Mi sono svegliata di soprassalto come spesso succede quando ho un incubo, immaginando di non avere più i denti e pensando al volto di mio padre che mi osservava mostrando un ghigno sadico e di indifferenza. Non so cosa significhi in termini freudiani, ma so per certo che quello sarebbe stato il mio destino se fossi stata al posto di mia madre. Nel sogno gli dicevo che mi stava facendo quello che aveva fatto a lei, ovverosia indurla a trascurarsi pur di non pagarle le spese che servivano per un dentista. Così come non volle pagarle le terapie per tentare di raddrizzare il suo viso dopo la paresi facciale. Mi torna in mente la smorfia di mia madre, quell’occhio semichiuso che lacrimava e l’impossibilita di sorridere, seppur da un lato, perché non aveva denti. Più tardi comprò una dentiera e mi faceva stare male vederla ingerire liquidi o masticare la mollica del pane con le gengive quando la toglieva. Non so perché un incubo del genere arrivi in questo istante o perché io continui a litigare con i miei genitori durante gli incubi. Mio padre è morto e mia madre anziana e non c’è più nulla che potrei dire in proposito. Io sono adulta e la cura dei miei denti dovrebbe dipendere da me, se avessi i soldi per mettere i molari che mi sono stati tolti sarebbe perfetto, ma lavo i denti spesso per tenermi quelli che mi restano.
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Cronache postpsichiatriche: contraddizioni politiche e dilemmi privati
Appunti per la mia autobiografia.

Gli anni ’90 fino ai primi anni 2000 non furono per me soltanto ricchi di cambiamenti sul piano pubblico. Cambiò radicalmente anche il mio modo di espormi alla vita pubblica. Da persona timida e piena di insicurezze mi improvvisai trascinatrice sociale. Quando salii sul palco di un comizio la prima volta le gambe tremavano ma poi tutto fu più semplice. Ero in grado di parlare di mafia in luoghi in cui la mafia era presente. Facevo nomi e descrivevo situazioni rischiose da un microfono rivolto ad una piazza di paese completamente vuota, con guardoni agli angoli delle strade e gente timorosa di esporsi che ascoltava dietro le finestre chiuse. Ero giovanissima e mi portavano ovunque per farmi esprimere la mia opinione sulle cose. Come un simbolo di rinnovamento, qualcuno mi definiva “eroina”. In realtà nessuno sapeva che ero cresciuta in un contesto familiare che mi terrorizzava e che affrontare a muso duro mafiosi e politici corrotti non era nulla in confronto. Avevo rischiato di morire per mano di mio padre e poi per mano del mio ex marito. Pensavo di aver già vinto la mia guerra e che nulla avrebbe potuto farmi ancora del male.
Continua a leggere “Cronache postpsichiatriche: contraddizioni politiche e dilemmi privati”Cronache Postpsichiatriche: la base sicura
Ancora per la mia autobiografia.
Quando avevo quattro anni il mio ricordo si fissa sul momento in cui nei pressi della mia casa paterna atterrò un elicottero che porto via i miei genitori e mia sorella per condurli verso un grande ospedale della capitale. Da quel momento io fui affidata a parenti di cui vorrei dimenticare tutto. Avevano grandi problemi in famiglia e in ogni caso trattarono me come se fossi ovviamente di troppo. Mi sentii abbandonata per tanto tempo e fino ai miei 8 anni ricordo solo mia nonna materna che mi accompagnava a scuola e mi veniva a riprendere. A parte questo riferimento ricordo ben poche attenzioni nei miei confronti.
Quando i miei tornarono tutto era già cambiato. La vita ruotava attorno alle cure di cui mia sorella aveva bisogno. Ricordo che nel momento in cui a lei toccava la puntura io scoprivo il mio gluteo per meritarmi almeno lo stesso trattamento. Quello che ci si aspettava da me invece era che io fossi cresciuta di colpo e che assumessi un ruolo di cura nei confronti di tutta la mia famiglia. Fin da piccola avevo l’obbligo di occuparmi della casa, di lavare i piatti, spolverare, battere forte sui materassi di lana del letto matrimoniale di mia madre, pensare a pulire e lavare le scale, lavare e passare la maledetta cera sui pavimenti. Dovevo fare i compiti ma non c’era spazio per i giochi. Quando scendevo in strada a giocare con i miei coetanei mi richiamavano sempre prima che arrivasse in casa mio padre perché era importante che lui vedesse quanto io mi dessi da fare per aiutare la mamma che era tanto impegnata già nella cura di mia sorella. Nel tempo pensai che per salire di grado nella considerazione che la mia famiglia poteva avere di me avrei dovuto anche io occuparmi di mia sorella. Così imparai a darle una mano anche se per lei che viveva un momento difficilissimo per se stessa io spesso ero solo un fastidio.
Continua a leggere “Cronache Postpsichiatriche: la base sicura”La paura e le corde invisibili
Mi aveva regalato un giglio. Lo strofinò sul mio vestito chiaro. La traccia giallastra rimane ancora adesso. Perché anche ciò che sembra puro in realtà è “sporco”. La perfezione è sporca, sporca è la vita, lo è anche l’amore. Perciò è perfetto.
Lui era un eretico delle relazioni, non coltivava dipendenze, ogni suo gesto era un regalo. Ogni parola una carezza. Ogni mano tesa un filo nella tua direzione.