Autodeterminazione, MenoePausa, Personale/Politico, R-Esistenze, Sessualità

Il sesso è sempre un’opera d’arte

In questi giorni mi sono chiesta spesso quanto sia plausibile pensare alla sessualità di una donna post menopausa. Forse si tratta solo di avere un diverso approccio mentale. E per approccio mentale intendo la misura delle aspettative che una donna ha relativamente al sesso ad una determinata età.

Ci sono stati momenti in cui ho pensato che il sesso non andava bene perché era meglio quando lo facevo qualche anno fa. C’era tanta energia e tanta forza. C’era passione. C’era agilità. Il desiderio lo sentivo come qualcosa di carnale. Poi le cose hanno preso una piega diversa.

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La terza via: stare accanto alle vittime di violenza vuol dire rispettare le loro scelte

Anni fa commisi un grave errore. Una mia amica era spavalda, disponibile e sessualmente attiva. Molto più attiva di me. Quando uno stronzo la stuprò mentre lei, ubriaca, stava lì ferma sul pavimento con gli slip strappati, io la accompagnai in ospedale perché non si risvegliava. Era andata in shock per aver bevuto troppo e io sapevo che non era colpa sua ma non potevo fare a meno di guardarla male. L’ho trattata male. Freddamente. Pensavo davvero fosse colpa sua. Quel periodo la lasciai sola e non riuscii a dirle nulla che la facesse sentire meglio. Quando discutemmo della possibilità di denunciare lo stupratore lei disse di no perché non voleva stare sulla bocca di tutti e non voleva avere ripercussioni. La mia rabbia nei suoi confronti aumentò e il perché era semplice: non faceva nulla di quello che io avrei voluto facesse. Ma io non stavo nei suoi panni. Non avevo vissuto quello che aveva vissuto lei. Eppure mi sentivo in diritto di sprecare parole per farla sentire sempre più colpevole.

Poi mi disse che era rimasta incinta, gravida dello stupratore. Voleva abortire ma all’epoca non esistevano neppure i consultori, anche se l’aborto era legale. Lei non voleva andare in ospedale perché in quel posto ci si conosceva un po’ tutti e anche questo l’avrebbe resa un bersaglio di critiche e giudizi. Preferì chiedere dei soldi allo stupratore per abortire presso un privato e in un’altra città. Questo per me fu una specie di tradimento. Perché si era rivolta a lui? Ero troppo egocentrica e ferita per capire che non aveva nessun’altra scelta. Lo ha fatto per sopravvivere e si è comportata come doveva data la situazione in cui si trovava. Lui andò con lei. Io rimasi a casa. Quando la incontrai di nuovo le mie prime parole furono “te la sei voluta” e la sua reazione fu di stanchezza. Era ovvio dato che perfino io le davo contro.

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Essere femminista non significa essere più “maschio”

Quando desideri essere amata ti innamori di un “ti amo”. Anche se è fasullo, anche se te l’hanno detto per portarti a letto. Il letto, quel luogo che sembrava tanto mostruoso e che poi ho scoperto essere comodo e piacevole per dormire e farci molte altre cose. Ma prima di arrivare a queste connessioni lettifere ho vissuto con la paura di non piacere. L’insicurezza è una bestia orribile da sconfiggere. Non era innata, non ce l’avevo alla nascita. Me l’hanno trasmessa assieme alla propensione a vivere sempre in difetto, aspettandomi che per ogni momento felice ce ne sarebbero stati almeno cento di quelli infelici. Pensando di non meritarmela neppure quella felicità. Non credendo mai a nessuno quando mi diceva “sei bella!”. Così lasciavo prima di essere lasciata, non perché io fossi più figa ma perché ero semplicemente umana. L’amore è stata una tragica corsia in quell’autostrada densa di emozioni da attraversare. Ho impiegato molto tempo a liberarmi di tabù e preconcetti. Gliela devo dare prima o dopo? Devo accettare di farmi toccare o devo fermarlo non appena tenta di togliermi le mutandine? Se prendo l’iniziativa avrà paura? Succede tutto naturalmente o serve sentire le campane?

