Personale/Politico, Precarietà, R-Esistenze

Famiglia accentratrice

Qualcun@ sotto all’altro post ha parlato di famiglie che dovrebbero perseguire l’indipendenza e la felicità dei figli, se interpreto bene. Non la mia, no.

Quello che in casa mia era pressocché noto a tutti era il fatto che veniva esercitata in primo luogo una violenza economica (mio padre teneva lo stipendio e dava paghette minime alla mamma perché lei facesse tutto, pagamento bollette incluso). Poi c’era la violenza psicologica: tu non ottieni e non fai perché non vuoi. Mio padre lo recitava come un mantra: volere è potere. Chissà chi glielo aveva detto. Se fallivi erano cazzi tuoi. Ma l’incoraggiamento era una meteora e il controllo una costante. Potere e controllo, accentramento e dipendenza: questi i capisaldi della vita familiare. Qualunque cosa ti servisse dovevi pietire al padre, salvo vederlo sperperare soldi per acquisti mai concordati neanche con mia madre. Voleva essere qualcuno, un ricco possidente, ma era solo un piccolo borghese che non comprò la lavatrice a mia madre fintanto che non la pagò mia sorella, con lo stipendio che riceveva come supplente. Fino ad allora mia madre lavava i panni con acqua gelata, mancava poco che cercasse un fiume nei dintorni.

Quando la mia maestra obbligò mio padre a portarmi dall’oculista avevo già tre gradi e mezzo di miopia andati, persi. Si giustificò dicendo che i bambini mentono. Eppure ci terrorizzava anche quando facevamo i compiti perché aveva il vizio di usare lampade a minimo voltaggio, quasi buio. Si vedeva meglio con le candele. La malattia di mia sorella era colpa sua, i miei mali colpa mia, i mali di mia madre colpa di mia madre. Poi arrivava il momento di celebrare feste con parenti e lui fingeva di essere un bonario capo famiglia che tagliava il pane e lasciava a sua moglie la gestione di tutto il resto.

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Posseduta da un diavolo laico

Mio padre soffriva di paranoia, ansia, cambiamenti d’umore repentini e attacchi di una violenza incontrollata che ho sperimentato sulla mia pelle. Suscitava terrore sentirlo tornare a casa e poi non gioiva ad essere contraddetto. Lui era l’autorità massima, il patriarca, senza dimestichezza reale col ruolo, con una schizofrenia di base che lo lasciava a mugolare quando non trovava il pranzo in tavola e a urlare e lanciare oggetti quando la famiglia dimostrava coi respiri la propria esistenza. Mia madre gli dava quella che si chiamava Valeriana, una sostanza vegetale per calmarlo, salvo poi giustificarlo per qualunque azione aggressiva e sessista contro i figli.

La prima femmina di casa era malata, non donna fatta e finita, senza aver avuto accesso al menarca per la sua anemia. L’unica figlia che visse il passaggio dall’infanzia all’adolescenza fui io, non senza traumi e ritorsioni. Quella femminilità sbocciata doveva subire mortificazioni, affinché fosse assoggettata al volere paterno. Se nell’infanzia tentavo di compiacere come potevo quel padre padrone, ascoltando mia madre che mi attribuiva ogni colpa per i suoi, di lui, scatti d’ira, nell’adolescenza mi ritrovai a tracciare un percorso nuovo. Ero la prima, in assoluto. Mia sorella era sempre stata in ospedale o a medicarsi e a studiare. Per mio padre non era neppure una donna. Era la malata, la croce nefasta di cui portare il peso. Poi c’ero io, apparentemente sana, tristemente introspettiva, dedita a letture e scrittura, in cerca di angoli di pace che mi salvassero dalle urla paterne e dalle moine educative materne.

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Cronache Postpsichiatriche: la base sicura

Ancora per la mia autobiografia.

Quando avevo quattro anni il mio ricordo si fissa sul momento in cui nei pressi della mia casa paterna atterrò un elicottero che porto via i miei genitori e mia sorella per condurli verso un grande ospedale della capitale. Da quel momento io fui affidata a parenti di cui vorrei dimenticare tutto. Avevano grandi problemi in famiglia e in ogni caso trattarono me come se fossi ovviamente di troppo. Mi sentii abbandonata per tanto tempo e fino ai miei 8 anni ricordo solo mia nonna materna che mi accompagnava a scuola e mi veniva a riprendere. A parte questo riferimento ricordo ben poche attenzioni nei miei confronti. 

Quando i miei tornarono tutto era già cambiato. La vita ruotava attorno alle cure di cui mia sorella aveva bisogno. Ricordo che nel momento in cui a lei toccava la puntura io scoprivo il mio gluteo per meritarmi almeno lo stesso trattamento. Quello che ci si aspettava da me invece era che io fossi cresciuta di colpo e che assumessi un ruolo di cura nei confronti di tutta la mia famiglia. Fin da piccola avevo l’obbligo di occuparmi della casa, di lavare i piatti, spolverare, battere forte sui materassi di lana del letto matrimoniale di mia madre, pensare a pulire e lavare le scale, lavare e passare la maledetta cera sui pavimenti. Dovevo fare i compiti ma non c’era spazio per i giochi. Quando scendevo in strada a giocare con i miei coetanei mi richiamavano sempre prima che arrivasse in casa mio padre perché era importante che lui vedesse quanto io mi dessi da fare per aiutare la mamma che era tanto impegnata già nella cura di mia sorella. Nel tempo pensai che per salire di grado nella considerazione che la mia famiglia poteva avere di me avrei dovuto anche io occuparmi di mia sorella. Così imparai a darle una mano anche se per lei che viveva un momento difficilissimo per se stessa io spesso ero solo un fastidio. 

