Autodeterminazione, Personale/Politico, Precarietà, R-Esistenze, Salute Mentale

#Legittimadifesa: quando la violenza è economica

Mio padre teneva i soldi che guadagnava lavorando e li spendeva come voleva salvo distribuire una paghetta a mia madre che doveva, attraverso quella, pensare alla spesa, alle bollette, a tutte le esigenze dei figli. Mia madre non ebbe mai in comune il conto con mio padre e quando le chiesi perché non lo lasciava, giacché lui mi massacrava di botte, lei disse che non voleva finissimo in mezzo alla strada. Una delle cose che mio padre fece fu quella di privare mia madre perfino di una minima proprietà della nostra casa che lei aveva ricevuto in eredità dai genitori. Dunque tutto era sotto il controllo ansioso e paranoico di un uomo che pensava di essere l’unico a poter gestire per bene le nostre vite e l’economia familiare.

A differenza di ciò che si pensa, e traggo ciò dalle tante storie ricevute e ascoltate in tanti anni, questa forma di subdola violenza non è affatto isolata ma è molto diffusa. Ho letto spesso frasi come “lui non mi picchia e mi compra quel che mi serve”, si afferma questo senza capire che in quel preciso istante, quando è lui a decidere cosa serva a te e cosa no, tu non hai il controllo della tua vita e della sfera economica che pure, secondo contratto matrimoniale, ti appartiene. Le nostre nonne tentavano di supplire a questo genere di carenze mettendo sotto il materasso i soldi risparmiati dalla spesa. Le signore più giovani si chiedono come faranno a mollare il marito violento se non hanno lavoro e reddito e pensano di non avere diritto a nulla di quel che il marito guadagna. I mariti, d’altro canto, fanno di tutto per far credere che innanzitutto solo a loro spetta l’onere di guadagnare per la famiglia, lasciando alla moglie il compito della cura e dell’educazione dei figli, e se più moderni sollecitano la moglie a trovarsi un lavoro solo perché uno stipendio non basta più, come a risollevare l’ansia del patriarca, giammai per l’indipendenza stessa della donna.

Se un uomo ha manie di controllo spinge la donna a depositare anche il proprio stipendio sul conto del marito, perché lui solo potrà gestire con oculatezza quei soldi. Mio padre diceva che mia madre era spendacciona, nulla di vero, in realtà lui era l’unico che gestiva risorse familiari per accumulare beni di cui godeva in solitaria. La favola della femmina che non sa gestire il denaro e lo sperpererebbe in cose frivole giunge intatta fino a noi, perché la cultura non cambia, al punto che l’ex marito si oppone al pagamento degli alimenti per i figli adducendo come motivazione la natura sperperatrice e intrinsecamente avida della ex moglie. Non li spenderebbe per i figli ma per andare dal parrucchiere e fare la manicure. Profumi e imbellettamenti e niente balocchi per me, narrava una antica canzone che resta nell’aria come un mantra utile ai maschilisti.

Continua a leggere “#Legittimadifesa: quando la violenza è economica”
Pensieri Liberi, Personale/Politico, Precarietà

Cronache postpsichiatriche: la depressa sobria era una piscialetto!

Per la mia autobiografia.

In questa foto avevo otto anni compiuti. Non sorrido, come d’altronde neppure in tutte le altre foto che mio padre mi faceva fare quando c’era da celebrare l’arrivo di un nuovo vestitino. Credo che questo mi fosse stato regalato perchè dovevamo andare ad un matrimonio di parenti o cose del genere. C’erano i matrimoni o i funerali. Poche altre occasioni per sfoderare il fascino della scarpina nuova.

Di quel periodo ricordo con esattezza un paio di cose. Avevo già scritto in due diversi quaderni due racconti lunghi di genere giallo, ispirati a Belfagor e Arsenio Lupin, scopiazzamenti ma venivano dalla mia fantasia ed esercitavo così la scrittura, ovviamente seppelliti nell’archivio che la mia famiglia considerava di roba da gettare via. Scappavo di casa pomeriggi interi per andare a sedermi sulla tomba di mia nonna, al cimitero, dove scrivevo o leggevo. Al ritorno erano botte, in genere colpi di manico di scopa sulla schiena. Poi ricordo che a volte facevo ancora la pipì a letto e dato che nessuno considerava la parte psicologica della questione mia madre mi portò dal medico di famiglia il quale mi prescrisse un farmaco per trattenere i liquidi. Dopo un paio d’anni avevo la cellulite alle cosce e non avevo ancora neppure avuto le mestruazioni perché la ritenzione idrica era totalmente fuori controllo.

