
Condivido un articolo segnalato e tradotto da Alex, pubblicato pubblicato l’11 gennaio 2015. QUI il pezzo in lingua originale. Buona lettura!
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Di Chris Hedges
L’attacco terroristico in Francia, avvenuto nella sede del giornale satirico Charlie Hebdo, non riguarda la libertà di espressione né il fondamentalismo islamico. Non rappresenta lo scontro fittizio tra civiltà. E’ invece foriero di un’emergente distopia, dove i miserabili della terra, privati dei mezzi per sopravvivere e della speranza, brutalmente controllati, sminuiti e ridicolizzati dai privilegiati, che vivono nello splendore e nell’indolenza dell’Occidente industrializzato, attaccano con furia distruttiva.
Siamo noi ad aver progettato la rabbia degli espropriati. Il male rapace dell’impero e del capitalismo globale ha x generato il male del terrorismo. E invece di comprendere le radici di quella rabbia, nel tentativo di alleviarla, abbiamo costruito sofisticati sistemi di sicurezza e sorveglianza, approvato leggi che consentono mirati assassinii e torture a danno dei deboli, ammassato moderni eserciti e macchine dell’industria della guerra per dominare il mondo con la forza. Questo non riguarda la giustizia. Non ha nulla a che fare con la guerra al terrore. Non riguarda la libertà, la democrazia o la libertà d’espressione. Riguarda invece la pazza corsa alla sopravvivenza dei privilegiati a spese dei poveri. E questo i poveri lo sanno.
Se trascorreste un po’ di tempo, come io ho fatto, in Gaza, Iraq, Yemen, Algeria, Egitto e Sudan, così come nelle deprimenti e segregate banlieues, progetti edilizi che circondano città francesi come Parigi e Lione, nei quali poveri immigrati nordafricani sono costretti, allora iniziereste a capire i fratelli Cherif Kouachi e Said Kouachi, uccisi venerdì in uno scontro a fuoco con la polizia francese. C’è pochissimo lavoro in queste sacche di squallore. Il razzismo è manifesto. La disperazione dilaga, specialmente tra gli uomini che sentono di non avere uno scopo. Le molestie agli immigrati, solitamente commesse dalla polizia durante i controlli di verifica dell’identità, sono quasi costanti. In un caso la polizia ha spinto un immigrato nordafricano, senza nessuna ragione apparente, giù da un vagone della metro parigina su cui viaggiava, per poi picchiarlo senza pietà sul binario. I musulmani francesi compongono tra il 60 e il 70 per cento della popolazione nelle carceri francesi. Come le sirene, droghe e alcol appaiono invitanti, per ridurre il dolore delle comunità musulmane povere.
I cinque milioni di nordafricani in Francia non sono considerati “francesi” dai francesi. E quando tornano ad Algeri, Tangeri o Tunisi, dove forse sono nati e brevemente hanno vissuto, vengono trattati come alieni reietti. Imprigionati tra due mondi, vagano senza meta, come hanno fatto i due fratelli, perdendosi in droga e microcriminalità.
Diventare un guerriero santo, un jihadista, un rappresentante di un ideale puro e assoluto è una conversione inebriante. E’ comune a un jihadista come lo fu per i membri delle Brigate Rosse o per i vecchi partiti fascisti e comunisti. Coloro che si convertono a qualunque ideale assoluto che promette di dare inizio a un’utopia, adottano una visione manichea della storia, colma di bizzarre teorie di cospirazione. Le forze di opposizione, perfino quelle innocue, sono caratterizzate da una celata malevolenza. I convertiti credono di vivere in un universo binario diviso tra bene e male, il puro e l’impuro. E come campioni dei buoni e dei puri, santificano il loro vittimismo e demonizzano i miscredenti. Credono di essere i prescelti per cambiare la storia. Abbracciano così una violenza ipermachista, vista come agente purificatore dai contaminati del mondo, incluse quelle persone che appartengono ad altri sistemi di credenze, razze e culture. Queste sono le ragioni per cui l’estrema destra francese che ruota intorno a Marine Le Pen, la leader del Fronte Nazionale Anti-Immigrati, ha tanto in comune con i jihadisti che Le Pen dice di voler annientare.
