Sullo scontro tra abolizioniste, incluse le cis, bianche, ricche, che pensano di sapere qual è la soluzione migliore per le sex workers, e Amnesty International con la sua proposta di decriminalizzazione del sex work, soprattutto in quei paesi che vedono le sex workers a subire la repressione delle polizie. Il pezzo, commento di una sex worker, del The Guardian è QUI. Traduzione di G.
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di Molly Smith
Su Amnesty International si è riversata una cortina di pessima pubblicità. C’è anche una lettera firmata da alcune celebrità hollywoodiane, tra cui Lena Dunham e Meryl Streep. L’accusa ignominiosa è quella di aver parlato proprio con le persone che vendono sesso, aver ascoltato cosa noi avevamo da dire e, a conti fatti, aver dato forma a un bozza di documento sul sex work (QUI in italiano ndb) che non riflette altro che l’evidenza. Difficile credere che queste star abbiano davvero letto il documento in questione prima di invitare prepotentemente Amnesty a rigettarlo, se non altro perché i termini del dibattito non hanno sfiorato nemmeno uno dei punti denunciati da Amnesty come abusi sui diritti umani.

Il documento-bozza di Amnesty si scontra col modello svedese, che è il quadro legale adottato in vari paesi e descritto come progressista – femminista, addirittura. Ma la realtà è un’altra: criminalizzare chi paga per i nostri servizi non fa che lasciare le sex workers con meno clienti, portandole quindi ad accettare anche quelli che altrimenti si sarebbero sentite di rifiutare: quelli che sembrano ubriachi, aggressivi o notoriamente violenti.
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