di Marco Reggio
Il “Fertility Day” sembra essersene andato con la rapidità con cui è venuto. Una meteora, forse un’eiaculazione precoce, forse un aborto. In ogni caso, non è rassicurante pensare che sia stato concepito dal governo in carica, che, evidentemente, incassa il consenso “pink” ottenuto con la legge al ribasso sulle unioni civili e lo spende in una campagna che fa impallidire quelle di Benito Mussolini. “La bellezza non ha età. La fertilità sì”; “Datti una mossa, non aspettare la cicogna”; “La fertilità è un bene comune”; “Genitori giovani. Il modo migliore per essere creativi”. Questi alcuni degli slogan che invitano, in buona sostanza, a fare figli per la patria, come dice esplicitamente – le immagini valgono più di mille parole – la grafica della cartolina “La costituzione tutela la procreazione cosciente e responsabile”: un paio di scarpine avvolte in un nastro tricolore (la costituzione antifascista funge, acrobaticamente, da legante fra le soggettività, il senso di comunità-cittadinanza e uno Stato in perenne fascistizzazione). E non si tratta di un errore di comunicazione, purtroppo. I maldestri tentativi di rendere in forma pubblicitaria l’idea che sta dietro al Fertility Day rendono solo più evidente la logica ministeriale, che è quella della pressione alla maternità irresponsabile. La fertilità e la maternità diventano appunto un bene comune: l’utero è mio, ma è la Patria a dirmi come gestirlo.