Quando affondi nella disperazione, quando vivi intrappolato a Gaza, la vasta prigione a cielo aperto di Israele, dormendo in 10 su un pavimento in un tugurio di cemento, camminando ogni giorno nelle strade infangate del tuo campo rifugiati per procurarti una bottiglia d’acqua, perché quella che scorre dal tuo rubinetto è tossica, mettendoti in fila presso un ufficio dell’ONU per ottenere un poco di cibo perché non c’è lavoro e la tua famiglia ha fame, subendo i periodici bombardamenti aerei di Israele che lasciano centinaia di morti, la tua religione è tutto ciò che ti rimane. La preghiera musulmana, celebrata cinque volte al giorno, è l’unica cosa che dà un senso di struttura e di significato, e , soprattutto, di autostima. E quando i privilegiati del mondo deridono l’unica cosa che ti dà dignità, reagisci con una furia incoerente. E quando tu e quasi tutti quelli che ti circondano si sentono impotenti nel reagire, questa furia è esasperata.
I fumetti del profeta del settimanale satirico parigino, Charlie Hebdo, sono offensivi e infantili. Nessuno di essi è divertente, ed espongono la grottesca doppia morale adottata quando si parla di musulmani. In Francia un negazionista dell’Olocausto o qualcuno che neghi l’esistenza del genocidio Armeno, può essere imprigionato per un anno e obbligato a pagare una multa di € 50’800. In Francia è un reato deridere l’Olocausto nel modo in cui Charlie Hebdo ha deriso l’Islam. Ai liceali francesi deve essere insegnato delle persecuzioni degli ebrei perpetrate dai nazisti, ma questi stessi studenti non leggono quasi niente nei loro libri di testo circa le diffuse atrocità francesi, incluso il bilancio delle vittime tra gli algerini, che alcune fonti fissano a più di un milione, durante la Guerra di Indipendenza Algerina contro la Francia coloniale. Le leggi francesi proibiscono di indossare pubblicamente il burqa, un abito coprente femminile che include una maglia che copre il viso, così come il niqab, un velo che ha una piccola apertura per gli occhi. Le donne che li indossano in pubblico posso essere arrestate, multate per un’equivalente di €170 e obbligate a prestare servizio alla comunità. La scorsa estate la Francia vietò le manifestazioni a supporto dei palestinesi, mentre Israele conduceva bombardamenti giornalieri che hanno causato la morte di centinaia di civili. Il messaggio diretto ai musulmani è chiaro: le vostre tradizioni, la vostra storia e sofferenza non importano. La vostra versione non sarà ascoltata. Joe Sacco ha avuto il coraggio di mostrare questo messaggio nelle tavole che ha disegnato per la testata The Guardian. E come Sacco ha osservato, se non siamo in grado di ascoltare, continueremo, all’infinito, a barattare terrorismo di stato con altro terrorismo.
“E’ una triste situazione quando per Libertà si intende quella di insultare, avvilire e deridere le idee più sacre delle persone”, mi scrisse lo studioso islamista Hamza Yusuf, americano, che vive in California. “In alcuni paesi latini le persone vengono assolte da accuse di omicidio, se la madre dell’imputato è stata calunniata dall’assassinato. L’ho visto in Spagna molti anni fa. Non è una giustificazione per un omicidio, ma spiega le cose in termini di onore, che non ha più significato nell’occidente. L’Irlanda è un paese occidentale che in parte mantiene ancora questo concetto, si parla delle leggi irlandesi sul duello che furono usate nel Kentucky, l’ultimo stato dell’unione a renderlo illegale. Una volta, nell’Occidente, il duello era molto importante, quando l’onore aveva un significato profondo nell’animo degli uomini. Ora non ci è permesso di sentirci offesi da nulla, se non per insulti razzisti, che per una persona profondamente religiosa hanno meno significato rispetto ad un attacco alla propria fede. I paesi musulmani sono ancora governati , come ben sapete, da codici di vergogna e onore. La religione è una cosa grossa. Ero amareggiato dai tweet e dai manifesti con su scritto “Je suis Charlie”, perché se di certo non ho compassione per quei folli fanatici [gli uomini armati che hanno invaso la redazione], non provo solidarietà per i derisori.”
