Antiautoritarismo, Pensieri Liberi, Violenza

Stupro in India: eppure nessun@ sembra vedere la persona…

La Gulabi Gang ha scelto il fucsia come colore e il bastone come strumento di autodifesa per le donne che in una particolare regione dell’India vengono molestate e stuprate e picchiate senza che nessuno, pare, faccia niente.

L’autodifesa è autodifesa e significa che queste donne insegnano ad altre donne a difendersi e insieme vanno a fare pesare il proprio punto di vista presso istituzioni che pare non si curino di loro, non accolgano denunce, non facciano niente di niente. Questo è quello che si dice e In Italia, che è un paese occidentale dove va di moda la stampa occidentale, il fenomeno fu accolto con estrema felicità perché a guardare le culture patriarcali di altre etnie e nazioni siamo sempre tanto bravi/e. A me loro piacciono perché non danno in alcun modo l’idea di vittime ma sono donne forti che combattono e il vittimismo tipico di campagne antiviolenza di donne con occhi pesti non sanno proprio da che parte sta.

Ma per il resto non essendo stata in India, posso solo leggere che dal censimento del 2011 si vede che in India ci sono circa un miliardo e duecento milioni di indiani. Seicentoventiquattro milioni di maschi. Cinquecentoottantasei milioni di femmine. Trentotto milioni di donne in meno mentre in Italia ci sono due milioni di donne in più, e dunque non sapendo nulla di quello che succede laggiù, mi limito a leggere questo articolo tradotto da ZnetItaly (a parte la pessima immagine il pezzo vale la pena) scritto da una giornalista indiana che vive a Parigi, sospendo il giudizio e mi limito a dire che dove esiste una situazione tale da immaginare l’esigenza della giustizia fai da te non è che ci sia poi tanto da essere felici.

Gulabi Gang è autodifesa e non giustizia fai da te, spero. Ma a proposito di quello che ho letto in questi giorni: l’eco data a stupri di gruppo compiuti altrove mentre quando avvengono in Italia se ne parla in modo differente, spesso colludendo in termini culturali con l’idea che lo stupro sia una conseguenza dei comportamenti delle donne, ma in generale si prova ad attenuare giustizialismi, si pensa al garantismo, salvo liberare le frotte forcaiole quando ci sono di mezzo stranieri, rom, musulmani, nordafricani, o quando l’uomo in se’ viene assunto in certi contesti mediatici come mostro giusto per appartenenza al proprio genere, allora la pornomostruosità viene condivisa mille volte, like e condividi e condividi e like, e la pornoindignazione si autoalimenta e tutti sono molto eccitati all’idea di avere qualcuno contro cui inveire e lanciare improperi e parole terribili.

Castriamoli, impicchiamoli, ammazziamoli, strappiamogli gli occhi, seghiamogli le mani, eccetera eccetera eccetera in un susseguirsi di dimostrazioni di estrema disumanità perché se quelli là sono stati disumani, perché disumani sono stati, allora si pensa di avere una giustificazione morale per esserlo pure noi, anzi voi che vi divertite a fare il tifo per piazze in cui viene ammazzato un uomo tra la folla inferocita e poi per il governo che invoca la pena di morte. E tutto questo mi ricorda molto ma molto vagamente, per fortuna, quello che ho visto in quella lontana piazza Snoq del 13 febbraio o quello che continuo a vedere sul web quando si parla di violenza sulle donne. Perché questo è un  argomento che libera fascismi e autoritarismi ché se ti opponi ad essi la cosa più intelligenterrima che sanno dirti è che come minimo sei collusa con gli stupratori.

Gli stupratori in generale credo siano pessime persone, orrendi esseri umani ma loro non mi fanno più “paura” di quanta non me ne faccia una folla inferocita a caccia della persona da impiccare.

