FinchéMorteNonViSepari

Il convegno contro la violenza sulle donne e il “caso umano”

Convegno sulle violenza sulle donne. Il simbolo è una rosa bianca d’improvviso sporca di nero.

Già l’idea che a rappresentare le vittime di violenza ci sia una qualunque cosa candida e pura e che il carnefice sia rappresentato come il nero/pece che ti sporca mi fa inorridire.

Faccio due calcoli immediati per pensare a quanto sia costata quella cagata e penso che avranno chiesto all’assessore un finanziamento pubblico di almeno tremila euro tra grafico, impaginazione e stampa in quadricromia e affissione. Perché quelle porcherie le hanno anche affisse. Senza vergogna, proprio.

In cattedra c’è l’assessore, il sindaco per un saluto, una signora ben vestita con gli occhiali e poi c’è lei, il caso umano.

L’iniziativa è di quelle fatte in occasione del 25 novembre, data internazionale dedicata alla lotta contro la violenza sulle donne.

C’è un sacco di pari opportunità tutt’attorno. Il sindaco paritariamente dice che le donne, le donne, le donne, citando Benigni e il suo “Berlinguer ti voglio bene”, e poi dice che questa “piaga” (vi giuro, usa proprio quella parola come se si trattasse dell’assalto delle cavallette, la peste, cose così), questo “massacro”, questo “sterminio” e dopo aver incontrato il gusto delle presenti che ad ogni sostantivo emergenziale gonfiano il petto pronte all’applauso, lui compie un gesto che tradisce la sostanza. Si gratta là sotto e la poesia del sodalizio celebrato con le donne, ritenendo egli che per trarre consenso dovesse dire quella roba lì, si infrange sugli scogli della verifica verificata che il suddetto è in possesso di coglioni.

Basta già quello a riportare sulla terra le presenti e a porre l’esigenza di ristabilire una distanza. Niente più sguardi estasiati per il riconoscimento di purezza insignito dal sindaco. Niente più gratitudine ma solo il più visibile disprezzo per quella fuggevole grattata di testicoli.

L’assessore poi riacquista la scena e con un “grazie al sindaco per essere passato”, credo avrebbe voluto aggiungere “e ora vattene ‘affanculo”, si reintroduce nel dibattito stabilendo un contatto empatico con le quattro signore del partito messe in prima fila.

Due considerazioni sulle importanti decisioni assunte dall’amministrazione comunale per salvare la vita delle donne. Una targa in ricordo della compianta poetessa tal dei tali e un’altra decisione da politiche di condominio. Giù applausi in corrispondenza della frase “dare valore alle donne contribuisce a salvare la vita delle donne” con chiaro riferimento alle quote rosa e ad una sua eventuale candidatura alle prossime elezioni.

Come dire che se lei sarà eletta a te non arriveranno più le botte. Per effetto traslato un minimo new age. Sempre la storia del battito di ali di farfalla in giappone e del crollo di un edificio a gioia tauro.

Dopo la passerella elettorale interviene questa signora dei servizi sociali che snocciola le cifre dei cadaveri e delle denunce e così tutte quante in sala si annoiano a morte perché generalmente l’effetto delle vuote statistiche è quello di trasformare la conta delle pecore in conta di corpi di donne senza vita.

Dice un paio di cose sul fatto che le donne in regime di povertà e in contesti degradati, in special modo dove vivono le straniere, hanno più probabilità di subire violenza e tutte quante lì, medio borghesi, annuiscono sentendosi ipocritamente al sicuro. E se così fosse, e non è vero affatto, perché la violenza nelle relazioni non dipende dall’etnia e dal livello di degrado ma semmai le condizioni economiche di dipendenza possono esserne corresponsabili, allora non si spiega come mai questo bel convegno invece di farlo in pieno centro e con questo pubblico fatto da persone alle quali non serve non sia stato fatto anche in megafono sotto i palazzi dei ghetti di periferia.

Il caso umano non si chiama. E’ il “caso” di nome e “umano” di cognome. Enfasi crescente, volto appiattito sulla vittimizzazione. Giustificazioni a manetta in un delirio di “io non volevo… io non lo conoscevo… io non c’ero e se c’ero dormivo… lui all’improvviso… era diverso… cambiò di colpo” e per quanto io sappia, anzi sia certa che ogni storia ha una sua verità tutta da rispettare, credetemi se dico che so riconoscere i chiari segni dell’autorimozione.

Resto fino alla fine e aspetto per stringere la mano al caso umano. Chiedo preoccupata per lei soltanto “come stai”? E lei come una collaudata performer mi dice “grazie” perché pensa credo che io stia dicendo “complimenti per l’intervento”. Sorrido e me ne vado. Rassegnata. Stanca.

Stanca del fatto che ci sia perfino chi ti illude che lo status di vittima con relativa spettacolarizzazione e plauso del pubblico sia un premio, un riconoscimento invece che una sottrazione di autonomia e di intimità. Perché sono quei casi in cui tu non hai valore per ciò che sei o che pensi ma solo per il fatto che ti porti dietro lividi che neppure sai reinterpretare.

Di questo è fatta oramai tanta tv trash e di questo sono fatte tante campagna contro la violenza sulle donne. L’esibizione del livido invece che della mia capacità di guarirlo.

Stanca. Vedo mia figlia e le dico di trattare il suo dolore con più dignità. Sii gelosa delle tue ferite perché là fuori ci sono sciacalli e sciacallesse che non ti consentono di esporle se non dopo che hanno messo il proprio logo sopra fingendo di farti da sponsor.

Le mie ferite sono importanti. Le mie ferite non sono in vendita. Perché non c’è violenza più grave che quella di ridurre a “oggetto” la mia fragilità. Perciò io me ne riapproprio, adesso, togliendola dalle grinfie di chi mi sfrutterebbe, e la esibisco con il mio lessico, corpo, azione, autodeterminazione. Sono io, questa, e non “un caso umano”.

NB: Marina è un personaggio di pura invenzione. Ogni riferimento a fatti, cose e persone è puramente casuale. Nel suo about dice “Vorrei parlare di violenze nella coppia, nelle relazioni, e tentare di riflettere insieme a voi su una cosa che troppo spesso vedo trattare in modo assai banale.”

3 pensieri su “Il convegno contro la violenza sulle donne e il “caso umano””

  1. Il dolore, a mio avviso e’riservatezza, non sono mai riuscita a esibire i miei momenti bui,che sia pudore, oqualsuasialtra cosa,diffido sempre delle spettacolarizzazioni.La sofferenza e’anche rifugio,riflessione, lottare per la lenta ripresa…trovo intollerabile vedere come sono strumentalizzate certe vicende dolorose in tv,come sia evidente il gioco sporco dei fraintendimenti.Si, condivido ogni sillaba di questo articolo,mi auguro che l’amor proprio possa trionfare.

  2. prendo lo spunto perche’ vorrei proporre un dibattito simile a chiusi dove svolgo il ruolo di consigliere di minoranza
    rita fiorini vagnetti lista civica i cittadin i per chiusi

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