da Carmilla (Via Incroci De-Generi)

Da noi il viaggio di migrazione si chiama tahrib e il sentimento del viaggio si chiama buufis. Ho sempre trovato la parola buufis una parola allo stesso tempo inquietante e bellissima. Nella lingua corrente buufis significa gonfiare. Si gonfia una ruota, un palloncino. Ma si gonfia anche la speranza. Ed è questo significato della parola che si è imposto in questo triste ventennio di guerra civile somala.Buufis, mi ha detto una volta un ragazzo richiedente asilo, è come l’amore, è qualcosa di inspiegabile, ti prende alle viscere e tu non sai bene perché. E’ la voglia, mi ha detto, che hai di cambiare vita, di migliorare la tua situazione. Ilbuufis ti fa scappare da guerre, dittature, da torture, da stupri. Ma il buufis l’ho visto anche in Italia, nei giovani che vanno in Germania o Inghilterra in cerca di lavoro, per cambiare situazione di vita.
Igiaba Scego, Rino Bianchi, Roma negata. Percorsi postcoloniali nella città, Ediesse, p. 44
Il buufis, ossia la voglia di viaggiare intesa come diritto alla mobilità e insieme alla conoscenza, attraversa e muove i percorsi postcoloniali di Igiaba Scego e Rino Bianchi in una Roma negataripercorsa in un alcune tappe fondamentali scandite non solo da monumenti, strade, piazze, ma anche dai volti fotografati dall’obiettivo di Rino Bianchi. Un processo, dunque, di attraversamento e di riappropriazione dello spazio urbano, volto a decolonizzare lo sguardo e risignificare gli spazi, rivendicando una storia comune.
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