Continua a leggere “Cronache postpsichiatriche: la depressa sobria era una piscialetto!”
Antiautoritarismo, Personale/Politico, Precarietà, R-Esistenze

Il furto della felicità

da Lo Stato Sociale

Michele si è tolto la vita, a trent’anni. E prima di farlo ha scritto una lunga lettera. La trovate sui giornali, su internet. Parla di furto della felicità, della nostra generazione, dei no che uccidono, di sistema, di sogni, di libertà di scelta. È una lettera lunga e piena di amore e rassegnazione, di rabbia e serenità. Di vita, a dire il vero. E a tutti i moralizzatori col culo degli altri di internet chiedo di indossare un po’ di silenzio, che di certo il dolore dei cari ed il suo gesto non meritano inutili accuse gratuite.

Continua a leggere “Il furto della felicità”

Affetti Liberi, Autodeterminazione, Personale/Politico, Precarietà, R-Esistenze

Caro Michele, noi siamo te!

Caro Michele,

ho letto la tua lettera di addio e vorrei condividerla con le persone che mi leggono per dire che il tuo dolore l’ho provato anch’io. Ho pensato alla precarietà, ai debiti, al peso schiacciante di un’economia che tutto chiede e nulla restituisce, a chi ti dice che sono le tue competenze che contano quando in realtà non contano un cazzo. Alle persone che ti dicono che per lavorare non serve altro o che tutto quel che conta di te è che tu sia bella dentro. Tutte cazzate.

Continua a leggere “Caro Michele, noi siamo te!”

La posta di Eretica, Personale/Politico, Precarietà, R-Esistenze, Storie, Violenza, Welfare

L’abuso economico contro vittime di violenza di genere

flashcards-_intersectionality1323387834491

Sto tentando di raccogliere, tra i tanti messaggi che arrivano ogni giorno all’indirizzo di Abbatto i Muri, quelli che parlano di violenza di genere aggravata o indotta da dipendenza economica. Inizio una minima carrellata, qui, invitandovi a continuare a raccontare, perché è ascoltando i vostri racconti che si capisce anche quale tipo di prevenzione forse è più necessaria contro la violenza di genere.

Continua a leggere “L’abuso economico contro vittime di violenza di genere”

Antisessismo, Autodeterminazione, La posta di Eretica, Personale/Politico, Precarietà, R-Esistenze, Storie

Studio perché da grande non vorrò dipendere economicamente da nessuno

Lei scrive:

Cara Eretica, sono una ragazza di 17 anni ed è da qualche mese che seguo la tua pagina, devo ammettere che mi hai fatto aprire gli occhi su questioni a cui prima non davo minimamente peso. Proprio per questo motivo vorrei condividere con te la situazione che ultimamente sto vivendo in famiglia, rimanendo nell’anonimato.

Continua a leggere “Studio perché da grande non vorrò dipendere economicamente da nessuno”

Autodeterminazione, La posta di Eretica, Personale/Politico, Precarietà, R-Esistenze, Storie, Welfare

Per rialzarsi in piedi serve scansare le donne vittimiste

l_bf9f9430-ef90-11e1-8d67-370210f00006Ho sempre sopportato molto poco il tono piagnucoloso di certe donne che non sanno rialzarsi in piedi con le proprie gambe. Vederle, ascoltarle, mi ha sempre dato molto fastidio. Sarà che sono stata e sono molto combattiva, senza temere le conseguenze delle mie azioni e per azioni intendo quelle resistenti, lotte, battaglie condotte contro chi voleva impedirmi di fare le mie scelte. Ho sempre odiato quelle che non ce la fanno e allora tentano di convincere anche te che non avrai altro futuro che quello. Si lamentano di essere vittime di tutto fuorchè di se stesse. Come se non volessero crescere mai, entrare a pieno titolo in età adulta, perché dopo aver analizzato i tanti perché della tua condizione finisce che devi renderti conto che se sprechi la tua unica vita nessuno te la restituirà mai.

