Comunicazione, Culture, Recensioni

Gojira, il Kaijū della cultura giapponese post-atomica

Sicuramente saprete di Godzilla, come lo ha ribattezzato l’occidente, in una vera e propria appropriazione culturale. Godzilla e altri “mostri” combattuti alla maniera americana da Pacific Rim. Delle sue origini, che hanno creato un filone fantascientifico del tutto originale, potete trovare fonti autorevoli sul web. Quello che mi preme sottolineare è il fatto che il Giappone è stato sotto occupazione e censura americana per un po’ di anni dopo la guerra. La rabbia del popolo giapponese contro le bombe nucleari non potè essere espressa se non alla fine dell’occupazione con una creazione che nulla c’entra con il concentrato di umanità paternalista alla King Kong. Gojira era sì il frutto di mutazioni post atomiche ma anche espressione della rabbia cieca contro il mondo. Non si ergeva a paladino di cause umane e come la bomba atomica mieteva vittime le cui ferite sarebbero rimaste visibili fino alla morte.

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Autodeterminazione, R-Esistenze

Un gruppo anti-trans ha osato twittare in memoria di Lyra McKee: ecco la reazione del mondo Lgbtq+

La giornalista lesbica Lyra McKee a sostegno del gruppo GenderJam Northern Ireland

 

Oggi SWAI, Sex Workers Alliance Ireland scrive sulla sua pagina FB: Lyra McKee era una delle tante femministe dell’Isola d’Irlanda che capiva l’importanza dell’inclusione delle persone trans e d* sex worker nel movimento femminista. Era una grande sostenitrice delle nostre lotte. RIP, rest in power, Lyra”

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Antiautoritarismo, Antirazzismo, Autodeterminazione, Contributi Critici, R-Esistenze, Ricerche&Analisi, Violenza

Non basta parlare di appropriazione culturale

Immagine di: Alannah Giannino

 

By Ijeoma Oluo Tradotto da Sara Elena

(Articolo in lingua originale QUI.)

Qualche settimana fa, mi sono ritrovata con un gruppo a discutere di uno spettacolo che avevo visto la settimana prima. Lo spettacolo, Disgraced, è un’opera molto interessante e estremamente complessa che parla di razza, religione e genere. Di quello che era successo sul palco davanti ad un pubblico a maggioranza bianca a Seattle, ci sarebbe stato moltissimo di cui parlare tra di noi.

E invece stavamo parlando di appropriazione culturale. Solo ed esclusivamente appropriazione culturale. Continua a leggere “Non basta parlare di appropriazione culturale”

Antiautoritarismo, Antirazzismo, Antisessismo, Autodeterminazione, Comunicazione, Critica femminista, R-Esistenze

Wonder Woman ambasciatrice ONU: cambiamento sociale o strategia commerciale?

Immagine Onu per Wonder Woman ambasciatrice per uguaglianza di genere e autoaffermazione delle donne
Immagine Onu per Wonder Woman ambasciatrice per l’uguaglianza di genere

 

di Serena Natile

Qualche giorno fa mi è stato chiesto un intervento sulla nomina del personaggio dei fumetti Wonder Woman come ambasciatrice onoraria delle Nazioni Unite per l’uguaglianza di genere e l’autoaffermazione delle donne. La questione, per quanto possa sembrare irrilevante e in un certo senso ludica, ha in realtà delle implicazioni politiche importanti in termini di relazioni di potere e dinamiche di genere e sarebbe interessante sapere cosa ne pensano le compagne di Abbatto i Muri.

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Antisessismo, Comunicazione, Critica femminista, Personale/Politico, R-Esistenze

Admin di pagina fb “La Fabbrica del Degrado” spaccia un mio racconto (Sono Puttana e me ne Vanto) come proprio

Da quando scrivo su blog quella che non mi è mai mancata è la creatività, assieme a contenuti reali, analisi, le vostre/nostre storie, o narrazioni che traggono spunto dalla realtà per diventare rappresentazione di noi stess* in fiction, in parodia, in satira, in mille modi diversi. Non ho mai rubato contenuti a nessuno e quando ho condiviso post scritti da altri ho sempre citato la fonte perché la meraviglia sta nel fatto di ampliare il cerchio, di fare conoscere altre voci, altre intelligenze, altro ossigeno per la mente. A volte mi è capitato invece di vedere sottratti i miei contenuti, e non parlo di chi cita la fonte, ma di chi non la cita e spaccia quel che ha copiato come opera del proprio ingegno.

