Personale/Politico, Salute Mentale

Dopo l’abbuffata: appunti da bulimica

Ho fatto quel che mi ha consigliato la psichiatra. Ho perso il controllo e mi sono abbuffata, con gusto, di cose che amo mangiare, senza sforzo, lentamente. Ma non sono cambiate le conseguenze. I sensi di colpa uniti alla voglia di procrastinare per qualunque impegno. Senso di immobilità, nervosismo, timore di uscire fuori. Non so come disinnescare. Devo fare da spettatrice e prendere appunti come se io mi osservassi dall’esterno. Per riferire alla psichiatra e per capire dove sta l’innesco e dove il disinnesco. Dopo mi sento come se fossi venuta fuori da una brutta sbornia, con un gran mal di testa, la fine degli effetti passeggeri di benessere che il cibo anestetizzante mi procura, e il conto che mi presenta la realtà.

Devo andare in farmacia, dovrei andare a fare la spesa e non riesco a fare nulla se non delegare. Come riprendo il controllo? Mi sento uno straccio. Non riesco a fare nulla. Questa è la prima osservazione concreta del post abbuffata da quando sono in terapia. Capisco perché la psichiatra ha affrontato ora l’argomento, dopo aver visto che ho stabilizzato la depressione. Pensavo di aver fatto gran parte del lavoro di riesame di me stessa, del caos interno, ma ora devo ricominciare da capo. Intanto rifletto e poi guardo qualcosa di innocuo perché non ho voglia di analizzare nulla. Anestetico sostituisce anestetico. Dal cibo alla visione di qualcosa di insignificante. Cercando di darmi tempo per correggere la rotta e ritrovare la forza per riprendere il controllo.

Ecco tutto. E’ faticoso.

Un abbraccio

In piena lotta

Eretica Antonella

Autodeterminazione, Comunicazione, Contributi Critici, R-Esistenze, Recensioni, Violenza

#Catania: “Stefania Noce – quello che è Stato” – il film

Stefania Noce
Stefania Noce

“Stefania Noce – quello che è Stato” è il titolo del film/documentario girato da Bibi Bozzato sulla vicenda del femminicidio che ha visto come vittima Stefania e, prima di lei, il nonno e la nonna che tentavano di difenderla, lui ucciso e la nonna sopravvissuta alle ferite.

Io non sono un reporter” – mi scrive Bibi Bozzato – “detesto quell’impostazione. Il documentario non puo’ essere oggettivo ne’ obiettivo. Io teorizzo su questo. Lo giro e lo monto con un’impostazione precisa, con un punto di vista, con tutta la parzialita’ che mi riconosco. Io prendo posizione. Sono un regista, non un “registratore” della realtà. – tiene a precisare.

Bibi è un compagno anarchico che non ha grande amore per la maniera in cui la “giustizia” si risolve nel nostro contesto sociale, ma in questo documentario emerge la sua discrezione e il suo rispetto nei confronti del desiderio della famiglia di vedere corrisposta una idea di giustizia che in primo luogo faccia emergere una verità tanto più complessa di quello che emerge dai dettagli processuali. A Ninni Noce, per esempio, interessa stabilire che la responsabilità morale del delitto, che gli ha portato via una figlia, non sia semplicemente  addebitabile al suo esecutore materiale. Sicché descrive il processo fin qui compiuto, con le richieste da parte della difesa di dichiarare l’assassino incapace di intendere e volere, con la campagna mediatica orientata a definire le differenze di ceto tra le famiglie dei due ragazzi, con il chiacchiericcio paesano alla ricerca di attenuanti quando si esprime un giudizio morale sulla irregolarità della famiglia di Stefania, e Ninni, perciò, parla di una cultura che ha permesso a questo ragazzo di crescere e sviluppare un atteggiamento devastante nei confronti di persone che sono state oggetto di un tentato sabotaggio di un’auto, la macchina di Rosetta, mamma di Stefania, poi l’appostamento con la balestra all’esterno della casa in cui Stefania viveva, infine, all’invito di smettere di perseguitarla, ha oltrepassato la porta di quella casa e fatto una strage per arrivare a lei e punirla.

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