltanto in bianco e nero. Il punto è che non c’è spiegazione razionale all’odio, soprattutto quello che provano certe donne che dedicano fiele a quelle la cui voce vogliono spegnere e ridicolizzare. So cosa prova una ragazzina di 15 anni vittima di cyberbullismo. So quanto può essere devastante essere oggetto di continue denigrazioni, il dileggio, disumano, solo perché esisti e non ti metti in riga con chi vuole dettare un pensiero unico. So cosa significa essere oggetto di cattiveria e sono disarmata di fronte a questo. Io che ho sempre avuto fiducia nell’umanità, che credo sempre che dietro ogni reazione ci deve pur essere una motivazione razionale, devo rassegnarmi all’idea che c’è chi sceglie una persona, ridotta ad oggetto, su cui accanirsi per continuare a farle male. E quel che è peggio è che chi fa questo continua a raccontarsi che ha ragione mentre quel male te lo stampa sulla pelle. Non è proprio così che chi fa violenza giustifica la violenza? Dicendo che è cattiva la persona contro la quale si infierisce? Dicendo che c’è una ragione mentre ti uccide virtualmente e socialmente?”

Ed è davvero così. Chi ti fa questo ritiene di avere ragione. Ti picchia virtualmente senza darti tregua. Non accenna a smettere neppure se tu dici che ti arrendi, che sei quasi morta, che davvero non ce la fai più. E gli insulti diventano sempre più tremendi, mostrano la livida ossessione di chi misura i lembi della tua pelle mentre te ne spoglia, donne che fanno valutazioni estetiche sul tuo corpo e poi si dicono antisessiste, donne che non hanno scuse perché sono autodeterminate, scelgono di essere ciò che sono, non hanno introiettato metodi patriarcali perché il bullismo è loro pratica diretta ed indiretta, il veleno, l’acido che arriva da certi commenti lo vedi corrodere ogni cosa e ogni persona, a seconda di quale che sia l’oggetto della persecuzione. La cosa perfida è che se per proteggermi ignoro e non leggo quel che scrivono qualcun@, in forma anonima o con nick curiosi, ci tiene a farmelo sapere e quindi mi sottopone il molesto-pensiero, via mail, via ping, via messaggi sulla bottiglia sperando che io li afferri, perché il veleno continui a scavarmi dentro, tutti i giorni, corrodendo ogni possibile volontà di presa di distanza, viziando tutte le mie relazioni, condizionando costantemente il mio umore e dunque anche ogni altro pezzo della mia vita. Tutto ciò è morboso e bisogna chiamare le cose con il loro nome. E io sono stanca, davvero stanca, ma lucida, e scrivo:

“Giornate che sanno di fiele in cui leggo di donne e ragazze uccise mentre altre donne si applicano a fare le cyberbulle per cacciarmi fuori dal pianeta terra. Donne che sarebbero qui a sostenermi e a darmi solidarietà se io dicessi che sono uomini quelli che mi braccano. Perché le donne sono assolte, alla radice, possono calpestarti, dileggiarti, perseguitarti, disumanizzarti, possono avvelenarti le giornate e scaricarti chilometri di odio che loro spiegano con cose che tu avresti detto e fatto quando tu neppure sapevi della loro esistenza, come un branco di fan che si concentra a massacrare l’icona televisiva alla quale attribuisce ogni retropensiero, ogni lettura proiettiva, lei esiste e dunque deve darmi conto, e io esisto e lei deve cambiare la trama dei suoi show. Generazioni cresciute a “sei stato nominato” che ti vorrebbero sputare fuori dalla “casa” mentre ampliano il cerchio delle loro microdittature di pensiero e tu devi subire insulti pena la sottrazione di stellette che ti degradano da umano a punchball quotidiano. Facebook è un luogo in cui infimo diventa il metro di persecuzione ai danni di qualcun@. Fa ritenere a certa gente che possono toccarti, diffamarti e perfino controllare ciò che dici e pensi, regala questa illusione di intimità perfino con chi ha vite altre e sta dall’altra parte del pianeta. Il ricatto è che se sei un personaggio pubblico (anche sul web!) devi sorbirti l’ossessione di chi ti stalkerizza, devi essere disponibile, devi farti dettare il copione e se non fai questo o quello diventi bersaglio di un insieme di umori morbosi, malati, violenti, che annichiliscono, sfiniscono, rendono palese che i linciaggi collettivi di tanta gente galvanizzata e pronta con la forca ad attaccarti ad un ramo esistono e di linciaggi virtuali è fatto anche il web. Ho capito infine cosa mi stava succedendo. Qualcosa che ha condizionato la mia vita e il mio umore. Da ora in poi sarà il mio diario quasi quotidiano. Il diario quotidiano di una vittima di cyberbullismo. Perché io non mi suicido. Io non muoio. Io vi racconto la ferita, il grande dolore e vi racconto di cosa è fatta questa violenza. Pensando a tutte le vittime di cyberbullismo.”

