La posta di Eretica, R-Esistenze, Storie, Violenza

Quelle tre bulle che mi hanno spinto a tentare il suicidio

Avevo 12 anni, frequentavo la scuola media, ed ero vittima di bullismo. Mi avevano preso di mira tre ragazze che non facevano altro che sfottermi e dirmi cattiverie. Avevano diffuso false voci sul mio conto, perché il loro modo di ferirmi, più che fisico, era psicologico. Pettegolezzi, e altri compagni, anche maschi, che si univano a quel coro. Entravo a scuola intimidito e me ne andavo triste e con una gran voglia di piangere. A casa avevo una situazione tranquilla. Mio padre taciturno e mia madre che non faceva altro che dirmi che dovevo avere rispetto delle donne. Poi c’era mia sorella, la mia unica amica, alla quale raccontavo tutto, ma in quel momento era già all’università e non potevo parlarle di quello che mi stava succedendo.

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Antiautoritarismo, Autodeterminazione, Culture, R-Esistenze, Violenza

#Firenze: a teatro la storia di Rossella Casini. Di mafie e logiche da clan!

Rossella Casini
Rossella Casini

Sono sempre molto perplessa quando si parla di donne e mafia. Nella migliore delle ipotesi sono descritte come giuste perché hanno scelto tra un patriarcato e l’altro, la mafia o lo Stato, i meccanismi impliciti a quel familismo amorale fatto di violenza e omertà e quegli altri in cui si esaltano gli “uomini” di Stato e il legalitarismo come unica strategia di sopravvivenza. Sono perplessa perché conosco a fondo il tema, ho cercato a fatica una sfumatura di antimafia che non fosse appiattita su ragioni filo/istituzionali, laddove in Sicilia si sono celebrate le legittimazioni di varie politiche repressive. Quelli delle leggi speciali antiterrorismo che ti piovevano a casa a tutte le ore a perquisirti l’anima con la speranza di trovare armi dove invece c’era solo un volantino erano poi gli stessi che si nutrivano della retorica del rappresentante dello Stato buono e onesto, l’uomo un po’ supereroe e un po’ leader, che combatteva contro la criminalità organizzata in difesa dei cittadini.

Le donne cui veniva conferito un merito erano quelle che aderivano a quest’ultima cultura. Figlie, mogli, sorelle, parenti, fimmine che tradivano la famiglia d’origine, rompevano il velo d’omertà, venivano uccise per vendette trasversali, pagavano con la vita la scelta di “parlare” quando volevano salvare mariti e figli che la mafia voleva ammazzare o aveva già ammazzato. Perciò di donne in quel contesto si parla sempre e solo come appendici di uomini che sbagliavano o eroi di frontiera, o testimoni e figlie putative di giudici integerrimi che senza dubbio hanno rappresentato un fattore culturale differente, un riferimento altro possibile rispetto a quella immobile mentalità. Le altre erano mafiose, complici, colluse, o di qua o di là, non c’era molta alternativa, a meno che non guardavi tutto con disincanto sapendo che in qualunque luogo ci sono persone degne e indegne, integerrimi e corruttibili, che è tutta una questione di buon senso e umanità, che la disillusione deve riguardare la gente comune così come le divise, perché Peppino Impastato fu ucciso due volte, dalla mafia e da chi poi ha sviato le indagini per coprire un boss.

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