Continua a leggere “Per rialzarsi in piedi serve scansare le donne vittimiste”

Antiautoritarismo, Autodeterminazione, Critica femminista, Precarietà, R-Esistenze, Violenza

#25Novembre #IoMiSalvoDaSola: siamo tutt* Cappuccetto Rosso!

Siamo tutt* Cappuccetto Rosso
Siamo tutt* Cappuccetto Rosso

 

La giornata del 25 novembre volge al termine e io vorrei raccontarvi la storia di tre donne.

Barbara è una quarantacinquenne che è stata licenziata cinque anni fa a causa della “crisi”. Non ha più trovato lavoro ed è rimasta ad abitare con l’ex marito, da separati in casa. L’ex marito non è una persona violenta e anzi le è molto amico. Ma Barbara ha tante colleghe che sono disoccupate come lei e dice che una delle loro maggiori preoccupazioni, all’epoca del licenziamento, era il fatto di dover dipendere da mariti e genitori. Tre su 27 si sono separate senza possibilità di mantenersi da sole. Sono tornate a vivere con i genitori e a subire perciò situazioni di grande tensione. In qualche caso sono tornate dagli stessi genitori dai quali erano fuggite molti anni prima. Due su 27, a parte Barbara, sono state costrette a restare in casa con l’ex marito, per il bene dei figli, e dopo qualche tempo hanno confidato che pur volendo andare via non potevano farlo. Perciò la dipendenza economica, spesso, è causa di gravi conseguenze per le vittime di violenza. Tale dato viene trascurato da borghesi e teoriche della violenza da estirpare semplicemente estirpando l’uomo. Cosa certa è che tante di queste signore non hanno bisogno di un lavoro, hanno una casa e percepiscono un reddito. Ecco perché non gliene frega niente di proporre leggi a prevenzione della violenza, di genere, economica e sociale, che parta da una redistribuzione equa del reddito per tutt*. Meglio legittimare, all’insegna dell’emergenzialità, giocando con i numeri della violenza, esagerando, gonfiando, come oggi fa Repubblica contrariamente agli stessi dati diffusi dai Centri Antiviolenza che segnano un – 40 rispetto al dato fasullo del quotidiano online, leggi repressive, securitarie, che sono fedeli alla prassi di uno stato paternalista, di istituzioni patriarcali che esaltano le presunte operazioni di salvataggio a cura di tutori dell’ordine invece che esaltare le scelte autodeterminate delle donne. Più denunce non significa meno violenza. Chi lo afferma dice il falso. Se le donne restano sole e dipendenti dagli ex mariti dai quali, peraltro, continuano a dipendere economicamente (con assegno di mantenimento e varie), la denuncia non è una valida opzione. Prima devono realizzarsi le condizioni affinché le donne possano ricominciare a vivere altrove e poi, solo poi, si chiede alle donne se vogliono denunciare o meno. Ricordo, tra l’altro, che tutto il percorso che le istituzioni al momento seguono, dal percorso rosa negli ospedali all’impossibilità di ritirare la querela, tende a dimostrare che le donne non sono affidabili e che possono perfino essere considerate delle bambine non in grado di intendere e di volere al punto che le istituzioni insistano nel sostituirsi a loro in ogni decisione possibile.

Continua a leggere “#25Novembre #IoMiSalvoDaSola: siamo tutt* Cappuccetto Rosso!”

Antiautoritarismo, Antifascismo, Antisessismo, Autodeterminazione, Critica femminista, La posta di Eretica, R-Esistenze, Violenza

#Diritti #Aborto: la nostra lotta non è gentile!