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Autodeterminazione, Comunicazione, Contributi Critici, R-Esistenze, Recensioni

Chiamatelo Rainbow pride e non Gay pride: invito a boicottare Stonewall il film in uscita che “corregge” la storia del movimento lgbt

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di Ethan Libano

A Katia, a Nathan, a tutti i ragazzi del circolo Milk di Milano, a Eretica, a Debora, a Antonella, a tutti gli eterosessuali che sono scesi in piazza non per amicizia ma perché era giusto, a tutte le persone not conforming e a tutte le persone LGBTQIA.

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Comunicazione, Contributi Critici, Culture, R-Esistenze

Darwin e i pervertiti: indagine sulle parole che usiamo

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di Armio Neloci

Esiste una vasta letteratura che indaga quali sono le difficoltà nel comprendere la teoria dell’evoluzione. E una cosa interessante è che se ricerchiamo questa letteratura per consultarla, i primi risultati sono una sorta di prontuario degli errori in cui si incappa quando si pensa alla selezione naturale. Ma ancora più interessante è vedere come la maggior parte degli errori su Darwin siano proprio le premesse a molti discorsi che si prefiggono di spiegare ciò che è anormale o deviante. E oggi con i dibattiti sulle unioni civili, anche se implicitamente, l’interpretazione sbagliata di Darwin fa da sfondo a molte delle questioni sulla naturalità, sulla procreazione e sull’evoluzione. Con una rapida indagine sulle parole e sui fraintendimenti si può qui agilmente provare a criticare questa retorica fondata su degli errori, così da capire che ad andare nel verso sbagliato (perversum) sono solo le opinioni errate.

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Comunicazione, Critica femminista, R-Esistenze, Violenza

#25N e sorelle Mirabal – Cosa c’entra il femminismo con lo Stato?

1509011_736897646377398_5871276460167409454_nDa Incroci De-Generi:

Non possiamo che essere contente che sia finita la sfiancante giornata del 25 novembre. In tante, infatti, non ne potevamo più di veder girare sui media e sui social network spose insanguintate, donne pestate, bocche cucite, addirittura icone dei cartoni animati ritoccate con lividi e occhi pesti, segno dell‘ orrido e macabro senso di estetica della violenza alla quale vorrebbero abituarci. Non ne potevamo più perché ci ha nauseato questo raccapricciante e mortifero gusto per l’orrido e per il macabro, ma soprattutto perché ci disgusta ancora di più il rovesciamento di senso che questa giornata cerca di operare sulle questioni per noi importanti. Ma cosa c‘entra il femminismo con lo stato? cosa c‘ entra il femminismo con le Nazioni Unite? ripassiamo un attimo di storia.

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Antiautoritarismo, Autodeterminazione, Critica femminista, Femministese, Pensieri Liberi, R-Esistenze

Femminismi, intersezionalità, appropriazioni e colonizzazioni culturali

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Prendo spunto da questo articolo per raccontare come e perché, secondo me, sia sempre meno tollerabile che l’intersezionalità sia in realtà intesa come trasversalismo tout court alla maniera della vecchia Snoq, tanto per capirci, o della Women Lobby europea che fa del paternalismo una virtù, lo esercita e ad altri paternalismi si allea per meglio riuscire a sovradeterminare le anime di quelle che vuole, loro malgrado, salvare (vedi quel che è successo in occasione del voto europeo sulla risoluzione abolizionista della prostituzione).

