Antisessismo, Autodeterminazione, Culture, R-Esistenze

Storia breve dell’Italia sessista

Le donne erano proprietà di padri e mariti, se stuprate venivano consegnate agli stupratori con il matrimonio riparatore, se insistevano nel denunciare il crimine subito venivano definite sgualdrine e a loro era attribuita la colpa di aver indotto l’innocente maschio a stuprarle.

Attraverso il sangue e le lotte delle donne alcune leggi sono cambiate. Non più matrimonio riparatore ma la concessione paternalista della legge contro la violenza sessuale definita come atto contro la morale pubblica. Uomini stupravano e altri uomini stabilivano l’entità del danno procurato non alla vittima ma al loro padre, fratello, marito, finanche passante purché maschio. Recalcitranti maschilisti istruirono polizie sessiste a non accettare le denunce a carico di stupratori e a spiegare alle vittime che avrebbero dovuto vestire diversamente, comportarsi in altro modo, non uscire da sole la sera specie se non accompagnate da un altro uomo.

Decenni dopo la legge, scritta da donne per le donne, descriveva lo stupro come reato contro la persona e quella persona doveva per forza essere individuata nella vittima e non negli uomini che attraversavano la sua vita. Sin dal primo vagito della legge, assieme agli sforzi sovrumani di maschi autonominati quali deterrenti alle ribellioni delle vittime di stupro, lo stupratore usò un’altra istituzione autoritaria, ancora in via di evoluzione, per cercare di trarne vantaggio. Le prime perizie psichiatriche che giudicavano i criminali non in grado di intendere e volere videro la luce giusto negli anni in cui matrimonio riparatore e delitto d’onore furono cancellati dal diritto penale.

Gli uomini impegnati nella dura battaglia volta a rendere vane le denunce delle donne non fecero mai una bella riflessione, una qualche autocritica, un salto per cercare di empatizzare con le vittime. Piuttosto si sforzarono di descrivere stupratori e assassini di donne come poveri diavoli sempre tentati da una minigonna o sofferenti per la volontà di una donna di voler mettere fine ad una relazione. Frasi come “E’ sempre la donna a decidere” o “E’ lei che mi ha provocato” sono diventate filosofia morale e stigma sociale volte ad annientare qualunque gesto di rivolta delle donne oppresse.

Negli anni anche le donne sono diventate giudici, avvocati, con difficoltà perfino membri delle forze dell’ordine. Combattevano una guerra in seno alle organizzazioni maschiliste di cui iniziarono a far parte e aprivano spiragli per le donne che vivevano immerse nella società altrettanto maschilista. Sono bastate poche sentenze di condanna di stupratori e assassini per far emergere un contrattacco maschilista, backlash gender lo definirebbero altrove, violento e carico di rancore. Un contrattacco spudorato, vendicativo, criminale.

Negli ultimi vent’anni gruppi di sedicenti antifemministi hanno continuato a gettare fango su ogni donna che osasse alzare la testa per non subire violenza di genere. Hanno minacciato, intimidito, bullizzato, insultato, le donne che lottavano affinché nessuna donna più subisse violenza maschilista. Lo hanno fatto sul web, lo hanno fatto nei tribunali e sulle prime pagine di quotidiani misogini. Hanno inventato termini per continuare la colpevolizzazione delle vittime, hanno elaborato strategie per definirsi discriminati da donne che non accettano di farsi stuprare e ammazzare senza fiatare.

Avrete letto anche voi dei teoremi più diffusi: quello sulle cosiddette “false accuse” che relegherebbe le vittime di stupro nell’angolo punitivo destinato a chi si vedrà sottratta la credibilità; quello sulla “misandria” che all’improvviso dovrebbe spiegare come la società sia sotto il controllo assoluto di femministe isteriche e piene di odio contro tutti gli uomini.

Sono teorie che farebbero ridere perfino gli infanti per la tragicomicità che le caratterizza, non fosse per il fatto che queste teorie vengono scandite anche da avvocati difensori di stupratori, nelle aule di tribunali, da sedicenti giornalisti, nelle prime pagine di quotidiani, da legislatori sempre pronti a riportare indietro le lancette dell’orologio.

Ciò che vogliono è chiarissimo: le donne non devono avere capacità e potere di ribellarsi, denunciare, sentirsi sicure di poter dire di No. Le donne non sottomesse non devono semplicemente influenzare le altre che ancora sono costrette ad una vita di stenti e rinunce.

Oggi abbiamo un premier donna che si dice femminista ma vuole le donne semplicemente a fare figli in una famiglia eterosessuale. Ciò dimostra che non tutte le donne sono unite nella lotta contro la discriminazione sessista che subiscono. Tuttavia se quel premier può contare su leggi contro stupro e femminicidio, per il nostro diritto allo studio e al lavoro, per il diritto alla libera scelta in fatto di vita privata e professioni, lo deve a tutte le donne che hanno pagato un prezzo carissimo per segnare un percorso più facile per quelle che sono arrivate dopo.

Donne che hanno segnato a mani nude nuove strade che certe signore di destra si permettono di attraversare insultando la memoria e l’intelligenza di quelle che le hanno costruite e delle altre che continuano a scavare perché quelle strade non restino senza uscita.

In una Italia come questa noi viviamo. Senza mai chiudere occhi e orecchie, senza spegnere la voce, senza rassegnarci all’esistente perché vogliamo tutto. Ed è nostro diritto pretenderlo.

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