125424567-51e4ec5d-8edd-4bd3-a568-6c12f2f26bdb

Quando si parla d’aborto si immagina sempre di dover essere molto obbedienti, rispondendo alla violenza dei contenuti antiabortisti con la pacatezza delle donne che – ferite – temono di sfidare l’autorità invece che esprimere la rabbia che hanno in corpo. Ma non è tutto qui. Ci sono compagne che per aver occupato farmacie che non vendevano la pillola del giorno dopo o per aver pisciato davanti a obiettori di coscienza che vendono servizi sanitari si beccano la presa di distanza di chi va a manifestare in fila per due. Ci sono compagne che per aver lasciato una bella scritta sui muri sono guardate con la puzza sotto il naso da chi vorrebbe fare battaglie pro/choice senza sfidare proprio nessuna autorità (patriarcale). Sono le compagne con la puzza sotto il naso, quelle che pensano sia incisiva una mediazione con chi ti fa schiava, ritengono sufficiente una quieta dimostrazione indignata.

Continua a leggere “#Diritti #Aborto: la nostra lotta non è gentile!”

Autodeterminazione, La posta di Eretica, Personale/Politico, Precarietà, R-Esistenze, Storie, Violenza, Welfare

La capa mi insulta sul posto di lavoro e mi ferisce moltissimo

11412282_10153037755864217_2496706603190047277_n

Lei scrive:

Cara Eretica,

ti scrivo sull’onda emotiva che mi ha accompagnato stasera, e che mi ha fatto tornare a casa in lacrime da lavoro per la terza volta in tre settimane.
Mi sei venuta in mente tu, il femminismo, la solidarietà femminile… tutto a puttane, dove lavoro io.

Una breve premessa: a luglio dell’anno scorso mi sono laureata in una materia che non mi piace e mi ritrovo oggi, a un anno di distanza, con uno stage aziendale appena iniziato e un lavoro come cameriera in un ristorante per potermi mantenere almeno nelle piccole cose. La benzina, qualche cambio di vestiti presi in saldo per andare allo stage, una rara birra fuori infrasettimana.

Ed è proprio il ristorante, cioè il mio sollievo economico, il mio problema principale: la titolare, infatti, da qualche tempo (a cadenza settimanale), mi fa osservazioni non sul modo in cui lavoro… ma sul mio peso.

Secondo lei, il fatto che io lavorando sudi molto è dovuto al peso eccessivo; secondo lei, dovrei farmi curare (“In ospedale c’è un dottore bravissimo, ci vai con la mutua, mia cugina c’è stata e le ha dato la dieta perfetta da 1400 calorie, si mangiava anche una pizza a settimana… certo che bisogna avere volontà, non so se tu ne abbia abbastanza“); stasera, dal nulla, mi ha chiesto se mi fossi comprata una gonna più stretta per lavorare o se mi fossi ingrassata “ancora”. Ancora?

Sono alta 1,79 e peso 97 chili, da preadolescente ho avuto problemi di disturbi alimentari, sono figlia di genitori obesi, sono uscita da poco da una depressione curata a psicofarmaci: sono più consapevole che mai del mio corpo, di quanto mi sia pesante, di quanto tutti i giorni io mi guardi allo specchio con schifo e di quanto vorrei lasciarmi andare una volta per tutte. Cancellare le mie forme, non fare più nessun movimento, non provarci più, finire sola.

Se solo quella donna sapesse quanto io trovi agghiaccianti e allo stesso tempo allettanti questi pensieri, sfondare i 100 chili, poi magari i 200, chissà come sarebbe riconoscere di non amarmi affatto.
Eppure in qualche modo tengo duro, non so nemmeno io perchè, probabilmente per paura. Forse perchè penso che se riesco a darmi un po’ di tempo, e a ritrovare un po’ di serenità, il peso (che per me rimane un problema secondario rispetto al lavoro e alla sicurezza economica) seguirà da solo un percorso in discesa. Sono stata in forma, mai magra, ma in forma sì, so come fare a stare meglio, ma per adesso non ho il tempo materiale per pensarci.

Indagare i motivi per cui lei si senta in diritto di dirmi certe cose non mi interessa, fosse cattiveria gratuita o sincero interessamento per me non cambierebbe nulla, quello che importa è come mi sento io, e io mi sento male. Umiliata, ferita, lacerata da un dolore che mi porto dietro da anni e con il quale non riesco ancora a relazionarmi positivamente.