Quando chi ti opprime si appropria della tua lotta finisce sempre per rivolgertela contro e farsene scudo per legittimare vecchi criteri di oppressione. Le bianche che pronunciano l’antirazzismo finiscono per diventare quelle che adoperano autoritarismi e repressione per salvare le donne dal velo. Le borghesi che si appropriano della lotta contro la precarietà finiscono per diventare quelle che declinano quella lotta in direzione di una conciliazione lavoro/famiglia lasciandoti credere che la flessibilità sia un premio alla tua voglia d’esser madre e comunque facendo in modo che tu resti imbrigliata nel tuo ruolo di cura a dipendere economicamente da qualcuno. Le donne che gravitano in contesti filo/istituzionali si appropriano della lotta contro la violenza di genere per escludere da quella lotta le vittime di omofobia e transfobia, di repressione e violenza di Stato, di cultura della prevaricazione e dell’oppressione a prescindere da chi sia il carnefice e chi la vittima. Le signore bianche, borghesi e filo/istituzionali che si appropriano dell’antirazzismo e della lotta contro la violenza di genere finiscono per disconoscere i soggetti primari che quella lotta l’hanno reclamata per se’, per produrre precise rivendicazioni, perciò si offende ogni pratica che arriva dal basso per calare dall’alto autoritarismo e repressione contro migranti e donne che, per esempio, vengono punite se vogliono portare il velo o se scelgono di fare le sex workers. Le borghesi bianche che si appropriano della lotta anticapitalista per poi riportare corpi e uteri delle donne al servizio del capitalismo e raccontare che qualunque uso autodeterminato che le donne fanno del proprio corpo sia in assoluto il male sono il massimo del paradosso. Il primo modo in cui il capitalismo utilizza i corpi delle donne è nella riproduzione e nella cura. Non mi pare di aver visto alcuna risoluzione europea che parli di abolire la figura della badante, della moglie e della madre.

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Antiautoritarismo, Autodeterminazione, Critica femminista, R-Esistenze, Violenza

One Billion Rising, Eve Ensler e le contraddizioni del femminismo carcerario*

Quando qui dicevamo che non va proprio bene un femminismo che esorta le donne ad affidarsi a tutori, paternalisti, patriarchi di Stato rinunciando all’autorganizzazione, all’autogestione, all’autonomia necessaria a individuare proprie soluzioni che non legittimino repressione, istituzioni forti, galere, tutte figure istituzionali e cose attraverso cui e dentro cui si pratica violenza anche contro le donne, non si sapeva che la stessa riflessione ampia la stavano facendo in tante in giro per il mondo, stufe e arcistufe di femminismi istituzionali e paternalismi di Stato, e questa cosa ha perfino un nome: lo chiamano “femminismo carcerario” (ovvero un femminismo contrario a – o che addomestica- quello intersezionale, antirazzista, autodeterminato, anticapitalista, non forcaiolo, che ricorda i tempi in cui le femministe libertarie si opponevano al carcere; femminismo carcerario sarebbe invece quello che usa giustizialismo e sponsorizza le galere come presunto strumento di liberazione delle donne). E grazie alla compagna che ha scoperto e tradotto quel che bolle in pentola altrove. Come sempre accade, nel bel mezzo del provincialismo da cui siamo sommers*, quando pensiamo di essere sole a sviluppare intuizioni e pensieri altri capita che per respirare bisogna guardare un po’ più lontano. Quell’ossigeno è un regalo. Perciò grazie a chi lo fornisce, con pazienza, con le traduzioni, con la capacità di non rassegnarsi a quant* ti dicono che così è e così dovrà essere per sempre, o a chi ti ordina, a volte, di lasciare che il femminismo sia immutabile, dogmatico, autoreferenziale e chiuso in se stesso. Di questo femminismo, delle critiche ad esso rivolte, di neocolonialismo e dintorni parla l’ultimo post di Incroci De-Generi. Leggetelo. Perché è davvero utile. Buona lettura!

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Da Incroci de-generi che traduce Prison Culture:

Eve Ensler sembra aver scoperto la violenza di stato…per molti versi nello stesso modo in cui Colombo scoprì l’America. Si è dichiarata pronta a discutere e affrontare le conseguenze negative della criminalizzazione in aumento. Non più di qualche mese fa, il One billion rising, la campagna globale anti-violenza di Ensler, incoraggiava  le sopravvissute alla violenza interpersonale innanzitutto a riferire di stupri e aggressioni alle forze dell’ordine. Questa, secondo la campagna, era la strada per costringere coloro che perpetuano violenza a “farsi carico” delle loro azioni.

Ensler e i suoi collaboratori non erano consapevoli o interessati al fatto che proprio lo stato è il maggior perpetuatore di violenza di genere. Infatti, come suggerito da avvocate quali Lauren Chief Elk, molte donne che vengono a contatto con l’efferato sistema legale per cercare aiuto si ritrovano a essere vittime di quel sistema. In aggiunta, come Andy Smith ha sottolineato che questo approccio in realtà toglie potere alle donne in quanto individua lo Stato come la soluzione alla violenza di genere al posto di una reale politica organizzata da coloro che sono toccate dalla violenza di genere.

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