Come tante io ho vissuto di abbandoni e di incontri felici. Ho vissuto quel che c’era e quel che cercavo. All’inizio andava bene. Pensavo di godermela e forse lo facevo davvero. Quando finì la mia prima storia seria, tra botte e pianti, allora dissi a me stessa di aver capito: pensavo di non meritarmi di meglio e avrei cercato quel “meglio” in ogni persona incontrata. Pensavo di avercela fatta, ero comunque sopravvissuta alle sofferenze e invece dopo un po’ mi rendevo conto che le paure corrompevano le mie storie. Pensavo che tutto fosse semplice ma diventavo posseduta dall’irrazionalità. A pensarci bene però avevo in qualche modo ragione. Capivo se lui mi stava tradendo, se per lui era finita e di colpo smettevo. Non mi sembrava opportuno lottare per tornare indietro. Li cacciavo dalla mia vita e penso di aver fatto bene a preservare la mia integrità. Ma ero anche decisamente moralista. Oggi non mi comporterei così di fronte a quello che non chiamerei più neppure tradimento. Non soffrirei e non mi farei governare il cervello dall’irrazionalità. Fosse per me mi andrebbe bene anche un rapporto non esclusivo, perché se lo pretendi come tale poi devi rispondere a tutte le esigenze dell’altro. E se non ne ho voglia? E se voglio godere di qualche spazio di libertà?

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Quando le donne dovevano essere solo donne e i maschi solo maschi

Quando ero piccola dovevo aiutare mia madre. Dovevo farlo io e non mio fratello. Mia madre aveva tempi difficili, si svegliava alle cinque del mattino e dormiva davvero pochissimo. Io mi svegliavo presto solo quando dovevo ripassare per una interrogazione a scuola. Quando tornavo dovevo apparecchiare, sparecchiare, lavare i piatti, poi passare la scopa, lavare il pavimento. A fine settimana c’erano le grandi pulizie da fare. Spolverare, passare la cera sui pavimenti, pulire i vetri delle finestre, lavare le scale e pulire anche il marciapiede subito avanti alla porta di ingresso. Poi potevo uscire a giocare con altre bambine se prima, però, avevo fatto tutti i compiti. Studiavo molto ed ero una bambina molto timida e insicura. Sempre monitorata a casa per via dell’ansia che mio padre ci faceva subire. Un uomo che lavorava tanto e che riusciva a mantenere la famiglia intera con vari figli. Mia madre era una casalinga e da quel che ricordo non si fermava mai. A fine orario scolastico di solito veniva a prendermi mia nonna materna. Una strega vera, di quelle che conoscono storie e arti magiche da vecchia signora cresciuta tra miti e soluzioni a varie malattie. Scacciare via i vermi, poi la febbre, curare il morbillo. C’erano gli antibiotici, certo, ma senza l’arte magica della nonna nessuno sperava in una guarigione.

Sono cresciuta tra narrazioni sul potere delle donne, grandi donne, in grado di sostenere tutta la famiglia e di non badare al proprio piacere. Mi sono sempre chiesta il perché e mi è stato detto che è così che si fa. Io non ho obbedito. Quando sono stata in grado di vivere da sola ho fatto pulizie solo quando era necessario, non ho più passato la cera, non avevo molto da fare in effetti e in ogni caso mi mancava la magia. Quella magia svanì con la morte di mia nonna e solo allora scoprii che mi aveva destinata a confessioni sui riti magici che non ebbe il tempo di confidarmi. Che peccato, dissi a me stessa.

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Senza rimpianti: volendomi un po’ più bene!

Quando avevo 17 anni mi vedevo come fossi un mostro. Una specie. Carina, sì, ma niente di speciale. Avevo milioni di complessi e tra ore di ginnastica e disturbi alimentari non mi rendevo conto che stavo solo contribuendo a deformare il mio corpo. Mentirei se dicessi che tornando indietro rifarei tutto. Vorrei avere 17 o 20 anni con le consapevolezze che ho adesso, con la rabbia che mi porto dietro per aver commesso errori che mi hanno fatto crescere, certo, ma a che prezzo? Se avessi saputo che un giorno mi sarei sentita così stremata per questa lotta infame contro culture dalle quali è stato difficile liberarsi. Se solo mi fossi accettata allora e a 20 anni avessi saputo quello che so adesso mi sarei certamente piaciuta e valorizzata di più. Avrei accarezzato il mio corpo senza sottoporlo a torture estreme. Ingrassare, dimagrire, distruggermi le ginocchia per le ore di compensazione a fare i chilometri saltando sui marciapiedi o sui gradini di casa. Se avessi saputo, per esempio, che dopo i 40 anni non è più possibile ingrassare e dimagrire senza che la pelle mostri tutta la sua fragilità. Il collo smagliato, i seni senza proporzioni, la difficoltà a muovermi accompagnata dallo scricchiolio delle mie ossa frantumate. E poi anche il resto. Essere sottoposta a parto, aborto, con gente che mi ha lasciata l’utero pieno di cicatrici calcificate. Quanto poco valiamo noi per chi ci nutre di stereotipi.

