FinchéMorteNonViSepari

Il succhiotto: difendersi da chi dice di volerti difendere!

Come si compone un contesto in cui agisce la cultura patriarcale.

Famiglia dello zio. Patriarca venerato, temuto e rispettato.

Io sono la nipote affidata a quella famiglia per un breve periodo di vacanze estive. Affidata da un padre ad un altro padre.

Mia cugina mi porta a ballare. Ballo e mi avvicina un ragazzo. Sono adolescente e i ragazzi mi piacciono. Il sesso mi incuriosisce. Lui mi abbraccia e mi bacia. Poi mi dice che non so neppure usare la lingua e che sono troppo piccola. Mi fa un succhiotto e se ne va.

Io non credo di aver fatto nulla di male. Resto a ballare in mezzo alla pista e mi diverto. Mia cugina mi trova e si accorge del succhiotto. Io non sapevo neppure cosa fosse. Lei si. Mi rimprovera e dice che se mi vede suo fratello succede il finimondo.

Allora mi porta in fretta a casa, mi presta un foulard e io chiedo scusa e sto con gli occhi bassi come se avessi perso la verginità in un luogo in cui il prodotto dovesse mantenersi vergine fino alla data ultima del mio estremo sacrificio.

La mattina dopo, a colazione, mia cugina si accerta che io, d’estate e con una temperatura media di 40 gradi all’ombra, sia sufficientemente coperta per non fare vedere la prova del misfatto. Se qualcuno si accorge lei ne subirà le conseguenze e anch’io.

Il cugino, ahimè, se ne accorge. Tira su una scenata incredibile, mi fa un cazziatone che non vi dico, tira uno schiaffo educativo alla sorella e dice qualcosa tipo “tuo padre ti ha affidata a noi e se sa che ti è successo *questo* avrà ragione ad arrabbiarsi”.

Di tutto quello che mi dice capisco solo che *questo* deve essere una cosa orribile. Tremenda. Una gravissima prova di una violazione della mia libertà condizionata in regime di sorveglianza permanente.

E di per sè capisco pure che uno che ti dice che non sai usare la lingua e ti molla una tacca per lasciarti prova del suo passaggio non è poi questa gran prova di destrezza. Ma la dinamica non è stata violenta o non consensuale e sebbene io fossi minorenne non ero io a ritenerla una violenza ma tutto il contesto intorno a farmi pensare che fosse tale.

Violenza sta per violenza a me, ovvero violenza al mio corpo, al mio desiderio, alla mia volontà di esprimere liberamente la sessualità o è violenza ciò che infastidisce i miei sorveglianti e le sue pari e che può offendere il principio stesso della proprietà?

Mio cugino non era lì con me dopo il “misfatto”. Ma se lo fosse stato? Avrebbe detto a me che ero una zoccola, mi avrebbe attribuito uno stigma sociale, come infatti è stato, e poi avrebbe fatto a botte con lui per lavare il mio onore? Avrebbe chiesto il suo scalpo perché io ero una minore? Minore nel senso di adolescente, tredicenne per l’esattezza.

Ma a prescindere da questo: chi decise che quella fu una violenza?

Io non l’avevo percepita in quanto tale. Mi vergognai molto, dopo, e alla vergogna conseguì una sorta di giustificazione. Ero piccola, non capivo. Però il sesso mi interessava e quel ragazzo mi incuriosiva. E se non fosse per il casino che montarono i cugini e poi mio zio che prima mi fece nera di avvisi e raccomandazioni e poi mi premiò con un dolce come per dire “qui siamo così rompicoglioni solo perché ti vogliamo bene, lo facciamo per te, mica per noi”, se non fosse per quello io avrei solo goduto di una esperienza in più. Avrei anche avuto il tempo di elaborarla e ne avrei tratto che dovevo imparare a usare la lingua perché piace a me e a chi sta con me.

Prima ancora dunque di sapere se il succhiotto fosse una pratica erotica piacevole o meno avevo saputo che era portatore di un sacco di guai e che mai farsi fare un succhiotto perchè è il segno tangibile della tua zoccolitudine perversa e della sconsiderata azione di un maschio violento che non ha rispetto per i miei sorveglianti.

Io che da grande ho subito davvero uno stupro, una violazione del mio corpo, della mia volontà e dei miei reali desideri, mi chiedo adesso se la classificazione di violenza che ci viene imposta e per la quale ci si dice che bisogna chiedere aiuto non sia un modo di normare, moralizzare la sessualità ad uso e consumo ancora della cultura patriarcale. E mi chiedo se le altre donne, teoricamente consumate tutte in mia difesa, non siano poi spesso delle sorveglianti in conto terzi o in proprio che applicano quella stessa morale censurando i miei stessi desideri o non consentendomi neppure di capire se sono tali o meno.

La violenza di cui spesso si parla è violenza perché io la percepisco in quanto tale o lo è perché qualcuno ti dice che è così?

Cos’è violenza per me? Cos’è violenza per noi?

Io ho bisogno di capire se quello che si dice sulla violenza non sia frutto di una esigenza patriarcale di sorveglianza sui corpi delle donne, dunque sulla mia sessualità e se le donne che lottano contro la violenza sulle donne non siano esattamente come mia cugina e non appoggino leggi o le richiedano addirittura, dichiarandosi complici di uno Stato Patriarcale che interviene pesantemente nella mia sfera privata così com’era per mio zio e per mio cugino.

