La posta di Eretica, MalaRazza, Personale/Politico, Precarietà, R-Esistenze

Le ingenuità di MalaRazza

In questi momenti di disoccupazione mi vengono in mente cose che mi ricordano per lo meno ciò che sono o ciò che ero. Adesso mi sento avvilita e invidio lui e il suo modo di ritrovare la calma dando perfino un nome ai malesseri psicosociali che ci rendono quel che siamo. A volte disadattati e altre volte solo rassegnati. Calma a tempo, perché appena arriva l’attimo sputa un vaffanculo su un commento facebook e poi chiude tutto e va a cercare notizie sullo sport.

In altri momenti avrei avuto la forza di fare cose in maniera decisa, con una determinazione da guerriera. Prendi il momento in cui stavo muso a muso con un tale che non voleva farmi entrare in un raduno per campeggiatori di sinistra. Una di quelle cose che organizzi assumendo un fascista come buttafuori. “Perché non parli tu?” – diceva rivolgendosi al mio amico. E faceva finta di non sentirmi. “Di’ alla tua ragazza di fare silenzio”. E lì, all’unisono: “Non è la mia ragazza” – “Non sono la sua ragazza”. Machista di merda. Vuol parlare con l’uomo. Io non valgo niente? Mi senti? Sono qui. Alla fine abbiamo scansato le botte perché si sono decisi a chiamare uno dell’organizzazione.

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MalaRazza e la disoccupazione

La povertà non è uno stato d’animo. Non si tratta di trascuratezza o di degrado soggettivo. Così vogliono farvi credere quelli che vi consegnano la colpa di essere poveri. Io sono povera e non è colpa mia. Non sono in grado di pagare la bolletta della luce a fine mese, spero solo che non la taglino. Il gas posso ancora usarlo ma quando finiscono i soldi che avevi messo da parte per i tempi bui, quelli in cui non avresti trovato lavoro, quei tempi bui si affacciano alla tua vita e tutto succede una cosa dietro l’altra, una disgrazia dietro l’altra. Ti senti un’accattona mentre giri per uffici a verificare le tue possibilità. Torni a casa con la rivistina che trovi da qualche parte dove stanno scritte le offerte di lavoro. Poi scopri che non c’è una vera offerta di lavoro in nessuna delle pagine attentamente sfogliate. La tragedia è che non si può fare diversamente. Non hai alternative a meno che non ti metti a rapinare banche e anche per quello ci vuole un talento che non ho.

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MalaRazza e il politico molesto

Ho lavorato per qualche anno come impiegata in un gruppo politico. C’era un deputato, tutto slogan cristiani al mattino e famiglia ore pasti, che cominciò a strofinarsi su di me quasi per caso. Non avevo capito ma, poi, un giorno, mi aspettò nell’atrio, dove stava la fotocopiatrice, e approfittando del fatto che tutti fossero in pausa pranzo si avvicinò a me, mi avvinghiò e mi costrinse a sentire da vicino il suo alito di sessantenne mentre mi dava un bacio sulla fronte. Era eccitato, gioioso, io rimasi paralizzata. Non dissi nulla. Eppure ero stata in grado di difendermi in passato ma erano miei pari e non miei datori di lavoro. L’atteggiamento ambiguo e viscido di un datore di lavoro è quello che sicuramente spinge una donna molestata ad avere il terrore di denunciare. Se lo fai ti licenziano. Se non lo fai vuol dire che ci stai. Se lo fai gli altri possono dire che te la sei cercata, vestita com’eri. Se non lo fai significa che sei disponibile.

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MalaRazza e la fila all’ufficio postale

Oggi il caffè sa di merda. Non so perché. A volte l’acqua ha un cattivo sapore e noi beviamo acqua che viene fuori dal rubinetto. Fresca e piena di cloro. Una delizia. Non possiamo fare altrimenti. Devo andare a pagare una bolletta, quella del telefono. La cifra standard che paghi solo per avere il telefono in casa e l’abbonamento con la connessione. Se doveste chiedermi dove si trova l’apparecchio direi che non lo so. Non telefoniamo mai e riceviamo poche chiamate, più spesso da parte di persone che ci offrono delle cose che non vogliamo. Con gentilezza, a volte con esasperazione, mettiamo giù. Una volta alzavi il telefono ed eri certa di sentire una voce amica. Parlavi del più e del meno. Ora possono essere solo due categorie di persone. Venditori o creditori.

