Appunti per la mia autobiografia

Negli anni ’90, come già scritto lavoravo a ritmi inverosimili. Non avevo tempo di pensare a me. Mangiavo male, ingrassavo o dimagrivo e i miei disturbi alimentari si acuivano. Ma se stai combattendo contro la mafia tutto questo va messo in secondo piano. Quando avevo una settimana di pausa mi richiudevo in me stessa, spegnevo il telefono (non c’erano ancora i cellulari e internet aveva appena bussato alle nostre porte) e passavo il tempo a scrivere di altre cose. Poesie, racconti, rimuginavo su come scrivere un romanzo, non che ne avessi le capacità. Ma la scrittura teneva insieme i neuroni traumatizzati che si infrangevano come onde contro lo scoglio della precarietà, dover campare, guadagnarmi il pane, cercare di andare avanti e vivere un nuovo matrimonio, con le mie idee. Poche disavventure sessuali, poca intimità, molte domande senza risposta e continuavo a non avere prospettive per il futuro. Dipendevo sempre da un padre, poi da un marito, poi da un datore di lavoro o dall’altro. Tutti uomini. Tutti inclini a seguire percorsi soggettivi senza dare molto spazio alle donne.
Continua a leggere “Cronache postpsichiatriche: informazione indipendente e il G8 di Genova”