Ed è così che sarà da ora in poi. Vi racconterò quello che sento. Quello che provoca una persecuzione insistente. Che male fa alla vita, alle giornate, alla psiche. Come coinvolge gli affetti e si ripercuote sul lavoro, su tutto quello che tu fai e come infine ti demolisce, ti massacra, ti fa ritenere che sei completamente sola, ti fa dubitare di te stessa e dei tuoi respiri, mentre tenti disperatamente di andare avanti e restare a contatto con te stessa e quel che credi giusto e che ti fa onesta, e con ciò ci credo che una bambina di 15 anni possa suicidarsi. Ma io, come dicevo, non ho 15 anni. Eppure ho bisogno di sapere quante persone sono con me, quanta gente mi vuole bene, ne ho bisogno adesso, per confinare in uno spazio periferico quel branco di soggetti che mi tartassa da mattina a sera. Ne ho bisogno per riassestarmi su me stessa, perché se anche non hai 15 anni non c’è paura a dichiarare la fragilità, che è quella che ci fa umane, in fondo, e se così non fosse cosa saremmo noi?

Infine:

“9 mesi. Sono nove mesi di persecuzione. Nove mesi di accanimento. Nove mesi di continui tentativi di isolarmi, farmi il vuoto attorno. Nove mesi di insulti, infamie, processi, sospetti sparsi sul mio conto. Nove mesi di gente che mi ha presa di mira in cui tutto ciò che poteva essere detto è stato detto. Continuamente, contro di me, coinvolgendo amici, persone care, che ho perfino preferito allontanare per non coinvolgerle ulteriormente, per via di chi mi vuole in silenzio, vuole vedere morire ogni progetto al quale mi dedico, vuole che su di me risulti una totale delegittimazione, un disconoscimento da parte di chiunque abbia mai frequentato o conosciuto fino adesso. Nove mesi in cui limito i commenti sulle bacheche delle mie amiche perché so già che mi porterò appresso chilometri di fango sparso da gente che mi odia e che non vede l’ora di avvelenarmi le giornate in qualche modo. Gente che non può sopportare che io abbia relazioni sociali, che mi confronti civilmente con chiunque, che abbia amiche che mi vogliono bene. Gente che mi ha obbligata in un modo o nell’altro a trincerarmi nell’isolamento, l’esilio del blog, l’invisibilità altrove, riducendo al minimo le mie possibilità di interazione per non portare merda dalle mie amiche. Trattandole male, perfino, ignorandole, con loro che pensano che tu hai smesso di volerle tanto bene e tu ad un certo punto finisci per pensare lo stesso di loro perché così è più semplice. Più semplice per allontanarti e lasciare che vadano per la propria strada. Nove mesi di inibizione delle mie relazioni sociali, di rinuncia di appuntamenti pubblici per preservare da questo alone negativo gli sforzi fatti da donne che stimo. Nove mesi di accuse su di me che sarei una specie di demonio, una strega, un’eretica. Le cose che scrivo sono lì, si può essere d’accordo o meno, non ho mai obbligato nessuno a leggermi né a clikkare like sui link che condivido. Non condividere i miei contenuti non autorizza nessuno a insultarmi, sporcare la mia reputazione, perseguitarmi. Perché nove mesi con gente che spia ogni mio respiro sono veramente troppi. Non ce la faccio più. Sono una persona, non sono un’icona inanimata del web. Ho chiesto tregua. Chiedo umanità. Ho pensato di chiudere tutto, di smettere, di obbligarmi all’oblio. Non gliene frega niente. Anche adesso devo subire altro veleno, perché neppure la fragilità mostrata suscita un briciolo di buon senso. Anzi. Insultano. Deridono. Come fanno i bulli e le bulle. Che cosa posso fare? Perché mai dovrei accettare tutto questo? E non si può essere sempre forti a fingere che nulla accada. E non si può passare sopra alle azioni compiute da chi dice di occuparsi delle vittime di violenza. Occuparsi delle vittime di chi? Non certo delle loro cattive azioni.”

Ps: La mia amica @LaureLeJust mi ha fatto piangere. Scrive che da nove mesi io le manco. E da nove mesi mi manca anche lei, mi manco anch’io, mi mancano tutte le persone belle che ho trascurato e alle quali ho dovuto rinunciare per resistere contro chi mi voleva sola e delegittimata. Non mi rassegno a perdermi. Non mi rassegno a perdervi.

6 pensieri su “Diario di una vittima di cyberbullismo”

  1. Ciao, leggo il tuo blog da poco e mi ha davvero toccato questo intervento.
    Mi dispiace per quello che hai dovuto subire, un po’ capisco come ti senti perché io ho vissuto una situazione simile: qualche mese fa scrissi in un forum sulla mia scelta di vita vegana, credendo di non aver scritto niente di orribile, anzi. Sono stata invasa da insulti, prese in giro becere, denigrazioni su ogni linea e cattiverie di ogni genere in quantità industriale.
    Fai conto che il giorno dopo averlo scritto avevo già una decina di commenti contenenti insulti (tranne una sola persona che mi ha fatto delle domande educatamente) e avevano copiato quello che io avevo scritto in un altro intervento per prendermi in giro.
    Tutto ciò è durato una settimana: una settimana di merda, tra montagne di commenti pieni di offese, insinuazioni sessiste e cose del genere. Solo una settimana perché poi mi sono cancellata, non riesco a farmi scivolare le offese facendo finta di nulla, stavo veramente male.
    Anche a me ha colpito la loro ferocia, dinanzi poi a una persona che scrive con toni pacatissimi.
    Non so come tu abbia potuto sopportarlo per 9 mesi, io dopo una settimana ero distrutta.
    Sono persone meschine, cattive, vili, schifosamente viscide, che dietro uno schermo pensano di poter scrivere tutte le cattiverie che hanno in mente solo perché si sentono protette da una realtà virtuale e soprattutto perché si divertono nell’accanirsi contro qualcuno, sono persone di merda.

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