Contributi Critici, Critica femminista, Culture, R-Esistenze

Beatriz Preciado. Moltitudini queer- Note per una politica degli anormali

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Da Incroci De-Generi:

Traduzione di Dalila Ingrande dell’articolo Multitudes queer, notes pour une politique des “anormaux”, da http://multitudes.samizdat.net

Beatriz Preciado

Università di Paris VIII

Moltitudini queer: note per uma politica degli “anormali”

 Abstract: questo articolo tratta della formazione dei movimenti e delle teorie queer, della loro relazione con i femminismi e dell’utilizzo politico di Foucault e Deleuze. Esplora inoltre i vantaggi epistemologici e politici, per la teoria  e il movimento queer, dell’uso della nozione di “moltitudine” in relazione a quella di “differenza sessuale”. Differentemente da ciò che accade negli Stati Uniti, in Europa i movimenti queer si ispirano alle culture anarchiche e alle emergenti culture transgender per combattere l’”Impero Sessuale”, proponendo, come è noto, una deontologizzazione delle politiche delle identità. Non c’è più una base naturale (“donna”, “gay”, etc.) che possa legittimare l’azione politica. Quello che importa non è la “differenza sessuale” o la “differenza degli/ delle omosessuali”, ma  le moltitudini queer. Una moltitudine di corpi: corpi transgender, uomini senza peni, gounis garousciborg, donne butch, uomini lesbici, eccetera. La “moltitudine sessuale” appare, così, come il soggetto possibile della politica queer.

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Antiautoritarismo, Autodeterminazione, Critica femminista, R-Esistenze

Nel nome del padre di mia madre! (ma i figli sono utili al capitalismo)

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Leggo dal testo di una petizione, pubblicata sullo sfondo di vari simboli tricolore, lanciata dalla signora Natoli, da tempo impegnata su questo tema, e firmata in primo luogo da un tot di persone di varie formazioni politiche che vanno da SeL, Pd, al centro destra, inclusa la Mussolini, questo passaggio:

La registrazione anagrafica di un figlio avviene in concomitanza con la nascita e poiché il cognome sancisce la relazione di appartenenza a un’area familiare e questa è inizialmente configurabile ESCLUSIVAMENTE mediante la relazione psicofisica col genitore gravido che partorisce, chiediamo che PER PROSSIMITÀ NEONATALE il cognome di quel genitore sia il primo dei cognomi del figlio, senza che tale posizione possa incidere sulla futura libertà del figlio di scegliere quale dei suoi cognomi attribuire alla propria discendenza.

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Antiautoritarismo, Autodeterminazione, Contributi Critici, Critica femminista, R-Esistenze

Neofondamentalismo e dintorni parte II. Perché salvare la 194 non basta

Da Incroci De-Generi:

La legge? Lo so signora che c’è la legge, come no, la famosa 194, che ci protegge, è dalla legge che sto arrivando! Non le dico la trafila per trovare un medico che mi facesse il certificato d’aborto, la trafila per trovare un ospedale che mi mettesse in lista. Finalmente mi mandano a chiamare, vado dentro…obiettavano tutti, signora…obiettavano le infermiere, obiettavano quelli che scopano per terra, quelli delle analisi, come obiettava il cuoco! Ma che… ma che obiettore! Che se non ci fossero state quelle ragazze che hanno occupato il repartino saremmo crepate di fame. Poi è arrivata la polizia, sbatte fuori le ragazze e io mi sono spaventata, mi son detta: con questa legge va a finire che mio figlio mi nasce di 24 anni, mi nasce con già il militare fatto, bello che disoccupato, pronto per emigrare in Germania. E allora sono scappata e ho detto: lo faccio clandestino.

Alla fine degli anni ’70  una Franca Rame in forma smagliante nel monologo Tutta casa letto e chiesa denunciava  l’alto tasso di obiezione di coscienza che, all’indomani della promulgazione della legge 194/78, già rendeva l’applicazione della  stessa un percorso ad ostacoli per aggirare i quali in molte, tra coloro che potevano permetterselo, continuavano a pagare per abortire. Franca Rame portava così in scena una donna alle prese  con un compagno che la “strizzava dappertutto”, sempre  pronto, qualora lei si fosse mostrata recalcitrante ai piaceri di una penetrazione selvaggia, a rimproverarle i complessi delle pruderie dell’onore e del pudore inculcati da una educazione reazionaria, imperialista, capitalistico-massonico-austroungarico-cattolico-repressa, ma che, di fronte ad una gravidanza non prevista, risultava completamente sollevato  da qualsiasi preoccupazione.

