di Inchiostro
Ho sempre odiato scrivere recensioni, o comunque valutare il lavoro d’altri, analizzarlo, scomporlo, giudicarlo. Anzitutto perché non me ne reputo capace, in seconda battuta perché lo trovo un po’ ingiusto: alla fine, per quanto uno possa essere oggettivo, dà sempre un parere filtrato dal proprio gusto personale, e quindi parziale di un qualcosa che è di certo più ampio.
Per questo motivo non farò una recensione canonica, quanto un racconto, dal momento che credo anche impossibile scrivere un saggio – breve o lungo che sia – su un saggio. O, se non impossibile, tautologico, ma ammetto sia questione di punti di vista.
Ciò detto, ho avuto tra le mani per la prima volta Le Indomabili – Storie di donne rivoluzionarie perché un mio caro amico mi ha fatto il favore di regalarmelo. All’inizio, ammetto, mi aspettavo l’ennesimo libro – barra – iniziativa commerciale su personalità ribelli di svariato tipo, senza una linea ben definita, una di quelle accozzaglie dove i termini ribelle e ribellione sono un po’ falsamente ripuliti del loro significato originale – quello stirneriano, nella mia opinione personale – e trasformati in qualcosa che, al contrario, è al massimo accomunabile alla trasgressione.
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