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L’ordine del maschio ossessivo compulsivo

Ci vuole equilibrio in tutte le cose. Per esempio: mi fa piacere aver trovato un compagno che pulisce, lava, fa il bucato, aggiusta il letto e tante altre belle cose. Dico davvero, ne sono lieta, ma sarei più contenta se solo non mi osservassi come un falco che punta alla sua preda aspettando che io sbagli. Se lavo i piatti mi guardi per scorgere il difetto nel lavaggio, se stendo il bucato pretendi che lo faccia come lo fai tu. Se getto l’immondizia mi fai il terzo grado per capire se ho separato ogni grammo di qualunque cosa per la differenziata. Sono molto felice che tu ti senta così responsabile per il bene del mondo ma allora perché mi sento oggetto delle attenzioni di un ossessivo compulsivo che fa di tutto per rendermi insicura? Somigli a mia suocera, tua madre, ovvero colei che si incazza se ho riposto un piatto nello scaffale sbagliato. Sono talmente stufa di tutto questo che mi chiedo perché mai non dovrei lasciare tutto il lavoro a te. Controlli i piatti che ho appena lavato? Fai l’indagatore dell’incubo cercando residui non adeguatamente separati tra l’immondizia che ho appena confezionato? Vuoi il controllo di tutto? Perché è di questo che si tratta, no?

C’era mia madre che non lasciava che mio padre si avvicinasse alla cucina o ai figli, perché lei era più brava in tutto, accentrava ogni possibile attività casalinga, tutto restava sotto il suo controllo. Poi però rinfacciava al mondo i sacrifici fatti. Le serviva apparire come un agnello sacrificale per poi rimproverarti anche solo di aver respirato con movimenti diversi dai suoi. Perché, dico, non è possibile ottenere aiuto da parte di un uomo senza passare quello che sto passando io? Eppure sono stata paziente, ti ho insegnato cose che non sapevi, e ora ti vanti di farle meglio di me. Va benissimo, perché non sono alla ricerca del primato della casalinghitudine. Non ho tempo per questo. Ma neanche tu quel tempo ce lo avresti. Dunque? Non dirmi che lo fai per me. Lo fai solo per sentirti migliore di me. Io sono una che cede compiti, non sto lì a guardarti aspettando un tuo errore. Non sono quella che ti ruba le spugnette dalle mani perché non fai bene il tuo lavoro, giusto per dire “lascia stare… faccio io”. Non importa se tu impieghi tre ore per lavare lo stesso piatto che io lavo in pochi minuti. Non ti critico. Non ho problemi e non passo il dito sulla superficie dei mobili per vedere se hai lasciato qualche granello di polvere. Ma allora perché tu non sai fare altrettanto? Perché devo quasi sentirmi inutile in casa mia?

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Felice anno nuovo e il dovere di fare da dama di compagnia

Per le feste tante persone si impongono di essere felici. Parlo di quelle che felici non lo sono per davvero. A me questo obbligo sta stretto. Se sono incavolata il giorno prima non capisco perché devo fingere di non esserlo quello dopo. Una delle cose che delle feste odio di più è dover rispondere a chi pensa che di mestiere tu faccia la dama di compagnia. Ti voglio tanto bene, stiamo insieme da anni ma questo non ti autorizza a pensare che io sia una tua appendice. Non sono obbligata ad accettare l’invito dei tuoi amici e non mi importa dei ricatti che mi imponi se per caso dico di no. Litighiamo vivacemente, ci siamo dette cose non molto carine, siamo di pessimo umore.

