In questi momenti di disoccupazione mi vengono in mente cose che mi ricordano per lo meno ciò che sono o ciò che ero. Adesso mi sento avvilita e invidio lui e il suo modo di ritrovare la calma dando perfino un nome ai malesseri psicosociali che ci rendono quel che siamo. A volte disadattati e altre volte solo rassegnati. Calma a tempo, perché appena arriva l’attimo sputa un vaffanculo su un commento facebook e poi chiude tutto e va a cercare notizie sullo sport.
In altri momenti avrei avuto la forza di fare cose in maniera decisa, con una determinazione da guerriera. Prendi il momento in cui stavo muso a muso con un tale che non voleva farmi entrare in un raduno per campeggiatori di sinistra. Una di quelle cose che organizzi assumendo un fascista come buttafuori. “Perché non parli tu?” – diceva rivolgendosi al mio amico. E faceva finta di non sentirmi. “Di’ alla tua ragazza di fare silenzio”. E lì, all’unisono: “Non è la mia ragazza” – “Non sono la sua ragazza”. Machista di merda. Vuol parlare con l’uomo. Io non valgo niente? Mi senti? Sono qui. Alla fine abbiamo scansato le botte perché si sono decisi a chiamare uno dell’organizzazione.