Acchiappa Mostri, Antiautoritarismo, Comunicazione, Critica femminista

La mercificazione dell’indignazione delle donne

Anche la 27esimaora si è accorta che l’indignazione delle donne è diventata merce. Della mercificazione delle indignazioni, sui media, e altre storie, potete trovare mille cose su questo blog. Di come hanno intercettato una rivendicazione, l’hanno normalizzata, l’hanno fatta diventare terreno sul quale accreditare richieste normative volte ad ottenere una “unità donnesca” che appiattisce differenze, di classe, identità politica, e principi che ci ispirano, di come hanno fatto diventare quella rivendicazione una merce ché se fai una pubblicità giusta per fare incazzare le donne allora le donne te la fanno girare dappertutto e se un media fa un articolo per istigare dibattiti viziati attorno alla pornomostruosità (per pornoindignazione) del momento, noi saremo ben felici di essere parte di quelle folle lincianti e medioevali, munite di forconi virtuali, a fare mailbombing, ronde antisessiste e battute acchiappamostri all’insegna della censura per stare meglio con noi stesse.

Tutto diventa merce. Le lotte diventano strumento di legittimazione di poteri e culture che sanno esattamente come fare per usarti e farti diventare strumento per arricchire, galvanizzare folle contro un unico nemico, accreditare tutori che sono lì pronti a censurare spot, programmi tv e a salvarti, tu eterna vittima vittimista, angelo santo, madonna alla quale nulla più si può dire, nessuna critica o obiezione, ché sei perfetta anche quando fai stronzate. Dopodiché ti chiedono di votare “donna”. Una donna del Pd. Vabbè. Insomma.

Vorrei accennare un altro ragionamento, che ha molto a che fare con i linguaggi che sono diventati merce, quando proponete pezzi di cuore e maternage  e poi c’è la merce splatter che premia sempre. Tu pubblichi la foto (con didascalia acclusa) di una figa infibulata o un feto massacrato per fare campagna antiabortista e il risultato è lo stesso. E c’è la pornografia emotiva e sentimentale. Viene uccisa una ragazza e si dettaglia il numero di cuoricini segnati sul suo diario e le volte in cui ha tenuto teneramente la porta del cesso scolastico per le amichette.

In che modo la comunicazione femminista militante si distanzia da questi modelli dovrete deciderlo voi. Ci sono blog in cui questi metodi sono utilizzati esattamente come li usa un qualunque quotidiano online che guadagna click e introiti pubblicitari per ogni grammo di indignazione che riesce a vendere. E anzi ci sono notizie del tutto inventate in cui si sbatte in prima pagina il mostro del momento per stimolare quel percorso virale che prende la rete quando c’è da istigare il linciaggio di qualcuno. Titoli fatti apposta per fare sensazione  e che puntano giusto sui diritti civili, le donne, i gay, le lesbiche, le trans, gli ebrei, per raccontare di una Italia in cui essere misogino, omofobo, razzista, antisemita, fa notizia e regala quintali di popolarità.

Sovvertire questi meccanismi è semplice, se si fa attenzione, perché bisogna decostruire, disinnescare, scardinare, innanzitutto i meccanismi di mercificazione e sfruttamento delle lotte, perché mentre ci dettano copioni interi per indurci a incazzarci per quello che altri scrivono smettiamo di fare attenzione alle nostre istanze, ai nostri linguaggi, al fatto che diventiamo fotocopia e riproduciamo quei metodi. E non è così che si fa cultura.

Se non sapete come fare per distinguervi da un qualunque giornaletto scandalistico che a parte lacrime e sangue non sa dirvi altro, allora osservate, provate a pensare quali sono i meccanismi attraverso i quali si realizza una notizia, perché quel titolo, perché l’immagine, perché quelle parole, e soprattutto verificate mille volte se le notizie sono vere, se sono state riportate bene, perché di acchiappa mostri ce ne sono troppi e favorire la diffusione di notizie in cui si paventano mille mostruosità non ci serve a definire l’umano che vive nella società e tutto quello che ci accade attorno.

Pensateci. Pensiamoci.

 

2 pensieri su “La mercificazione dell’indignazione delle donne”

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