Ho bisogno di sapere se quando vengono rivolti appelli agli uomini chiedendo loro di prendere le distanze dalla violenza non sia per riportarli al vecchio ruolo di sorveglianti giacché si sono defilati nel frattempo e dunque mi chiedo se la responsabilizzazione di massa dell’uomo che viene descritto come violento in quanto tale non sia un rimprovero che deriva da quella stessa cultura patriarcale che esige dagli uomini una responsabilizzazione a “tutela” della “dignità” e della “morale” delle donne.

Ho bisogno di sapere se gli uomini che sono al mio fianco quando si parla di lotta contro la violenza sulle donne siano davvero con me perché anch’essi hanno disobbedito alla cultura patriarcale e dunque appoggiano la mia rivendicazione autodeterminata e anche la mia ricerca, senza voler impormi il lessico che definisce la violenza o siano con me solo con un atteggiamento paternalista che esige una gratificazione per se stessi volendo loro essere riconosciuti a tutti i costi come miei “salvatori”.

Ho bisogno di sapere se le donne che si beano di belle parole scritte o dette da parte di uomini che si dichiarano contro la violenza sulle donne lo fanno perché vogliono che gli uomini assumano di nuovo il ruolo di sorveglianti anche in senso culturale, simbolico, metaforico, epistemologico o se a questi uomini è concesso essere liberi di dire che nella loro vita non sono mai avvenuti episodi di violenza ad una donna e possono tranquillamente fregarsene perché non sono stati incaricati della sorveglianza di nessuno.

Ho bisogno di sapere se è concesso ad un uomo dire che non vuole occuparsi di questo problema perché nella sua vita ha attorno donne che vivono autonomamente la propria sessualità circa la quale non si è mai espresso e non ha mai messo in atto alcun atteggiamento giudicante e lesivo della integrità e indipendenza di ciascuna e dunque sfugge al ruolo imposto per cultura patriarcale di sorveglianza e moralizzazione dei comportamenti degli altri uomini.

Ho bisogno di sapere se quello che viene chiesto agli uomini non sia in realtà un “badate di sorvegliare quelli del vostro branco” perché è offensivo anche per me giacché io voglio difendermi da sola.

Ho bisogno di sapere se posso considerare come violazione alla mia autodeterminazione anche l’imposizione di un unico modello di difesa e di denuncia. Se posso trarre solidarietà da chi, come avviene a certi miei amici, sente violata la propria autodeterminazione in mille modi e dunque sa cosa vuol dire subire l’imposizione di qualcosa che non vuoi.

Oggi il succhiotto è per me una pratica erotica che apprezzo. Non lo esibisco, perché c’è la vita, il lavoro, il mondo attorno, e pare che ci si debba vergognare di essere donne e sessuate al tempo stesso. Un uomo può esibirlo e trarne sorrisini compiaciuti. Lo stesso io. Un uomo può esibirlo e trarne sguardi di disapprovazione. Lo stesso vale per me.

Però mi piace. Ma si porta dietro una specie di prescrizione medica. Mai fare un succhiotto ad una minore non consensualmente perché è una traccia visibile e riconoscibile che obbliga tutti ad una performance ridicola e a finzioni senza fine in cui devi dire cose idiote tipo “è solo un graffio” per non incorrere nelle ire di una società sessuofoba e condita appieno di cultura patriarcale.

Complici, interpreti e fautrici di questa cultura, moraliste e autoritarie, sono spesso le donne che dicono di difendermi dagli uomini cattivi.

La legge contro il succhiotto imposto dunque non mi serve. Mi serve forse una regola che dice che la percezione della violenza non può essere una imposizione culturale. Vorrei si rispettassero i miei desideri e quelli delle donne. Che ci fosse permesso di crescere e capire cosa è sbagliato e cosa non lo è.

Nella mia storia il succhiotto non è sbagliato. Sbagliata è tutta la sorveglianza messa in atto per farmi sentire “interrotta” e far sentire il succhiatore un mostro. Ed è questo che per me è violenza. La sorveglianza, l’azione di ripristino del mio onore, l’intrusione moralista nella mia sfera privata e sessuale, la “difesa” non richiesta e la maniera bieca di farmi sentire usata, presa e consumata anche se io non mi sento tale.

Coloro che vengono delegati ad assumere la mia tutela sono sempre delegati dai padri, gli zii, i cugini, le cugine, le zie, le madri di questo mondo.

Audeterminare la propria difesa significa per me imparare a difendermi anche da chi dice di volermi difendere. Ecco tutto.

NB: Marina è un personaggio di pura invenzione. Ogni riferimento a fatti, cose e persone è puramente casuale. Nel suo about dice “Vorrei parlare di violenze nella coppia, nelle relazioni, e tentare di riflettere insieme a voi su una cosa che troppo spesso vedo trattare in modo assai banale.”

1 pensiero su “Il succhiotto: difendersi da chi dice di volerti difendere!”

  1. Dietro un “banale” succhiotto hai scoperto e preso coscienza di un intero universo basato su forme di lotta e controllo sessista. Unica via di fuga…l’autodeterminazione personale e la libertà erotico-sessuale. Complimenti per le analisi fine che hai sviscerato dentor questo articolo 😉

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