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Storia di F. (della bellezza e della voglia di sparire)

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Lei è una che potrebbe somigliare a tante tra voi. Vuole raccontare la sua esperienza e fornirci un importante spunto di discussione. Le sono, le siamo vicin*. Grazie a lei e buona lettura a voi!

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Ciao,
sono una ragazza di 28 anni. Sono una donna di quelle che si fa fatica a pensare possano avere problemi (ho un compagno meraviglioso, viviamo in una bella casa, sono giovane e di bell’aspetto) e ancor di più si fa fatica ad associare all’insulso stereotipo della femminista.
Sono una bella ragazza, dopo la laurea ho attraversato un periodo di disoccupazione molto pesante, che ha avuto effetti disastrosi sul mio equilibrio già fragile per altri motivi che qui sotto spiegherò.

Ho trovato un lavoro saltuario, sono una hostess…lavoro solo perchè sono bella, si suppone sia anche stupida e a lavoro molti ci provano con me (pur avendo 20-30 anni più di me e non ricevendo da me alcun invito al flirt) perchè associano il lavoro della hostess alla ragazza che è lì per compiacere in ogni modo (non so come scrivere questa parte, non vorrei sembrare moralista…sto cercando di parlare di un rapporto di potere tra manager e ragazza carina ma scema con cui si può fare tutto ciò che si vuole, tanto sta lì solo per compiacere..senza alcun giudizio in merito a lavori di altri tipi).

Ho dovuto mettere da parte il mio cervello e i miei ideali che non mi danno da mangiare e lasciare che a farmi arrivare a fine mese fosse solo il fatto che io sia giovane e bella. E poi? quando verranno le rughe? Quando mi si afflosceranno le tette?Dove vanno le fighe una volta che si appiattisce il culo e vengono le borse sotto agli occhi?

Vengo da una famiglia fortemente patriarcale, dalla quale sono scappata lontano cercando di mantenere il più possibile ogni tipo di distanza. Mia madre ha sempre pensato e detto di me che sono una tipa strana, che sono “legno storto” e non sono buona per il matrimonio, che ho la “lingua amara”, non sto mai zitta e pretendo che il mio uomo faccia cose “da donna” (cucinare, tipo). Mio padre ha sempre detto che sono inutilmente petulante e polemica, che parlo troppo per essere una figlia femmina, che anzichè andare all’università e riempirmi la testa di un sacco di baggianate sarebbe stato meglio (e più naturale) fare un corso da parrucchiera, restare nel mio paese natale, sposarmi giovane, fare dei figli e prendere casa vicino alla sua, così da accudirlo in vecchiaia.

La mia vena polemica è sempre stata motivo di forte disappunto da parte di mio padre, che ha sempre cercato di correggermi a suon di botte e cinghiate. Sono stata picchiata fino ai 18 anni, quando sono andata via di casa.

Appena andata via di casa, dopo solo sei mesi, ho sviluppato una sindrome da ansia generalizzata e problemi con l’alimentazione. A 20 anni sono arrivata a pesare 37kg e a restare immobile e terrorizzata sul letto per più di 3mesi per la paura di vomitare (emetofobia). Nessuno mi ha seguito, i miei hanno pensato bene di mandarmi da uno psichiatra che mi ha imbottita di psicofarmaci. Dopo un anno sono riuscita a farmi forza e dopo ancora un bel pò di tempo sono riuscita ad uscirne.

Dopo la laurea e la disoccupazione pesa, si è affacciato nella mia vita il fantasma del dover tornare a casa dai miei.
Ho ricominciato a non mangiare, ad aver paura di uscire, a pensare sempre e solo al vomito, ad essere fortemente depressa. Grazie al mio compagno sono ancora lontana dalla mia famiglia e vado in terapia, cerco di affrontare giorno per giorno il male che mi affligge.
Cos’è questo mostro che mi perseguita?

Dopo più di sei mesi di terapia posso finalmente dire che sì, da una parte è la situazione socio economica attuale, nella quale se hai due lauree non lavori se non perchè sei una bella figa (e da studentessa era più facile perchè a fare i lavoretti demmerda quando hai 24/25anni ti pigliano sempre), dall’altra è il non-amore della mia famiglia. L’astio che la mia famiglia ha nutrito nei miei confronti per non rispondere perfettamente all’idea che loro hanno della figlia femmina, le botte che ho preso perchè non stavo zitta di fronte ai soprusi, la costante disapprovazione per quello che dicevo, pensavo, facevo.

Il femminismo è stato per me la compagnia più dolce e rassicurante, mi ha dato strumenti utili a far fronte a tutti i momenti di incertezza, mi ha dato spunti di riflessione per trovare risposte alle domande che continuamente mi sono posta nella mia vita in merito alla mia “inadeguatezza”, è stato ed è una fortezza entro cui ritirarmi nei momenti peggiori.
A volte non basta avere intorno compagn* che ti aiutano a mantenerti salda attaccata alla tua fortezza, a volte i mostri entrano e devi combatterli. Ora sto combattendo ma mi sento forte perchè so che alle spalle ho tutto questo e che sono una donna forte e consapevole, che non può perdere.

So che ci sono molte donne (e penso ci siano anche molti uomini) in situazioni simili alla mia e per questo ho pensato di scrivere questa “testimonianza”: non sono sola, non siete sol*. Adelante!
F.

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