
Quel che non vorrei sentirmi dire da una femminista? Non vorrei sentirmi dire quel che devo dire o fare. Non vorrei sentirmi dire come devo fare sesso, con chi, come esprimere desiderio e piacere. Non vorrei che mi indicasse le posizioni più adeguate, secondo il suo punto di vista, da assumere di volta in volta. Non vorrei che mi tenesse in ostaggio dichiarandosi mia rappresentante salvo zittirmi quando sono io che parlo e dichiaro quel che voglio. Non vorrei sentirmi dare la linea e poi essere condotta al macero se non la seguo. Non vorrei un femminismo stalinista o fascista, perché mi piacerebbe poter essere libera di fare o dire o pensare quel che voglio.
Il femminismo dovrebbe essere questo. Un punto di partenza e non di arrivo, per consentirmi di riconoscere la mia identità e manifestarla. Non deve essere matriarcato e non può essere un limite, un impedimento. Se il femminismo lotta per l’autodeterminazione dovrà accettare e supportare le mie scelte anche se non piacciono a tutte. Che altro non vorrei sentirmi dire da una femminista? Non vorrei sentir legittimare la sessuofobia di moralisti che stringono il pugno in cielo, in segno di lotta, e poi rivolgono a me quel pugno se parlo di me, di sesso, di scelte libere e autodeterminate.
Non vorrei che una femminista si alleasse con i patriarchi per ottenere leggi giustizialiste a controllo e tutela del mio corpo, per ordinare il mio silenzio, e la censura alla mia necessità di stabilire una capacità di autodifesa. Io non vorrei che lei mi togliesse autostima o si sentisse in diritto di competere e ammansirmi perché sono diversa e non le resterò fedele in eterno. Non vorrei che lei fosse una madre ingombrante che non ti lascia in pace anche quando sei cresciuta e sei riuscita a esprimere la tua personalità. Non vorrei una che guardi dentro le mie mutande e che in mancanza di possibili guardiane al suo fianco chiama a osservare gli affari della mia fica anche uomini che servono a rimettere a posto la mia indole ribelle e la mia direzione in prossimità di una autonomia intellettuale, fisica, sessuale, personale.
Io non vorrei una femminista che mi tiene legata dentro un ripostiglio, per proteggermi, a suo dire, e non vorrei neppure quella che mi impedisce una crescita autonoma, consapevole e fruttuosa, priva di imposizioni autoritarie e trasgredendo alla necessità di assimilare esclusivamente seguaci prive di una propria volontà. La femminista che io penso sia necessaria come punto di riferimento nella mia vita non è sicuramente quella che mi fa la morale se mi spoglio, sono nuda, mostro il corpo o lo uso per guadagnare e non è quella che si serve di uno stigma e usa termini pietosi per indurmi in ogni caso a diventare una reietta, marginalizzata e sola. Non è quella che si serve delle istituzioni per impedirmi di decidere per me, perché non sono una bambina e una femminista non può infantilizzare fino a questo punto le altre donne ergendosi a grande madre che tutto sa e tutto ordina.
Non vorrei la femminista che mi insegue sui social per sputarmi il suo verbo e poi insultarmi violentemente se non mi converto alla sua religione. Non vorrei vederne una ortodossa, come se avesse ingoiato libri e poi li vomitasse meccanicamente, perché penso che il femminismo, come ogni altra causa che tende alla libertà degli individui, non ti mette a disagio, non ti impone ansia da prestazione, non ti lascia lì in fondo senza lasciarti dire quel che pensi e non si agita, come fosse un cane rabbioso dopo che gli hanno tolto la museruola, per manifestare sempre il suo mantra di stramaledizioni rosicanti a quella che non la caga, non la rispetta, non la stima, non studia a memoria le sue conformiste parole e non la considera in assoluto una referente con la quale vale la pena confrontarsi.
Con una così puoi solo sperare che il suo ringhiare non sia evidentemente rumoroso al punto da non lasciare spazio al rumore delle tue idee. Vorrei una femminista che non mi insultasse su twitter se giro un film porno, o una che non mi racconti cattiverie se scelgo di fare la cam girl. Vorrei una che non si permetta di giudicarmi o impormi una ideologia condita di citazioni e parole nuove che in realtà servono sempre a ristabilire un ordine patriarcale in cui gli uomini diventano cecchini delle matrone e le donne diventano le normalizzatrici del carattere delle figlie ribelli.
Vorrei una femminista che apprezzasse la disobbedienza, la laicità e la libertà espressa senza che nessuno si permetta di bombardarti per importi la propria visione morale delle cose. Vorrei una femminista che mi regalasse una casa libera, uno spazio in cui non vengo insultata o aggredita se esprimo un’opinione differente. Vorrei che quella femminista non si comportasse da fascista perché se pretendi di insegnarmi come devo vivere ho come il sospetto che tu non abbia proprio una tua vita, perché troppo impegnata in una crociata di addomesticamento delle anime che resistono alle imposizioni autoritarie altrui.