Tanta appassionata immedesimazione e tanta empatia per quella folla inferocita, che non è coscienza antisessista ma soltanto l’espulsione di un mostro, uno o più d’uno, mentre tutti si beano della presunta ribellione di una società e di una cultura, quella indiana, che nemmeno conosciamo.

Parole colme di retorica quelle che ho letto, banali, sermoni senza senso, come se l’India fosse l’Italia e come se l’Italia fosse l’India (e così non è), con La Repubblica che riporta la triste storia di una ragazza che avrebbe dovuto sposarsi e che perciò è da compiangere perché non una qualunque, sola, in un bus, ma una che appartiene, e giù a rafforzare la nostra cultura patriarcale mentre facciamo finta di disapprovare quella altrui.

Per quanto ne sappiamo questa ragazza potrebbe essere stata promessa in sposa all’età di due anni e potrebbe essere stata obbligata a sposarsi in un matrimonio combinato tra le rispettive famiglie. Per quanto ne sappiamo possiamo assumere per vero quello che scrive Noopur Niwari che dice che si sta istigando la fobia delle classi medie nei confronti delle classi meno abbienti. I ricchi che trovano un altro modo per marginalizzare e stigmatizzare i poveri così come da noi è successo per criminalizzare gli immigrati. Ovvero possiamo pensare che la condanna nei confronti dello stupro di gruppo altro non sia che l’espressione ultima del rifiuto per la mancanza di rispetto verso il patriarcato in quanto tale.

Più una Nazione è condizionata da una cultura fortemente patriarcale, oltreché dalle pressioni occidentali per dimostrare che sono in linea con le raccomandazioni Onu sulle questioni dei diritti delle donne, e più le leggi contro gli stupratori, in special modo di figlie, mogli, future spose, fidanzate, saranno dure. Perché lo stupro diventa ed è considerato reato contro la morale e non contro la persona. Perché il primo stupro, su quelle figlie, lo compie chi in loro nome va in piazza a sfogare testosterone, machismo, rabbia, indignazione in una enorme esplicitazione di linciaggio che non è un progresso sociale ma un grande regresso.

Lo stupro è l’atto e l’effetto di un rapporto non consensuale. L’aggressione ad un corpo affinché chi ne sia in possesso non faccia resistenze è barbarie. Non una barbarie in nome e per conto di un intero genere, non una lezione ad una donna per educarne cento come dice ancora banalmente la Maraini sul Corriere a rappresentazione di un femminismo neocolonialista che a più riprese si esprime anche su quella testata giornalistica, ma barbarie contro quella persona. Persona: ché per prime noi dobbiamo smettere di ricucirci sulla pelle uno stigma, un ruolo. E’ stata stuprata e uccisa una persona. Non la morale. Perché difendere la “donna” è l’equivalente di difendere la “morale” e la cultura patriarcale. E’ stata stuprata e uccisa una persona. Non quella donna che apparteneva al padre, alla madre, al fidanzato, alla famiglia del fidanzato e ora alla patria che la canonizza per farla diventare il caproespiatorio di chissà cosa. Una persona.

Quando noi stesse cominceremo a vederci essenzialmente per ciò che siamo, ovvero persone, allora, forse, potremo produrre rivendicazioni autentiche e autodeterminate in cui la richiesta di rispetto si baserà su principi universali e su diritti che sono inalienabili diritti umani. Fintanto che assumeremo le questioni di genere chiedendo attenzione assistenziale, tutelare, per le “donne”, in quanto più fragili, vittime, bimbe indifese, fingendo che la cultura patriarcale sia normativa soltanto per le donne e non per le persone tutte, saremo sempre e rimarremo solo “donne”. Con tutto ciò che ne consegue.

—>>>Segnalo questo post di una delle compagne del collettivo Vengo Prima che racconta l’India per come l’ha vista lei.

