Mi hai chiesto come ho vissuto la sessualità e il rapporto con il mio corpo. Sono cresciuta a sud, dove i bambini di sette/otto anni ti correvano dietro per toccarti le tette. Ogni toccata di minna corrispondeva a una scommessa vinta. Il mio corpo era solo un fortino da espugnare. A scuola un ragazzo mi toccò il culo ed era una strizzata dispettosa che mi procurò solo molto fastidio. Odiavo quell’invadenza, l’idea che il mio corpo fosse considerato solo un mezzo per fare sentire più macho e virile un ragazzetto che aveva tutto da dimostrare agli altri. C’era una cultura che lo spingeva a essere un palpatore, un molestatore e io, di quella cultura, ero solo l’oggetto. Man mano che crescevo ho capito che avrei dovuto fissare dei paletti, ma non per dichiararmi indisponibile al sesso. Solo per recuperare il diritto di scelta su quando, come e dove volevo essere toccata.
Da grande mi resi conto che i bambini del tempo che fu, in fondo, non erano mai cresciuti, sicché incontravo ragazzi e poi uomini che allo stesso modo pensavano che il mio corpo fosse a loro disposizione. Del mio diritto al piacere non se ne parlava. Appagavano un loro bisogno. La mia volontà non era importante. Il mio consenso era superfluo, ovvero c’erano quelli che trovavano modi per sfotterlo o aggirarlo.
Per esempio: se mi mostravo infastidita, un commento abbastanza usuale era quello che mi tacciava di frigidità o di legnitudine. Perché per dimostrare di non essere frigida dovevi accettare per forza anche la palpata di uno che non ti piaceva. E se quella palpata non ti piaceva, ovviamente, non potevi che essere frigida. Come se tu fossi lì soltanto ad aspettare quel tocco o quella attenzione non richiesta. Come se non facessi altro che vivere in attesa di quel momento fatidico. E di questo fatto, ben inteso, io non do neppure la colpa a questi uomini, perché sono stati cresciuti in modo sbagliato, sono intrisi di una cultura sbagliata, educati da madri e padri, o da altre persone di riferimento, che non hanno fatto altro che normare ogni loro abitudine, sogghignando di fronte alle loro “bravate” machiste, senza mai fargli dono di una osservazione più intelligente. Le donne non sono oggetti ma hanno diritto di scegliere e dunque se non hai il loro consenso non puoi toccare. Lo stesso vale per me nei loro confronti, solo che io, per cultura, non mi sono mai permessa di molestare qualcuno. I corpi degli uomini sono vissuti in modo diverso. Attorno a loro viene costruito un recinto fatto di autorevolezza e rispettabilità. Le donne che vengono rispettate, in alcuni contesti, sono ancora quelle “sposate”, le “figlie”, che appartengono a qualcuno.
Ricordo che il ragazzo che a scuola mi toccò il culo subì un rimprovero perché io ero figlia di mio padre. Se fossi stata figlia di uno sconosciuto, invece che dello stimato uomo che mio padre era, non so se mi sarebbe stata dedicata la stessa attenzione. E in ogni caso la mia lamentela, il fatto che io denunciassi all’insegnante di aver subito un esproprio, venne recepito con fastidio, quasi che fosse un capriccio, un modo per mettermi in rilievo ponendo un povero ragazzetto in cattiva luce.
Dicevo della maniera di aggirare il mio consenso da parte degli uomini adulti. Oltre a darti della frigida se non ci stai ci sono quelli che pretendono che gliela dai perché ti hanno offerto una cena, dunque, se ti hanno comprata, perché mai dovresti dire di no? Premetto che non ho nulla contro le prostitute, perché fanno il loro mestiere e le stimo molto per le loro lotte, ma se io volessi fare sesso a pagamento direi che una cena è un po’ poco. Se mi devi pagare considera che non sono in saldo e se invece voglio fare sesso per il mio piacere allora, cena o non cena, se non mi va, se non mi piaci, se non ne ho voglia, tu devi accettare la mia scelta.
Ecco, io sono cresciuta con una gran voglia di fare sesso per il mio piacere sentendo offesa la mia sessualità da parte di chi del mio piacere se ne fregava. E anche quando ho trovato uomini animati dalla volontà di realizzare performance gradevoli, alla fine vedevo che lo sforzo di generosità, quei due minuti di cunnilingus, la leccatina ai capezzoli, due secondi di preliminari, erano finalizzati solo a rendermi ricettiva alla penetrazione. C’era fretta, dovevano concludere, finire, venire, eiaculare e poi andare.
Sicuramente sono stata sfortunata e non ho beccato quelli giusti, ma quando ne ho trovati alcuni, di quelli che non dovevo liquidare per stanchezza facendo un pompino della buonanotte, di modo che non mi stressassero con altre richieste, quando ho trovato uomini sinceramente appassionati e che desideravano proprio me e non una qualunque, sono stata felice. Eccitata e felice. Qualche volta è successo, soprattutto con uomini più giovani di me, quando ho cominciato a frequentare trentenni a quarantanni o ventenni a trenta. Ecco, le nuove generazioni lasciano ben sperare e si vede che fanno riferimento ad una cultura diversa, che sono stati educati, anche dalle loro partner, ad una sessualità reciproca e consapevole, e so per certo che se non danno piacere non provano piacere.
Come vivo oggi il rapporto con il sesso e il mio corpo? Meglio. Ho recuperato ironia, sensualità, legittimità del desiderio e mi sento soggetto, finalmente, ma quanto tempo c’è voluto e quanti litri di sperma ho dovuto ingoiare, sputare o vedere depositato sul mio corpo, prima di arrivare a questo punto. Perché sono convinta che non bisogna smettere di cercare quello che si vuole. Finché lo si vuole. Però forse sarebbe molto più semplice se a scuola, per esempio, si parlasse, finalmente, di educazione sessuale. In ogni caso, mi chiedo: come sarà stato per le nostre mamme e nonne che si sono dovute fermare a un solo uomo?