Perchè in un ambiente di lavoro così, semplice, senza tante pretese, non si è al riparo da osservazioni tanto taglienti? Perchè una donna di mezza età che tutto è tranne che magra, o anche solo in forma, si permette di entrare così a fondo nel privato di un* dipendente? Non siamo amiche, non lavoro lì da anni, sono anche sottopagata e in nero, c’è un rapporto più che formale… eppure, eppure, eppure.

Non sono una leccaculo, non sono mai riuscita a fare buon viso a cattivo gioco, e certe cose non riesco proprio a farmele scivolare addosso.
Mollare tutto e andare in cerca di un altro posto sarebbe una mossa azzardata? Non lo so, continuo a chiedermelo ma non trovo risposte.
Parlarne con lei è fuori discussione, non ci riuscirei nemmeno. Oltretutto, non vedo nemmeno il motivo per cui dovrei. Sono cose mie, sono intime, ne sono gelosa e se ne devo parlare ne parlo con chi può darmi veramente delle risposte di valore.

Tu cosa ne pensi?

Ciao cara, scusa lo sfogo.

Continua a leggere “La capa mi insulta sul posto di lavoro e mi ferisce moltissimo”

Antiautoritarismo, Autodeterminazione, Critica femminista, Femministese, R-Esistenze, Violenza

Cara Lea Melandri, la responsabilità degli orrori del mondo è di tutt*

la-bella-e-la-bestia-570x300

Mi spiace che alla fine Lea Melandri abbia ceduto a una lettura che non va oltre l’attribuzione di meriti o demeriti ad una dualità di esseri umani. Gli uomini violenti, le donne vittime. Senza vie di mezzo e concludendo che comunque la pensiate è andata così. Sempre così. Dal carattere maschile deriverebbero tutti i mali del mondo e a nulla vale ricordare che se le donne avessero occupato eguali posizioni, potere, avrebbero commesso eguali quantità di crimini.

Continua a leggere “Cara Lea Melandri, la responsabilità degli orrori del mondo è di tutt*”

La posta di Eretica, Precarietà, R-Esistenze, Storie, Welfare

La precarietà e l’apriscatole

Un’altra storia di precarietà. La manda Annalisa. Un abbraccio a lei e buona lettura a voi.

>>>^^^<<<

Oggi ho avuto bisogno di un apri scatola.
Era lì, aggeggio retrò dimenticato in un cassetto sbilenco, con la sua rotellina ancora ben oliata e funzionante.
L’ho usato per aprire il salvadanaio di latta di mio figlio, sei anni, che ci chiede una monetina al giorno e ci ha infilato dentro le banconote, “i soldi di carta”, vinti giocando al mercante in fiera il giorno di Natale.

Continua a leggere “La precarietà e l’apriscatole”

Autodeterminazione, La posta di Eretica, Precarietà, R-Esistenze, Storie, Violenza, Welfare

Ti sembra abbastanza precaria la mia storia?

Avevo chiesto il racconto della propria precarietà. QUI un post che ne parla e QUI la discussione su facebook. Quella che segue è invece una storia che una ragazza mi ha raccontato e che condivido con voi. Buona lettura!

>>>^^^<<<

Ho 23 anni, sono nata in una famiglia modesta, ma libera. Mio padre ha una piccola officina in proprio dove lavora conto terzi, non ha padroni e non ne ha mai voluti, solo una collega: mia madre. Si sono conosciuti lì, quando l’officina era ancora di mio nonno paterno, mia madre aveva 11 anni e mio padre 14. Hanno lavorato sotto le macchine tutta la vita, insieme.

Poi sono nata io, e ho avuto un’infanzia meravigliosa. Mia madre non ha neanche fatto le scuole medie, quindi voleva darmi tutto. Andavamo in montagna, mi faceva ascoltare la musica, dipingere, mio padre mi portava tutti i sabati in biblioteca. Quando avevo 7 anni è nata mia sorella, e malgrado la mia gelosia e il mio caratteraccio, la famiglia era al completo. Mio padre giocava sempre con me e mia madre mi scarrozzava a lezione di piano o al corso di nuoto, oltre ad occuparsi di tutto il resto e del lavoro.