Io non sono di quella generazione di mogli/conviventi/compagne che fanno finta. Mi vuoi portare dai tuoi amici? Allora posso venire con la mia voglia di dirti il male che mi hai fatto. Non posso ricucire le ferite per una sera e poi fare finta che non sia successo niente. Non sono una donna di rappresentanza. Non sono tenuta a mostrare quanto siamo felici quando in realtà per oggi vorrei solo guarire le mie ferite. Non posso farlo se il tuo ricatto riguarda il fatto che tu guadagni più di me. Se è di soldi che si tratta allora pagami. Altrimenti: vuoi andare? Allora vai, da solo. Ma tu dici che se non vengo non vai neanche tu. Tanto per farmi sentire in colpa. Fai come vuoi. Io me ne starò qui ad oziare, senza dover sforzarmi di fare conversazione con persone che non conosco, perché non le conosco.

Non faccio molta vita sociale in generale. Ho le mie idiosincrasie, i miei limiti. Non puoi obbligarmi. Se invece proprio vuoi, come dicevo, allora firmiamo un contratto per cui mi paghi quando ti accompagno fuori e a casa però non devi pretendere niente. Io sono apparenza o sono sostanza. Non so essere le due cose. Non puoi volermene per questo. Non siamo più negli anni ’50. Non sono una compagna attaccata alla tua divisa pubblica. Non devo rappresentare il modello di vita perfetto che tu vuoi mostrare ai tuoi amici. Ma sono amici per davvero? Se non puoi dire come ti senti e non puoi andare da solo immagino non lo siano poi tanto. Dunque sono conoscenze. Il fatto che mi rinfacci cose che hai fatto per me e torni su questioni irrisolte con la violenza verbale che a volte ti contraddistingue mi fa pensare che tu non ti renda conto di quello che io faccio per te. Sono niente se non ti seguo nel tuo itinerario di facciata. E dunque cresci, per favore, e non pretendere che il mondo ruoti attorno a te. Non pretendere di censurare i miei sentimenti, le mie emozioni. La rabbia è solo una di queste. Non ammazzare le mie critiche dicendo che se non vengo allora è già finita. Mettiamo la parola fine, se il nostro rapporto conta così poco da non poter sopravvivere ad una scansata prova pubblica.

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Abuso, senso di colpa e il tanga di battaglia

Quante fra voi hanno subito un abuso e poi non hanno detto niente a nessuno per paura di essere giudicate? Scommetto che siete tantissime e io sono una di voi. Oggi una persona che conosco, al telefono, mi ha ricordato un episodio vissuto da lei. Aveva 26 anni, non era una bambina, eppure anche un’adulta, come sapete, può subire abusi. La vicenda andò così: quel giorno lei indossava un paio di pantaloni leggeri e trasparenti. Si intravedeva il tanga che usava abitualmente. Di solito altre la giudicavano esibizionista o un po’ zoccola. Non ci fosse stato di mezzo quello stigma rafforzato da donne guardiane della morale probabilmente a lei non sarebbe successo nulla.

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Psichiatria e farmaci: non rappresentano sempre il demonio

Vorrei raccontare il mio punto di vista su un argomento che penso vada trattato senza usare stereotipi. Leggo i commenti sotto un post che parla di depressione e tali commenti generalizzano su quel che è oggi la psichiatria e sulla pericolosità degli psicofarmaci. Dal personale al politico, eccomi.

Anch’io so quanto sia stata dannosa la psichiatria per le donne e quanto potrebbe esserlo ancora oggi ma, la mia esperienza mi dice che, bisogna valutare di caso in caso. Dopo che mi è stato diagnosticato un problema che richiede terapie continue la mia voglia di vivere e lottare per un po’ è venuta meno. Non sapevo fino a quel momento quali effetti potesse avere la depressione. Soffrivo già di disturbi alimentari ma non avevo considerato di rivolgermi ad uno psichiatra. Avevo invece intrapreso un rapporto di analisi con una brava psicologa che mi ha aiutato molto. La vita, le tante cose da fare, hanno fatto il resto. Fortuna che ci sia un lato di me che prende le cose con ironia e anche questo mi ha aiutato.

