Autodeterminazione, Il Femminismo secondo la Depressa Sobria, Personale/Politico, R-Esistenze

Psichiatria: dalla cura dell’isteria alla somministrazione di farmaci. Riflessione sul contributo alla guarigione.

Ricorderete di sicuro che nel 1800 qualche psichiatra più intelligente degli altri decise che l’isteria non era una malattia mentale ma si trattava perlopiù di insoddisfazione sessuale unità all’infelicità e la melanconia che le donne provavano perché obbligate a svolgere i ruoli di cura come mogli e madri. Prima che si decidesse che le donne non avessero bisogno dello stigma dell’isterica questa faccenda veniva risolta in parecchi modi. Alcuni dei quali sembravano delle vere e proprie torture: per esempio mettevano un panno asciutto sul viso delle donne e lasciavano scorrere acqua fino a quando le donne non sembravano essere quasi annegate. Questo fatto di morire e poi tornare in vita pensavano fosse utile ad eliminare l’isteria. Oggi sappiamo che è uno dei metodi di tortura che viene utilizzato soprattutto in situazioni di guerra. L’altro metodo di cura era quello della stimolazione della vagina e della clitoride attraverso un getto di acqua ghiacciata.

Poi c’erano gli psichiatri che pensavano fosse utile una stimolazione manuale di tutte le zone dall’inguine alla vagina alla clitoride. A questo genere di cure potevano accedere le donne ricche e tutto sommato si trattava di ottenere quella masturbazione e quello orgasmo che non riuscivano a provare nei rapporti sessuali con i propri coniugi. La psichiatria più moderna escluse che l’isteria fosse una malattia ma continuo comunque ad attribuire alle donne una serie di disturbi per i quali venivano rinchiuse nei manicomi. La malattia più frequente era la depressione che non veniva trattata come oggi ma perlopiù gli psichiatri la affrontavano con elettroshock e talvolta con la lobotomia. Non per nulla Focault stabili che la psichiatria era uno strumento di controllo sociale che veniva utilizzato per addomesticare o azzerare la personalità delle donne. Con le nuove teorie di pensiero da Freud da Jung si aprì la via per la psicologia che ancora però non trovava spazio e legittimazione tra le materie scientifiche accreditate in campo medico. In ogni caso si passo dal definire le donne naturalmente isteriche o depresse a tentare di rintracciare complessi di vario tipo e spesso di natura sessuale nella storia familiare delle pazienti. Non si attribuiva più la colpa alle pazienti ma si tentava di capire quale fosse il vissuto che le aveva condotte a richiedere una terapia psichiatrica.

Ad oggi si sono aggiunte varie teorie e divisi sono i settori psichiatrico e psicologico, spesso non vanno di pari passo e si squalificano tra di loro, e la depressione è diventata una malattia da trattare in termini farmacologici per compensare squilibri chimici che il cervello avrebbe e per stabilizzare l’umore. Alla psichiatria non interessa la causa che ha portato le donne a soffrire di certe malattie. Prescrive farmaci e crede fortemente nella cura farmacologica e negli ultimi tempi si è ricominciato a parlare di elettroshock col nome di terapia elettroconvulsivante. Da Basaglia in poi i manicomi sono diventati ospedali psichiatrici che però continuano a conservare la modalità a porte chiuse e a trattare i pazienti spesso senza metterli in relazione con il mondo esterno. Personalmente ho chiesto che il centro salute mentale mi fornisse anche assistenza psicologica ma non l’ho ottenuta perché secondo la mia psichiatra sarebbe stata solo consolatoria. Perciò ho realizzato una forma di autoanalisi attraverso la scrittura che mi è servita per capire quanto sia forte il legame tra la questione di genere la salute mentale. Dalla mia infanzia in poi, così come ho già raccontato, sono cresciuta in una famiglia disfunzionale, con un genitore violento e un altro passivo aggressivo,  sono stata educata per diventare moglie e madre e svolgere solo i ruoli di cura, sono stata obbligata a sposare con un matrimonio riparatore un uomo violento che mi aveva messo incinta, ho continuato a sentirmi in colpa fino a poco tempo fa nei confronti del mio attuale coniuge perché da depressa non potevo essergli di nessun aiuto soprattutto in termini economici.