Poi quando avevo 13 anni, mia madre cade in depressione. Sono ancora troppo piccola per gestire questo e i miei genitori sono per la prima volta in una situazione delicata da afrontare, decidono di non dirmi niente, fino al giorno in cui scopro per caso le parcelle dello psichiatra, un anno dopo. Finalmente mi spiego il comportamento assente di mamma e la stanchezza di papà, ma ormai la complicità si è persa e quel mutismo familiare che si accentua durante l’adolescenza è già entrato in atto.

Quando ho 15 anni, nel 2007, arriva la prima grossa crisi. Non c’è più lavoro, le grosse ditte delocalizzano in Polonia, per mio padre non ci sono più commissioni. Cercando di mettere una seconda ipoteca sulla casa (appena finito di pagarla) per saldare il prestito che ha chiesto alla banca, quest’ultima rifiuta e mio padre si ritrova con 120mila euro di debiti. Non aveva ancora detto niente a nessuno, ma a quel punto è costretto a comunicarlo a mia madre.

Quella sera io stavo lavorando al bar, come sempre, per pagarmi l’università, quando vengo a sapere che mamma ha fatto una crisi ed è in ospedale. Io non ho visto niente e non ne abbiamo mai parlato, ma a quanto pare voleva suicidarsi. Non sapevo del debito, ma dopo qualche mese la notizia viene comunicata anche a me, e comincio a soffrire d’insonnia.

Per i miei genitori è impossibile cercare di cambiare vita, ma per me sì: parto in Erasmus, mi allontano da tutto questo, dal lavoro in nero, dalla frustrazione di non poter seguire i corsi perchè sono al bar fino alle 2 di notte. Per la prima volta nella vita ho una borsa di studio, posso seguire le lezioni, anche se devo lavoricchiare comunque per pagarmi le spese. Alla fine dell’Erasmus, decido di non tornare in Italia…sinceramente, per fare cosa? Tornare a vivere dai miei, laurearmi senza nessuna prospettiva, non potermi iscrivere alla specialistica, essere sottopagata.

Resto in Francia, dove la mia vita non è comunque facile, ma almeno è più libera e autonoma. Imparo a conoscere nuove persone, ad essere sola nelle difficoltà (e me ne rendo conto quando finisco al prontosoccorso e nessuno è lì con me, a chiedermi come sto, o ad aspettarmi quando rientro a casa), a gestire il budget.
Riesco a laurearmi, ma non a ottenere la borsa di studio per la magistrale: problemi burocratici. Rimando gli studi di un anno e decido di lavorare nel frattempo per mettere via qualche soldo e realizzare i miei sogni. Solo che un lavoro ben pagato, non lo trovo proprio. Con una triennale, non posso neanche sognarmi di lavorare nel mio campo, che è già precario di suo: lingue e letterature straniere.

Dopo aver fatto un po’ di tutto: babysitter, cameriera, schiava da H&M, ripetizioni di italiano, o tutte queste cose contemporaneamente…trovo un posto da responsabile di sala in un ristorante. Non reggo 3 settimane: devo lavorare 60 ore a settimana e me ne pagano solo 39. Non ce la faccio per principio. In quel periodo di stress, mi vengono delle strane bolle alle mani. Continuo a lavorare nonostante le mani, come commessa, perchè l’affitto non lo pago con i sorrisi, ma le bolle vanno di male in peggio.

Si scrostano, sanguinano, bruciano. Cosa cavolo è? Boh, chi ce li ha tempo e soldi per il dermatologo? Al pronto soccorso neanche ci sono le urgenze dermatologiche. Dopo 3 mesi, finalmente non ce la faccio più, prendo appuntamento. Ma ce ne vogliono altri 2 per avere tutti gli esami e visite, per un totale di almeno 350 euro: è una dermatite atopica. Cronica. Incurabile. Me la devo gestire al meglio, cercare di “non stressarmi”. Cause sconosciute, dovrei fare un test dermo-allergologico. Altri 2 mesi di attesa, Altri soldi che non ho. Come non stressarmi? Certa gente non se lo può permettere.