Ma quando mi sono sentita vulnerabile e impotente tutto è tornato a galla e quel tutto comprendeva un livello di depressione che mi ha impedito di uscire di casa per molto tempo, ha resettato i miei tempi di vita, non avevo interesse per tante cose che mi avevano reso attiva fino a quel momento e con molta difficoltà, conoscendo le battaglie dei collettivi antipsichiatrici, ho dichiarato a me stessa che non ce l’avrei fatta da sola e così ho chiesto aiuto.

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Meno&Pausa: la fame di cose nuove

In questi giorni sto abbastanza di merda. Troppe cose orribili accadono e troppo da pensare mi danno situazioni che non riesco a capovolgere. Questi sono i limiti degli esseri umani. Questo è il mio limite. Mi conforto, durante la notte, trascinando vicino a me il corpo addormentato del mio compagno. Mi dà calore e mi fa dimenticare per un attimo che io sono parte del tutto e che il tutto è parte di me. Ogni ferita al mondo spezza i miei muscoli, la mia volontà, le mie ossa.

Dormo male, mi sveglio incazzata, sono ipercritica su qualunque cosa e così riconosco che questo non è il momento per dire cose che non sono l’espressione di un pensiero lucido e razionale. Se la rabbia prevale, tutto quello che hai voglia di fare è distruggere. Distruggere per distruggere e non per costruire altro.

Quando mi mancano le forze il mio rifugio sono i libri. Ne mangio chili e chili, parole, significati, virgole e punti interrogativi. E allora perché continuo ad avere fame? L’idea di tenere il cervello sospeso nel nulla mi fa empatizzare proprio con quel nulla. L’assenza di me, il vuoto, nessuna speranza ma, solo, la consapevolezza che l’insieme delle esperienze passate non serve a null’altro se non a dare vita ad esperienze esattamente uguali. Il mondo che si ripete. Il nulla che resta nulla.

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Essere stuprata da un bianco non è mai accettabile

la frase sarebbe stata ripresa da qui

 

Mi piace il sesso. Non mi fraintendete. Ma il sesso non è stupro. Il sesso è consensuale. Non è sodomia per punirti. Non è un cazzo in gola per zittirti. Non è una mano che schiaccia la testa sul terreno per toglierti libertà. Le mani di chi mi ha fatto del male, nel corso della mia vita, erano bianche, lo sono ancora. Il viso di chi mi ha stuprata è bianco. Il pene che ho dovuto “assaggiare” è bianco.

Non ho pensato di poter tollerare quello stupro perché subito da un uomo bianco. Lo stupro è stupro e leggere certe cose mi fa ribrezzo, per quanto sia consapevole che non ci si potesse aspettare di meno da chi propaga cultura razzista e fascista. Il punto è che l’uomo bianco, eterosessuale, si sta adoperando per deresponsabilizzare il maschio bianco e criminalizzare l’uomo nero. E’ un bel capro espiatorio per qualunque crimine commesso contro le donne.

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Meno&Pausa: l’abbandono e le contraddizioni

Avete mai programmato di fare la spesa scegliendo solo cibi sani? Si sa che le tentazioni in casa fanno male e allora niente dolci, cose grasse, niente calorie in eccesso. Poi, durante una notte insonne passata a vedere ogni thriller disponibile, inclusi quelli in cinese sottotitolati in inglese, ricordi di avere una confezione di cacao da qualche parte. In men che non si dica frulli gli ingredienti per una torta e alle quattro del mattino è pronta. Una spolverata di zucchero a velo e hai mandato ‘affanculo i buoni propositi sull’alimentazione bilanciata.

Era così quando avevo le mestruazioni e una settimana prima non potevo fare a meno di placare il calo di magnesio o che ne so. Un chilo di gelato mangiato in tre tempi. Ma le calorie andavano via così come le prendevi. Subito. Ora invece.

Negli anni ho acquisito delle abilità culinarie niente male. Mi piace mangiare bene e con gusto eppure ancora non riesco a pensare al mio corpo con disinvoltura. Solo di fronte alle tragedie penso che ci siano altre priorità. Una delle cose che mi tranquillizza è la lettura di testi scritti da grandi autrici. Misurarmi con il loro cervello, il loro intelletto lucido e meraviglioso, mi fa dimenticare il fatto che continuo ad avere complessi come una tredicenne. Ma è mai passata l’adolescenza riguardo a questo? Non so. Un tempo pensavo che date le mie insoddisfazioni lo sguardo di un tipo belloccio mi sembrava troppa grazia. Via via ho capito che merito quello sguardo audace a prescindere e questo mi ha resa meno vulnerabile.