3 pensieri su “Stupro in India: eppure nessun@ sembra vedere la persona…”

  1. Oggi sono andata al mercato per comprare un paio di jeans. Quando finalmente trovo il banco che mi interessa, mi scappa di dire al venditore italiano che mi servono pantaloni comodi, non attillati nè a vita bassa. Che non mi servono per andarci in giro alla sera, ma per lavorare in un villaggio indiano. Una cosa comoda. Lui allora comincia ad urlare “cosa ci vai a fare in India, lì stuprano le donne”. Lo faceva rivolgendosi al proprietario del banco confinante, che era un indiano. Lui sente, ma non si gira. Io, per reazione, dico subito “invece qui mi sento al sicuro!”. Tace. In India ci ho passato tre mesi questa estate. Ho lavorato. Una delle mie colleghe, e poi amiche, era una donna indiana che era andata in sposa al fratello della madre, e con il quale ora ha due figlie.Una cosa normale da quelle parti. “mi è andata bene” mi diceva, “mio marito è buono, non si ubriaca e così non mi picchia”. Tutto questo nell’India del sud, dove i matrimoni sono ancora combinati in questo modo e dove le donne non sono nemmeno libere di andare al tempio da sole o di loro iniziativa. Nel posto dove ho vissuto e lavorato, e dove torno a vivere e lavorare, ci vivono molt@ occidental@. Lì le donne vengono molestate alla luce del sole. E’ capace che quando ti trovi in un villaggio vicino e magari scendi dal motorino per fare qualche commissione, qualcuno ti si avvicini, ti palpeggi le tette e poi scappi. E tu rimani lì come un ebete. In India per la prima volta ho potuto sentire come sensazione sulla mia pelle il significato di “donna oggetto”. La donna non ha anima. E’ un oggetto. Si fà oggetto essa stessa, avendo paura della violenza di mariti e famiglie. Avendo introiettato il concetto di essere oggetto ed avendolo reso esperienza quotidiana. Per l’India del nord per quel che ne so le cose stanno cambiando. E’ vero però che gli uomini non sono “femministi” neanche lì. Ancora ne so troppo poco per entrare nel merito in maniera profonda. Quello che ho percepito è che è importante, a mio avviso, recuperare il concetto e il valore di essere donna oltre e prima di quello di essere umano. E’ un passaggio intermedio necessario che non si può bypassare. Per le donne prima di tutto, che non hanno ancora l’esperienza provata sulla pelle della ricerca e della conquista della dignità. Come gruppo, come collettività. Le giornate di Delhi non sono state solo giornate di tafferugli fra uomini. C’erano molte donne a battersi nei corpo a corpo con la polizia. Altre associazioni femminili si stanno muovendo ora in tutta l’India. Quella ragazza è stata stuprata ed è morta perchè donna, non perchè essere umano. Il ragazzo che l’ha difesa e che era in sua compagnia è stato solo pestato, ma non era in pericolo di vita. Quella ragazza è stata punita in quanto donna dell’India del nord che si emancipa. Gli uomini indiani questo non lo accettano.

  2. Trovo interessanti entrambi i punti di vista, del post e del commento: conferire uno statuto di persona alla donna perché da qui che si può pensare di superare le strumentalizzazioni e le mistificazioni di genere, come di classe, o di appartenenza etnica ecc. E’ anche inequivocabile la condizione ogettificata della donna in quanto fabbrichetta sforna figli, lava piatti e mungi sborra, che magari a noi sfugge per troppa pubblicità progresso gettata negli occhi…e il cerchio si chiude se notiamo che la condizione di uso mercificato purtroppo accomuna uomini e donne, solo che gli uni se la prendono con le altre e non è per caso che questo succede. Comunque qui potremmo tornare all’idea riscoperta di Persona. Io credo che ogni donna deve alla sua controparte la sua gioia e il suo dolore. Come potremmo pensare che un inferno non sia scatenato da un altro inferno pari o di maggiore orrore?
    siete anche su http://www.pornoguerrilla.com

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