La fine del mese comincia il 15. Soldi non ne sto mettendo via, neanche un centesimo. Non ho tempo per trovare seriamente un lavoro che mi piaccia, o che non mi faccia ancor di più infettare le mani: ora lavoro in un tabacchi, tocco soldi tutto il giorno. Odio i soldi, puzzano, sono sporchi. A fine servizio ho le mani nere, tutta quella merda mi entra nelle piaghe.

Ho l’impressione di dover rinunciare a tutti i miei sogni: iscrivermi alla specialistica, viaggiare un po’ (non vedo il mare dal 2011)…le uniche due cose che mi restano sono la musica e il libro che sto scrivendo. La mia vita sentimentale è una noia senza pari. Il mio ragazzo ed io ora viviamo insieme, ma siamo morti dentro. Nessuna scintilla di passione, un sacco di noia.

Neanche nella salute posso confortarmi. Ho le mani piene di piaghe e regolarmente pensieri suicidi. Ho strappato le tende e lanciato sedie a destra e a manca in casa svariate volte. Il mio ragazzo spesso ha paura di me, anche se non gli farei mai del male, a volte quando dò di matto mi stringe forte per impedirmi di muovermi e rompere cose. Una volta pur di fare qualcosa mi sono divincolata dalla sua presa e ho dato una testata al muro, per calmarmi. Vorrei essere una persona migliore, ma la vita comincia davvero a rompermi il cazzo.

A volte quando mi sveglio non so perchè dovrei continuare a lottare per tutto questo. Sorridere al mio capo per cosa. Dire che la vita è bella, perché? Mi sembra di non avere nessun motivo di essere felice. Vorrei davvero mandare tutto quanto affanculo e spararmi un colpo in bocca, però lo farei al lavoro, giusto per schizzarmi il cervello sui muri e rompere il cazzo a quel coglione del mio capo e soprattutto di quella timorata di dio di sua moglie.
Però quando i miei mi chiamano dico che va tutto bene, come potrei farli preoccupare, o anche solo deluderli?

Spero sia abbastanza precario.

'SteFike, Antiautoritarismo, Autodeterminazione, Critica femminista, Precarietà, R-Esistenze, Violenza, Welfare

#streetharassment: le mie 10 ore di passeggiata in città

27935_115602265271953_82988368_n

Ho voluto sperimentare, anche se non avevo una telecamera, e dunque tento di fare una sintesi di tutti i commenti che ho ricevuto. Qualche buongiorno e buonasera, alcuni giovani senegalesi che volevano vendermi ombrelli, calzini, accendi-gas e simili, poi ho incontrato i soliti due o tre ragazzi che vendono fiori all’angolo delle strade e la solita signora rom, che si dà il turno con il coniuge, alla fermata dell’autobus dove tenta di raccattare qualche moneta.

Continua a leggere “#streetharassment: le mie 10 ore di passeggiata in città”

Acchiappa Mostri, Antiautoritarismo, Comunicazione, Critica femminista, Femministese, Precarietà, R-Esistenze, Violenza

Neocolonialismo, pornoindignazione e sedativi sociali

407474_429026523831180_2034705350_n

Questa settimana avete avuto la vostra dose di pornomostruosità per pornoindignazione. C’è da soddisfare per un mese anche i pruriti delle forcaiole neocolonialiste che concludono che i patriarcati altrove e le culture di violenza sessista dipendano sempre da fattori etnici e non di tipo culturale. Perciò correte tutte a mettere un like per “salvare” le ragazze che nel mondo vengono offese, umiliate, stuprate e uccise. Ci sono alcune, poi, che dicono: vedete? eccola la dimostrazione del fatto che le donne sono vittime di brutalità atroci perché l’uomo, in quanto uomo, è cattivo. Si dice questo senza che si analizzino le cause e le fonti culturali, chiunque sia a veicolarle, o senza che si ragioni sulla prevenzione, che si provi ad arrivare a conclusioni di buon senso.

Continua a leggere “Neocolonialismo, pornoindignazione e sedativi sociali”