In qualche modo,  Franca Rame sembrava recepire l’eco del dibattito animato da Carla Lonzi e dal gruppo di Rivolta femminile che, sin dagli inizi degli anni ’70, avevano manifestato una posizione critica di fronte all’aborto, ritenendolo una pura e semplice concessione del patriarcato, il quale, ben lungi dal mettere in discussione la sessualità tradizionale volta alla procreazione, la riconfermava in pieno scaricando poi sulle donne, e solo su di loro, l’onere di farsi carico di una gravidanza non desiderata e stabilendo i limiti entro i quali poterla interrompere. Ma ogni concessione, come è noto, può essere revocata non appena ragioni ritenute più importanti lo richiedano. Per questi motivi, diversi gruppi femministi osteggiarono la legge che legalizzava e regolamentava l’interruzione volontaria della gravidanza perché non chiedevano  una legge sull’aborto, ma rivendicavano la libertà di abortire e, prima ancora, l’affermazione di una sessualità libera,  non soggetta alle necessità di riproduzione della famiglia e dello Stato, espressioni del patriarcato.  Più o meno negli stessi anni, anche in America  il dibattito aperto dal caso Roe contro Wade aveva portato allo scoperto il conflitto tra scelta e legalizzazione dell’aborto. Grazie al movimento pro-choice era stata resa evidente la grande ipocrisia della retorica sulla legalizzazione, perché una reale libertà riproduttiva va ben oltre il semplice aborto legale e investe le condizioni di vita complessive – relazionali, affettive, ma anche materiali – in cui la donna si trova a vivere.

La legge 194/78 è, insieme allo Statuto dei lavoratori, uno dei risultati delle lotte che, tra gli anni ’60 e ’70, portarono ad importanti conquiste nel diritto del lavoro e di famiglia, ma,  ben lungi dall’avere una portata rivoluzionaria, ha semplicemente messo a tacere le istanze più sovversive e radicali del movimento femminista, perché ha rappresentato una mediazione di quel PCI che,  imboccata la strada della socialdemocrazia, era alle prese con i movimenti operai, studenteschi e femministi che contestavano le organizzazioni partitiche della sinistra istituzionale e sindacali, accusate di riformismo. Inoltre, il boicottaggio alla 194 è cominciato sin da subito, impegnando gran parte delle energie del femminismo italiano in una strenua difesa del rispetto della legge che dura da più di 40 anni. Ed oggi?

Il contesto storico che ha portato alla 194 è profondamente mutato ed il riformismo rimproverato allora alla sinistra istituzionale ha dato i suoi frutti, portando di fatto alla scomparsa della sinistra stessa a causa della sua capitolazione alle ragioni del capitale e al conseguente appiattimento sulle istanze liberiste della destra, che infine ha eliminato la fazione avversaria, fagocitandola. L’ondata neofondamentalista che attraversa oggi l’Europa e l’Italia accomuna la destra cattolica e reazionaria e quella che si ostina subdolamente a chiamarsi sinistra per comodità di schieramento, ma che nei fatti sostiene le stesse politiche neoliberiste e reazionarie, volte alla cancellazione dei progressi raggiunti un quarantennio fa, non solo in materia di diritto di famiglia, ma anche di diritto del lavoro. Ne è riprova il boicottaggio alla risoluzione Estrela portato avanti dagli europarlamentari renziani che, astenendosi dal votare, hanno così favorito le posizioni degli ultracattolici di destra e del movimento per la vita. Del resto, quella che ha  garantito l’esistenza di un cimitero dei feti è proprio la giunta di Renzi, l’acclamato neosegretario del PD che ora vuole somministrare come antidoto alla precarietà un job act già meritatosi  il plauso di Confindustria e della destra italiana.

A fronte di questo scenario inquietante, dove non esiste più nemmeno uno straccio residuale di dialettica destra/sinistra, limitarsi alla difesa della 194 non ha molto senso, anzi, è controproducente e rischia di avere come risultato l’adeguamento all’indirizzo antiabortista ed abolizionista europeo che altri paesi,  Spagna e Francia in testa, stanno gradualmente recependo nelle loro legislazioni. La stragrande maggioranza – ma per fortuna non la totalità – delle femministe italiane  sono state e continuano ad essere  impegnate – e distolte da altro, per esempio dalla politica economica – nella salvaguardia della 194 da circa quarant’anni: tenute a bada in una battaglia che, a ben vedere, è conservatrice nel senso letterale del termine, perché volta unicamente alla conservazione di una legge senza spostare avanti nemmeno di una virgola il discorso sulla libertà riproduttiva, che rimane confinato entro i limiti angusti della coppia e della famiglia eterosessuale, la cellula di cui necessitano lo Stato nazione e il capitale per riprodursi.

