R-Esistenze

#OccupyGezi: quel che succede a Istanbul e in Turchia

Marina mi segnala un messaggio su Istanbul e quel che sta succedendo in Turchia (qui la diretta streaming #OccupyGezi con manifestanti che hanno richieste precise da fare e che si sono beccati botte, veleni, abusi, violenze, mentre tentavano di difendere gli alberi di Gezy Park) che forse chiarisce un po’ il contesto eterogeneo e ampio. Mentre riporto che ci sono esercizi privati che condividono le loro password wifi per i manifestanti, vi rimando alla lettura della lettera:

“Ciao Marina, non puoi immaginare quanto sono commossa per la tua attenzione, mi fa tanto piacere sapere che non siamo da soli. Oya è in Turchia, l’ho vista partecipare ad una delle manifestazioni.

Riguardo la situazione a volte i media internazionali sono più efficaci, perché noi abbiamo perso la speranza su quelli nazionali. Si viene a sapere di più tramite Reuters o AlJazeera, perché in Turchia preferiscono tacere. Menomale che esiste Facebook, quindi i cittadini condividono quello che sta accadendo.

Ho sentito mia madre e i miei amici che vivono proprio in centro. In alcune zone (che non sono solo Taksim) si tratta di un campo di guerra ed il gas lacrimogeno si vede persino da lontano. Sempre a Taksim hanno tolto l’uso del 3G, quindi si fa tutto per diffondere le password delle reti wireless per permettere alle persone che sono là di connettersi col mondo. Nessuno dorme di notte. Le persone che non riescono a partecipare danno da mangiare e offrono protezione ai manifestanti, se vivono nelle zone dove succedono gli scontri. Chi vive nelle zone più tranquille partecipa alla resistenza uscendo davanti a casa o aprendo le finestre e facendo casino per dimostrare il sostegno. Da venerdì sera nessuno dorme. Io ho reso tutto quello che pubblico su Facebook “pubblico” e condividibile. Ovviamente è un decimo di quello che succede.

Non pensare che la stuazione è così solo a Istanbul. In tutte le città, persino nei paesini turistici, ci sono le manifestazioni. Ovviamente quando si tratta di una città grande che garantisce più partecipazione la polizia è più crudele. Ad Ankara e Izmir soprattutto la situazione è simile a Istanbul. Si dice che in alcuni posti hanno sparato con dei proiettili veri, speriamo di no.

Da una parte sono contenta di poter diffondere le voci all’estero, da una parte sono triste di non poter partecipare attivamente. E’ una cosa molto brutta, ma anche molta bella. E’ una ribellione senza organizzatori. Non ci sono i leader, non puoi citare nessun gruppo in particolare che ha organizzato questa cosa. E’ tutto spontaneo. Ci sono quelli di destra, di sinistra, i nazionalisti che stanno assieme ai curdi a combattere contro la dittatura. Per la prima vota non siamo delle pecore che seguono un pastore. I militari non intervengono se non per distribuire le maschere antigas e per non facilitare la vita alla polizia. C’è un network online fra tutti i turchi. Basta connettersi su Facebook per vedere i medici che si offrono per curare i feriti, per le reti di wireless a cui connettersi, per sapere da dove sta arrivando la polizia, per sapere quali posti sono aperti di notte per proteggere chi scappa dalla polizia.

E’ una manifestazione incredibilmente civile da parte dei cittadini. Chi è troppo violento e vuole causare dei danni in giro va fermato dagli altri, perché l’obiettivo non è (…) distruggere la proprietà privata. I manifestanti puliscono le strade durante la manifestazioni per non lasciare in dietro una città sporca.

Stavolta sono più fiduciosa che preoccupata. Per la prima volta la generazione più apolitica della storia della paese si è ribellata.”

—>>>Repressione, botte della polizia e victim/blaming politico sociale (al quale, nello sforzo di veicolare una immagine dei manifestanti/vittime il più possibile politically-correcty, non sfugge neppure chi scrive questa lettera, purtroppo…)

—>>>Leggi La Rivoluzione Turca – grazie a Donne Migranti per la segnalazione!

—>>>QUI report multilingue minuto per minuto comprensivo di arresti, feriti, tutto quel che sta avvenendo in Turchia.

6 pensieri su “#OccupyGezi: quel che succede a Istanbul e in Turchia”

  1. A causa di un errore di traduzione devo rettificare la frase di Erdoğan. Non è quella che è stata citata in questo articolo. Ossia: “Bisogna appendere a quegli alberi quelli che protestano per gli alberi. Tanto loro sono abituati”. Chiedo scusa.

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