Sono consapevole del fatto che la psichiatria non sia più quella ottocentesca e che lo studio sul cervello umano sia un po’ avanti rispetto a quell’epoca, ma sono ancora convinta del fatto che malattia mentale e questione di genere siano strettamente collegati. Se tra tutte le persone depresse in Italia il 90% è donna ciò significa che ci sono delle cause che favoriscono l’insorgere della depressione nelle persone di sesso femminile per via dell’educazione o delle pressioni sociali. Soprattutto per il fatto che le donne sono fortemente spinte a tentare di raggiungere come unico status sociale la dipendenza economica da un marito o comunque da un uomo senza poter mai emanciparsi dal bisogno e ricavare un tetto e un reddito per proprio conto. Ci sono certamente donne vissute nelle stesse situazioni che hanno raggiunto forme di autonomia inimmaginabili, con gran fatica e perché sono delle persone molto in gamba, sfidando gli stereotipi, il sessismo e la misoginia, ma ci sono altrettante donne che come me hanno avuto difficoltà perché perennemente colpevolizzate per il fatto di non svolgere ruoli di cura come avrebbero dovuto fare. La soluzione farmaceutica che aiuta a stabilizzare l’umore e a poter dormire la notte non risolve i problemi concreti che è una donna depressa come me si trova comunque a dover affrontare. Perciò insisto nel dire che è un contributo alla guarigione è quello di dare una ragione per vivere ma anche di facilitare la possibilità di ottenere un tetto e un reddito per tutte quelle che hanno vissuto un handicap sociale e culturale come me. Risollevarsi da una situazione di dipendenza non è così semplice e non lo è sicuramente alla mia età e chi si occupa di salute mentale dovrebbe tenerne assolutamente conto.

Peccato però che per esempio il servizio di reinserimento socio lavorativo viene fornito dal centro salute mentale solo per persone che hanno un’età al di sotto dei cinquant’anni. Come se dopo quell’età noi potessimo vivere ad aria. Perciò bisogna inventarsi qualcosa e quel che propongono in concreto i servizi cittadini riguardano quasi sempre l’accesso al microcredito per attivare una piccola impresa che non si capisce come tu possa gestire a partire da una situazione debitoria. Ho scoperto poi che rientrare nelle liste protette, se riconosciute disabili, non è un vantaggio ma potrebbe perfino rivelarsi uno svantaggio perché chi assume discrimina molto spesso le persone con disabilità che fanno riferimento alle malattie mentali. Vale a dire che assumono persone con malattie differenti ma continuano a immaginare che esista uno stigma sulle persone affette da malattie mentali pensando perciò che tali persone non potranno realizzare i compiti che per lavoro a loro vengono assegnati. Io posso dire da depressa che probabilmente avrei bisogno di un lavoro con orari diversi compatibilmente con gli effetti dei farmaci ma so anche di essere disciplinata e di portare a termine i compiti o gli obiettivi che cerco di pormi ogni giorno. Una psichiatria che non coinvolge una donna di oltre cinquant’anni nel reinserimento socio lavorativo la lascia completamente sola a richiedere forme di assistenza che probabilmente non arriveranno mai. Perché una malata mentale, a seconda del disturbo di cui soffre, non potrà percepire la pensione di invalidità né tantomeno potrà aspettare altri 10 o 15 anni per chiedere una pensione sociale.

Mi ero riproposta con questo post di riflettere sul contributo alla guarigione da parte di psichiatria e psicologia e posso dirvi ad oggi che l’ideazione suicidaria non c’è più, che cerco una ragione per vivere e che mi applico in un’attività creativa salvavita com’è la scrittura per andare avanti. Se tutte le donne che hanno difficoltà come la mia potessero monetizzare il proprio talento o avere il tempo di ricominciare da capo o avere l’energia per poter svolgere lavori fisici faticosi non ci sarebbe bisogno di chiedere nessun aiuto. Viviamo però in un’epoca in cui le donne sono concretamente valorizzate in termini sessuali o riproduttivi e di cura mentre i loro talenti vengono riconosciuti solo se queste donne hanno avuto la furbizia e la fortuna di potervi investire maggiormente in età non così adulta. Una cantastorie come me può concludere da tutte le riflessioni fatte su femminismo e salute mentale che è necessaria una riflessione approfondita su questi temi correlati sia a livello individuale che collettivo. Spero così di aver contribuito a dare qualche strumento o risorsa in più ad altre donne che come me vivono gli stessi problemi. 

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