Non ho mai pensato che lo stereotipo della donna bella e stupida fosse reale. Ho conosciuto donne bellissime e intelligentissime. Ho sempre guardato alla bellezza delle donne senza problemi. Dire “sei bella” ad una donna per me è naturale. Non temo competizioni. Non le guardo come rivali. Ma le donne ignoranti, quelle si che invece mi infastidiscono. Così sono diventata sempre più selettiva. L’intelletto prima di ogni cosa. Una persona tenace dai pensieri vivaci e veloci mi attrae sempre. E’ un modo per riflettermi in lei, forse, anche se il punto è che non sono tante le persone che stanno dietro ai miei pensieri. Sono talmente veloci, non per questo belli o interessanti, ma veloci e in un minuto da qui a là colmo la distanza di un tempo infinito.

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Meno&Pausa: la responsabilità di trattenere stelle e cielo

A volte vedo il mondo diviso in due parti differenti. Sulla terra sembra tutto ok. Le persone vanno e vengono, veloci, animando le strade e facendo shopping, scansando i senzatetto e guardando con orrore alle donne con le gonne larghe che sfidano i pregiudizi chiedendo l’elemosina. Il mondo potrebbe essere meglio di così ma si tratta di punti di vista. C’è chi vede solo la superficie terrena. Io vedo anche il cielo, sconfitto, che potrebbe crollare sulle nostre teste da un momento all’altro. Ci sono gli esseri umani, quelli umani per davvero, che si affacciano dalle finestre delle loro attività per trattenere le stelle. Cadono anche quelle, sapete?

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Meno&Pausa: la mia differenza e la voglia di distruggere tutto

Sapete quanto sia difficile condividere quello che sento con un uomo? Non ha la menopausa, non ha il fiatone post/caldana, il sesso gli funziona sempre e non ha gli ormoni impazziti. Dopo anni di battaglie contro gli stereotipi mi devo arrendere a me stessa e devo affrontare la mia diversità. E’ una diversità che ti fa sentire sola, in una relazione o in un rapporto d’amicizia con un uomo. La cosa più difficile da spiegare è il fatto che interiormente mi sento viva e piena di energia ma all’esterno devo constatare non senza ironia il mio decadimento fisico.

Ho le tentazioni di una trentenne ma la fatica mi fa demordere. Per esempio: anni fa quando andavo ad un concerto non avevo problemi a ballare dall’inizio alla fine, per ore. Ora mi stanco solo a pensarci e non riesco ad avvicinarmi molto al palcoscenico. La folla e gli spintoni mi irritano. Abbiate pietà, penso, e poi sniffo il profumo di una canna e se chiudo gli occhi allora mi sento bene. Forse sono io che mi pongo dei limiti. Forse.

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Meno&Pausa, avere la patata e non sentirla. Il ritorno e l’anarchia felice

 

Foto di Raffaella Santamaria

 

Sono tornata. Ho qualche anno di più e la patata si fa sempre più silenziosa. Ma ci si arrangia come si può. Le caldane ancora vanno e vengono. Tra la precarietà e la sessualità sospesa mi resta un botto di tempo. Dico sul serio. Ma trovo ugualmente molto da fare. Per esempio: come stimolo per la produzione di serotonina uso una serie tv in cinese – fortuna che ci sono le figure – con sottotitoli in inglese. E’ una commedia buffa e mi fa ridere sempre, anche se è roba per adolescenti e se la becca Eretica mi toglie il saluto (femminista). 😀

Anche ascoltare musica non è male. Mi passa il malumore e oso perfino muovere un po’ il culo che è diventato più grosso e traballante. Ho le carni semoventi. Se mi scuoto, tipo cane, si vedono le minne, il culo, le braccia, le cosce, la panza, tutto quello che è sotto occupazione di grasso in eccesso (per principio non mi rivolgerò mai alle polizie per sgomberarlo), a muoversi rendendo il ritmo del corpo molto originale. Posso far ballare ogni mia cellula con un solo movimento.

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