L’unica possibilità di arresto dell’onda neofondamentalista che, spazzata via la sinistra, rischia di travolgere l’Europa,  e noi con lei, non risiede nell’attestarsi su posizioni meramente difensive e di retroguardia, ma nella capacità di spezzare l’ordine del discorso dominante scavalcando i presupposti su cui questo si fonda. Dal momento che la legge sull’aborto è tarata su una sessualità  volta, per dirla con Carla Lonzi, al fine procreativo, più che chiedere la conservazione di uno strumento legislativo che riconferma la funzionalità della donna alla riproduzione sociale, è necessario rivendicare il diritto alla costruzione di una soggettività  che abbia le potenzialità relazionali, affettive e materiali per scegliere se, come e quando procreare e come disporre del proprio corpo, incluso quali parti mettere a valore, senza dover essere costretta a riprodurre l’ordine sociale funzionale a quello economico. Tali potenzialità si fondano tanto su una vita affettiva e sessuale libera dal dogma della procreazione come esclusiva della coppia eterosessuale,  quanto sulla disponibilità di  reddito. Occorre quindi superare una posizione di mera salvaguardia dell’aborto legale e riprendere il dibattito sulla più ampia libertà di scelta da dove è stato interrotto, o meglio strozzato, dal riformismo sinistrorso, connettendo le rivendicazioni attraverso cui  tale libertà può darsi e spingendole più avanti della sola difesa di una legge. Altrimenti, possiamo metterci l’anima in pace e cominciare sin d’ora ad abbassare i cartelloni con cui si chiede a mo’ di supplici di salvare la 194. L’onda lunga del neofondamentalismo, retaggio della santa inquisizione, non conosce pietà.

[di LaPantaFika]

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Neofondamentalismo e dintorni. L’ondata antiabortista e abolizionista in Europa.

cuerpo primera luchaDa Incroci De-Generi:

Questo mese di dicembre è stato segnato da due tappe importanti che interessano i  corpi e il diritto  all’autodeterminazione: il 4 dicembre in Francia, sulla scia dell’onda abolizionista che attraversa l’Europa, è stata  approvata una legge per la lotta alla prostituzione definita da Morgane Merteuil,  membra del sindacato francese delle sex workers, una svolta nazionalista e reazionaria. Il 10 dicembre l’Europarlamento non ha riconosciuto la risoluzione Estrela. Quest’ultima, pur non avendo valore cogente, avrebbe invitato gli stati membri a garantire l’aborto sicuro come diritto umano, mandando un forte segnale di risposta alla campagna dei movimenti prolife che negli ultimi mesi hanno raccolto  quasi due milioni di firme per una legge europea di iniziativa popolare che tuteli il diritto alla vita dei feti. Invece, a fronte delle pressioni dei gruppi di destra, clericali e reazionari, l’Europarlamento non ha retto e, grazie all’astensione di sei deputati del Pd, tutti renziani, è passata la mozione del PPE che ha snaturato la relazione Estrela, eliminando non solo il riconoscimento dell’aborto come diritto umano, ma anche le agevolazioni per l’inseminazione artificiale inizialmente proposte per le omosessuali.

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Antiautoritarismo, Autodeterminazione, Contributi Critici

Il sesso come lavoro ed il lavoro sessuale, di Laura Agustìn

institute-of-oral-loveDa Incroci De-Generi, traduzione di LaPantaFika:

Laura Agustìn è antropologa, autrice di  Sex at the margins – migration, labour markets and the rescue industry. Il suo lavoro  ha sollevato un acceso dibattito mettendo in discussione la narrazione dominante che vuole le sex workers migranti tutte indistintamente vittime di una cosiddetta tratta degli esseri umani, dunque soggetti passivi che spetterebbe alle istituzioni salvare. Agustìn, contestando e demisitificando il mito della tratta, ha così  analizzato quella che lei stessa ha definito the rescue industry, ovvero l’industria del salvataggio rappresentata da enti, organizzazioni, associazioni, ma anche singoli che traggono vantaggi e profitti proprio dalla missione salvifica di cui si sono auto-investiti, sovrapponendosi alle sex workers stesse e sovradeterminandole. Per approfondire il lavoro di Laura Agustìn, The Naked Anthropologist è il suo blog.