Charlie Hebdo, nonostante il fatto che insista nel dire che ha sempre satireggiato su chiunque e su qualunque religione, ha licenziato una artista e scrittore nel 2008 per un articolo giudicato antisemita.
Poco dopo gli attacchi dell’11 settembre, mentre vivevo a Parigi e lavoravo come inviato per il New York Times, andai a La Cité des 4.000, un grigio progetto edile dove gli immigrati nordafricani vivevano in appartamenti con finestre murate. Le scale erano piene di rifiuti. Gli slogan disegnati nelle pareti con lo spray denunciavano il governo francese e lo definivano fascista. Membri delle tre maggiori bande vendevano cocaina e hashish nei parcheggi tra le carcasse di diverse automobili carbonizzate. Alcuni giovani uomini mi lanciarono pietre. Ripetevano “Fanculo gli Stati Uniti! Fanculo gli Stati Uniti! Fanculo gli Stati Uniti!” e “Osama Bin Laden! Osama Bin Laden! Osama Bin Laden!”. Vicino la porta di un’anziana signora ebrea qualcuno aveva verniciato la scritta “Morte agli ebrei.”, che lei poi ricoprì con vernice bianca.
Nelle banlieues Osama Bin Laden era un eroe. Quando la notizia dell’attacco dell’11/09 raggiunse La Cité des 4000- cosi chiamata perché al tempo della sua costruzione contava 4000 appartamenti residenziali pubblici- giovani uomini si riversarono fuori dai loro appartamenti per esultare e cantare in arabo “Dio è grande!”. In Francia si era disputata, un paio di settimane prima, la prima partita di calcio tra una squadra francese e algerina dalla Guerra di Indipendenza Algerina terminata nel 1962. I nordafricani gridarono e fischiarono durante l’inno nazionale francese. Ripetevano: “Bin Laden! Bin Laden! Bin Laden!”. Due ministri francesi, entrambe donne, furono bersagliate di bottiglie. Mentre la squadra francese si avvicinava alla vittoria i fan algerini, per fermare il gioco, invasero il campo.
“Vuoi che piangiamo gli americani quando bombardano e uccidono palestinesi e iracheni ogni giorno?” mi disse Mohaam Abak durante la mia visita a La Cité des 4000 nel 2001, seduto con due amici su una panchina. “Vogliamo più morti americani, così che possano incominciare a capire come ci si sente.”
“L’America ha dichiarato guerra ai musulmani molto tempo fa.” Disse Laala Teula, un immigrato algerino che lavorò per molti anni come meccanico delle ferrovie. “Questa è solo la reazione.”
E’ pericoloso ignorare questa rabbia. Ma è ancora più pericoloso rifiutare di esaminare e comprendere le sue origini. Non è nata dal Corano o dall’Islam. Deriva dalla disperazione di massa, da evidenti condizioni di povertà insieme alla violenza dell’impero occidentale, allo sfruttamento capitalista e all’arroganza. Mentre le risorse del mondo si riducono, soprattutto con le conseguenze del cambiamento climatico, il messaggio che inviamo agli sfortunati della terra è chiaro e inequivocabile: Noi abbiamo tutto e se tenterete di sottrarci qualcosa, noi vi uccideremo. Il messaggio che gli espropriati rimandano è altrettanto chiaro e inequivocabile. E’ stato consegnato a Parigi.
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