Vorrei che lei non mi dicesse mai come deve comportarsi una vera donna, perché le donne sono tante e io sono solo una tra queste e forse, che tu ci creda o no, non mi piace neppure essere chiamata donna. Sono persona e sono queer e mi vesto come mi pare, penso quello che mi pare e non seguo la tua direzione. Perché quel che tu fai è separare il mondo in buoni e cattivi e così immagini che gli uomini possano esistere solo entro la dicotomia tutori/carnefici, per cui se non sono i miei stupratori allora saranno i patriarchi inquisitori, moralizzatori e forcaioli addetti al mio controllo. Quel che tu fai è immaginare che una cordata di matrone rabbiose possa essere degna di rispetto da parte di una come me, cresciuta con il femminismo appreso sulla pelle ogni giorno della mia vita.
Io non vorrei vedere mai una femminista ammansire giovani prede, come seguaci di una nuova corrente religiosa. Non vorrei la capa di una setta che ordina il suicidio collettivo in un tal giorno pronosticato per la fine del nostro mondo. Non vorrei una che partecipa a tribunali dell’inquisizione, a guidare l’armata del bene volta al linciaggio e poi a raccontare che fasciste sono le persone linciate. Non vorrei la capa di una setta che per tenere assieme il branco e non lasciare che nessuna sfugga praticano terrorismo psicologico e raccontano che di là c’è l’uomo sempre cattivo e poi c’è la distruzione, il mondo imploderà e tu dovrai dotarti, sempre in divisa, anche di missili che vengono fuori dall’ano.
Io non ci credo a questo mondo apocalittico descritto da talune femministe, così amano chiamarsi, in cui il male viene sempre dall’esterno e le donne che non si associano alla loro setta vengono trattate come merda da respingere in fondo al cesso. Non credo che gli uomini siano merda, così i ragazzi, gli adulti, i colleghi di lavoro, i mariti, i fidanzati, i compagni, i padri, gli amici e non penso che siano merda neppure gli uomini che guardano film porno, quelli che pagano per una prestazione sessuale, quegli altri che a loro volta non amano altri uomini che dicano loro cosa fare e cosa diventare per essere targati socialmente come buoni. Che altro deve fare un uomo per essere considerato merce sana se non quello che ha più volte fatto? E se dico merce c’è un motivo perché chi parla di donne e mercificazione, immaginando che la storia riguardi solo loro, si è scordata dei minatori, gli operai, i precari, gli schiavi, i migranti, che ogni giorno devono lavorare per un pezzo di pane, per campare la famiglia, e per loro non c’è scelta eppure non sono trattati da vittime tanto quando le donne. Perché considerare le donne soggetti deboli e vittime è funzionale all’ordine dato dalla cultura patriarcale.
Di uomini che si ammazzano di lavoro e poi vanno in piazza a prendere manganellate si parla molto meno perché quelli lì non sono vittime, sono visti soltanto come potenziali stupratori, violenti, pedofili e chissà che altro. Io non voglio udire i pensieri di una femminista che ha mostri nella testa, che non ha superato i propri traumi, che non ascolta le altre. Perché tutto quel che sente lo traduce in una proiezione nefasta, facendo pagare all’altra non solo il non ascolto e il non riconoscimento ma anche il momento in cui dovrà essere cavia per fare sperimentare alla femminista di passaggio lo sfogo contro chissà quale persona o contro se stessa, chi lo sa. Perché in fondo un po’ si odia, non si piace, e deve trovare un senso alla propria esistenza considerando altre delle rivali con le quali competere per auto assegnarsi vittorie mai esistite.
Quel che non voglio sentire da una femminista è un pensiero illogico, reazionario, frasi sconnesse e deliranti di chi ripete sempre e solo la stessa cosa, perché non si apre ad altri mondi, non legge altre verità, perché è una che al limite evangelizza e fa crociate e non una persona che vive il mondo per attraversarlo e contaminarlo lasciandosi contaminare. Vorrei sentire una femminista che rinvia al mondo ricchezza e non pochezza, mediocrità, con quel poverume di persone che più parlano e più dimostrano di essere null’altro che persone violente perché i loro pensieri sono deboli. Un pensiero forte e sicuro non ha bisogno di violenza per essere espresso, e questo lo sa chiunque abbia compreso le dinamiche sociali e quelle del corretto uso della comunicazione.
La femminista che mi piace non conta i miei orgasmi o i modi in cui io mi emancipo dal bisogno e acquisisco una indipendenza economica, perché il corpo è mio e lo gestisco io, e che io sia migrante, precaria, trans, sex worker, nera, bianca, povera, lavoratrice o disoccupata, quel che a te dovrebbe interessare è solo un attimo in cui mi ascolti e dico: cara, puoi andare a farti fottere perché io determino la mia esistenza e se hai voglia di conoscere i miei mondi togliti i tappi alle orecchie e le bende agli occhi, adopera i tuoi sensi e vedrai, cara, che forse un giorno, chissà, diventerai una femminista che potrà piacermi, e non la gran fascista che sei oggi.
Con amore
A tutte le donne libere, ribelli, disobbedienti, anarchiche, che non sopportano l’autorità, neppure quando è gestita e rappresentata da altre donne. Perché le donne, che si chiamino femministe o meno, vi giuro, possono essere molto autoritarie. Perché dovrei temerle meno di qualunque altra fonte di normalizzazione e repressione che mira a omologare il mio pensiero? Perché?
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