A seguire, la traduzione di un articolo pubblicato su Jacobin Magazine. Una variante di questo lavoro è stata pubblicata da The Commoner, n. 15, a cura di Silvia Federici

IL SESSO COME LAVORO ED IL LAVORO SESSUALE, di Laura Agustìn

Un colonnello dell’esercito sta per iniziare le istruzioni mattutine al suo staff. Mentre aspetta che gli venga preparato il caffè, il colonnello afferma di non aver dormito molto la notte precedente perchè sua moglie è stata un po’ irrequieta. Domanda ad ognuno: quanto del sesso è “lavoro” e quanto è “piacere”? Un maggiore vota 75-25%. Un capitano dice 50-50%. Un luogotenente risponde con un 25-75% a favore del piacere, sulla base di quanto ha dovuto bere. Non essendoci accordo, il colonnello si rivolge al soldato semplice incaricato di fare il caffè. Cosa pensa? senza esitare, il giovane soldato risponde: “Signore, deve essere il 100% di piacere”. Il colonnello meravigliato chiede perchè. “Be’, signore, se ci fosse stato del lavoro compreso,  gli ufficiali me l’avrebbero fatto fare”.

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Contributi Critici, Critica femminista, Recensioni

La vita come plusvalore di Melinda Cooper

cop-cooper-200x300Da Incroci De-Generi:

Melinda Cooper, La vita come plusvalore. Biotecnologie e capitale al tempo del neoliberismo. Ombre Corte, 2013, pp. 126, euro 15

Quando il capitalismo si scontra con i limiti della Terra e dunque con l’impossibilità di una crescita produttiva lineare illimitata, può l’intera vita biologica essere messa a valore?

Da questo interrogativo di fondo  si sviluppa Life as surplus  di Melinda Cooper  pubblicato nel 2008 dalla Washington University Press e uscito in Italia nel settembre 2013 per ombre corte, introduzione e  cura di Angela Balzano,  postfazione di Rosi Braidotti.

Melinda Cooper, ricercatrice presso il Dipartimento di Sociologia e Politica Sociale dell’università di Sidney, muove da un punto di partenza dichiaratamente marxiano e si spinge  in un campo poco esplorato da Marx, definito  delle scienze della vita in senso lato, individuando le fasi cruciali di passaggio dalla valorizzazione economica della vita umana che ha un inizio ed una fine, cioè bios, alla valorizzazione della vita in sé, zoe, intesa come capacità riproduttiva e potenza generativa comune a tutti gli esseri viventi.

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Antiautoritarismo, R-Esistenze

Controllo dei corpi, aborto illegale e sterilizzazioni forzate. Il caso del Perù

Da Incroci De-Generi di La PantaFika:

Apoyando la lucha de las mujeres andinas, las que me recibieron amables.

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Tutte le informazioni, documenti, materiali audio e video su forzadas.pe

Nei paesi in cui ci sono state lotte per l’accesso delle donne alla contraccezione e alla pianificazione delle nascite, il poter disporre più o meno liberamente del proprio corpo è in linea di massima ritenuto un diritto, costantemente in pericolo, ma comunque un diritto per qualche verso acquisito e, al limite, da difendere. Ma a fronte della sovrappopolazione, della povertà crescente e della finitezza delle risorse disponibili sul pianeta, in molti casi il controllo delle nascite è diventato un dovere, prima ancora che della persona, dello Stato, che riserva a se stesso il diritto di stabilire chi, come, quanto debba riprodursi. Così, in Perù, in un passato non troppo remoto, cioè dal 1995 al 2000, circa 300.000 donne e 20.000 uomini sono stati sottoposti a sterilizzazioni forzate, mentre l’aborto era, e continua ad essere, illegale e dunque proibito, eccezion fatta per i casi in cui sia riscontrato un pericolo per la salute o la vita della donna e per quelli in cui la stessa abbia i soldi per pagare l’intervento, clandestino, in una clinica privata. In Perù, dunque, il controllo biopolitico dei corpi è passato attraverso due dispositivi apparentemente in contraddizione tra loro, perché se da un lato abortire era – ed è – illegale, da un altro migliaia di donne e uomini sono stati privati forzatamente, e senza alcun consenso, del diritto di riprodursi.

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