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MalaRazza e la cena con gli amici precari

Cena, siamo in cinque. Tutti precari, pressappoco della stessa età dai 37 ai 40 e rotti. Noi abbiamo solo un ripiano con due sedie e quindi si finisce per sedere per terra ma va bene lo stesso. Siamo ecologici e usiamo i piatti in ceramica che poi laveremo. Dopo i convenevoli si salta subito alla situazione di ciascuno di noi. Io guadagno quasi niente, come ho già raccontato, il mio compagno ha un piccolo stipendio da operaio che dovrebbe coprire quasi tutte le necessità. Chiediamo per curiosità se qualcuno di loro ha preso il reddito di cittadinanza, la famosa spinta all’economia che ogni tanto i politici pubblicizzano quando sulle prime pagine dei giornali si parla di poveri discriminati e ricacciati indietro o che non trovano neppure un posto per dormire, senzatetto. La nostra amica è stata fortunata: è riuscita a superare un concorso per entrare in un ente locale ma il patto era che non avrebbe guadagnato mai un soldo di straordinario. Non ha la qualifica adatta, dicono. Prende 1300 euro lorde, e al netto, dato che paga le tasse, fate un po’ voi.

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MalaRazza e le anime nere

Oggi alla gelateria dove lavoro tre volte a settimana, per 20 euro al giorno, in nero, ho litigato con una cliente che voleva cacciare il ragazzo che cercava di vendergli delle rose. Non so di che nazionalità fosse ma il colore della sua pelle era nero. Come il mio contratto. Mi sono chiesta se la cliente avrebbe strepitato tanto contro il mio datore di lavoro sapendo quanto non-guadagno. Ho chiesto alla signora di evitare scenate e poi ho preparato un gelato per il ragazzo. Glielo offro io, ho detto. E la tizia se ne andata con un’espressione di disappunto.

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MalaRazza e l’aborto precario

Avevo detto che vi avrei raccontato del mio aborto. Io e il mio compagno convivevamo da due anni e nonostante le precauzioni, all’improvviso, sbam! Io ero tentata ma avevamo deciso insieme che la nostra situazione era davvero impossibile. Non potevamo permetterci un figlio. Io troppo precaria e lui troppo impegnato nel lavoro per poter darmi una mano. Mi ha detto: se non sono in grado di pensare a noi due come vuoi che pensi anche ad un figlio? Certo, mi piacerebbe, ma tu sai come siamo messi. Non possiamo. E io sapevo che aveva ragione. Ha sempre avuto ragione. Conosceva i miei limiti e gli avevo detto che non avrei cresciuto un figlio da sola e che ancora ero troppo precaria, non potevamo contare su nessuno, non ce l’avremmo fatta.

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MalaRazza e il recupero dei contatti umani

Quando il mio compagno torna con il muso temo che possa crollare. Poi chiacchieriamo, lui mi dice che ha paura del futuro, che ci sono momenti in cui vede tutto nero, perché non ci sono i soldi, perché tutto è sempre uguale, perché nutriva la speranza che qualcosa sarebbe migliorato e per un attimo si lascia andare e piange. Devo ricordargli allora chi è e quante cose belle ha fatto. Perché è sempre stato uno con le spalle scoperte, niente eredità, aiuto dai genitori precari più di lui, e comunque è andato avanti e lui si chiede se la vita sia tutta qui ed è giusto che lo faccia. Gli dico che se vuole smettere, fare pausa, prendiamo e andiamo in un posto lontano, un piccolo luogo in cui poter trovare lavori per sfamarci e comunque senza la pressione impellente dei doveri quotidiani. Giusto quello che ci serve per sopravvivere. Il mio è un sogno un po’ da frikkettona, lo confesso. Lui non è così. Ha i piedi piantati per terra. Ha fatto tutto da solo, ha lavorato e studiato, si è fatto il culo così e poi è una persona bella, davvero bella, intimamente serena e mi dico che anch’io devo essere un po’ bella per essermelo meritato.

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MalaRazza e la capanna di cassette della frutta

Ogni volta che guardo le cassette della frutta vicino alla cucina o quelle che ho sistemato all’ingresso, per metterci le scarpe e poggiarvi sopra chiavi e posta e altre cianfrusaglie, mi rendo conto del fatto che ci vuole creatività nell’essere precari. Quelle cassette rappresentano il mondo così come lo viviamo. Adattandoci e occupando spazi limitati per restarvi dentro senza che appaiano come prigioni. Quelle cassette le ho prese al primo trasloco, per metterci dentro cose da trasportare, e alla fine le ho sempre portate con me. Il mio compagno vorrebbe gettarle via ma per me restano un simbolo irrinunciabile. Mi ricordano chi sono e cosa sto facendo.

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MalaRazza: storia di una coppia precaria

Ho deciso di raccontarvi di me e di quello che mi succede aderendo all’appello di Abbatto i Muri. Non posso esaurire tutto in poche parole, quindi scriverò più post per cercare di descrivervi la mia situazione meglio che posso. Devo spiegare intanto la scelta di darmi il nome “Malarazza” perché lo sono, una di quelle che non si lamentano e che tirano fuori i denti. Il fatto è che serve a poco o, qualche volta, abbastanza.

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