30 anni dopo…
Leggo distratta il suo nome su Facebook, un amico e’ diventato suo amico.
Eppure, mi dice qualcosa, forse lo conosco, stessa citta’ natale, stessi amici…
Ritorno al mio quotidiano, e all’improvviso mi ricordo.
Eravamo stati insieme meno di un mese, poche settimane di cui una passata a Londra. Cosa avrei dato per andarci anche io, per me neo 15enne naïf e romantica Londra era un mito…
Il resto del tempo era stato solo un incalzare di richieste di 18enne assetato di sesso che non avevano trovato seguito. Non ero pronta, totalmente inesperta e totalmente inibita. Era fin troppo evidente che non volevamo le stesse cose. Mi aveva quindi scaricato senza problemi ma senza lasciare tracce.
La storia sembrava serenamente finita li’. E invece, un mese dopo ci incontriamo in radio. Lui mi chiede se posso aiutarlo a cercare dei dischi nell’archivio. Lo seguo, da adolescente felice che pensa a un ritorno di fiamma.
Mi si butta addosso senza troppi preamboli, mi strappa la camicia, il reggiseno. Svicolo, mi stringe il collo, mi chiude in un angolo. Dietro di me c’e’ un vecchio filo elettrico piatto inchiodato alla parete. Toccando i chiodi con la pelle sudata si prende una leggera scarica. Leggera ma dolorosa. Ogni volta che mi si butta addosso la sento. Cerco di non farglielo capire, e cerco di spostarmi. Mi allunga su un tavolo, e cerca di salirmi sopra e di sbottonarmi i jeans. Sono esausta ma non cedo.
Urla, le mie.
Omerta’, i suoi amici. La vigliaccheria di quello che capisce benissimo cosa stia succedendo negli archivi della radio della parrocchia dei tal dei tali, ma preferisce mettere un casco a tutto volume sulle orecchie di padre Giovanni per non fargli sentire le mie grida piuttosto che venire ad aiutarmi.
Altro che cavalieri e principesse…
Ma io non sono una dolce pulzella esile, e non porto mai la gonna. Mi difendo ancora come posso.
I miei jeans diventano zuppi e collosi di sudore e si trasformano in una corazza.
Minacce, preghiere, suppliche non servono a niente, ma finalmente qualcuno entra di colpo nella stanza, una folata di vento che ricompone tutti i pezzi della scena e lui se la svigna colpevole e infuriato.
Ora e’ li’ sul mio schermo.
Dalla foto sorride al sole, il tempo e’ passato anche per lui ma è ben riconoscibile.
Basterebbe un clic per ricontattarlo e provare a chiudere il cerchio, chiedergli perché, perché io, perché quel giorno li’, cosa scatta nella mente umana per trasformare una persona in una bestia… Ma in realtà mi piacerebbe solo dargli un calcio nelle palle e dirgli “Ti ricordi ? Era il giorno di S Anna del 1980”
Avrei dovuto denunciarlo, ma erano i tempi in cui la violenza sulle donne si misurava in centimetri, e perchè, in fondo, immaginavo il giudice dire « … il fatto non sussiste ».
Aveva creato attorno a me un’incredibile aura di ninfomane, (io ?!?) ma questo lo avrei scoperto anni dopo, e mi chiedo perché, sbuffonate tra amici o preparazione di un alibi se la cosa si fosse risaputa…
C’era anche lui nel mio passato, ma lo avevo rimosso.
Dopo aver scritto questo post, e’ lui che ha rimosso me, oscurandomi su Facebook rendendosi invisibile.
Si e’ nascosto.
Il mio calcio nelle palle, sebbene virtuale, gli e’ arrivato.