Tratto da “Pop Culture Advice: Should Straight Actors Play Gay Roles?”
Di Carson Blackwelder@cblackwelder
Verso la fine della guerra fredda (e pure calda) tra i sessi
Tratto da “Pop Culture Advice: Should Straight Actors Play Gay Roles?”
Di Carson Blackwelder@cblackwelder
Giuro che non vi capisco, gente. Opposizione, femminismo, diritti lgbt, antirazzismo. Ma perché affaticarsi tanto? Ho deciso: io amo Salvini. Così come amavo il mio ex marito che ogni tanto cercava di uccidermi. Ma lo faceva per amore, no? I rapporti morbosi sono una bella cosa dopotutto. Anche se per un pelo non sono rientrata tra le statistiche dei femminicidi.
(Avvertenza: articolo scritto da una donna etero, da lì l’uso dei pronomi, senza intenzioni discriminatorie. Vi prego, adattate pure alla vostra esperienza.)
Non sono monogama. Dirlo in pubblico è una vera e propria liberazione, un coming out. Recentemente mi sono resa conto che lo nascondo in automatico, anche solo per omissione; mi sono adattata da sola allo schema mentale che considera la monogamia come l’unico comportamento accettabile e presentabile nella nostra società. Qualsiasi altra cosa è una malvagità, una perversione, un vizio censurabile.
Continua a leggere “Non sono monogama e dirlo è una liberazione”
Lui scrive:
Ciao,
non so esattamente cosa sto scrivendo, né a chi sto scrivendo, ma sento l’urgenza di buttare fuori un po’ di rabbia perché potrei soffocare, stasera più che mai. Chiedo scusa a chiunque stia, in questo momento, dall’altro lato dello schermo perché forse ha di meglio da fare che leggere lo sfogo di uno che ha imparato tardi anche ad allacciarsi le scarpe e non ha mai imparato a difendersi dalle parole. Questo non è il mio vero nome e, naturalmente, questo non è il mio vero contatto. Ciò mi permette, forse per la prima volta in tutta la mia vita, senza timore, né imbarazzi, di raccontare un po’ di cose, di sputare un po’ di veleno e pregare di guarire, anche solo per un paio di ore, perché sono Continua a leggere “Mi chiamavano “femminiello””
Questa è una traduzione militante, a cura di Antonella, dell’articolo “Your sex is not Radical” di Yasmin Nair, del 27 giugno 2015)
Lei scrive:
Ciao Eretica,
Da tempo seguo la tua pagina ed ammiro fortemente tutto ciò che fate per far si che si possano abbattere gli infiniti muri, fisici ed ideologici che limitano la libertà di ogni essere umano, uomo o donna che sia.
Il primo episodio di cui ho memoria è questo: ho di certo meno di cinque anni. Lo so perché abitavamo ancora in quella casa in affitto al pian terreno. Anno forse 1970. Provincia. Centro Italia. Domenica mattina. Si va a messa tutti insieme (fatto inusuale, che fosse Pasqua?) e io voglio mettere i pantaloncini. Non posso. Perché? Perché le bambine mettono la gonna. Ma io non la voglio la gonna. Strepito strillo e divento verde (anche questo era piuttosto inusuale: ero una bambina generalmente quieta) ma non c’è verso. Quando insisto mi dicono che è una regola del prete, che in chiesa le bambine con altro che non sia una gonna non le fanno entrare. Cedo quando proprio sono esausta. Anche mia madre lo è. Mio padre minaccia punizioni e mia sorella più grande cerca di rabbonirmi. Continuerò a singhiozzare per un bel po’.
La foto di me qui accanto dice chiarissima una cosa: su tante cose avevano ceduto, in famiglia. È il 1976. Mio zio ci mette in posa, me, mia sorella e i miei cugini. Siamo sul lungomare e io sfoggio un completo verde ramarro ovviamente con dolcevita rosso mattone, occhiali a goccia con montatura dorata, posa da playboy decenne. Ero un maschio? No. Mi sentivo tale? Non lo so. So solo che ogni volta che mi si appellava come tale io non sapevo bene come reagire. Mi comportavo come se lo fossi. Questo è certo.
C’erano parenti che mi chiedevano ridendo “Ma tu sei un bambino o una bambina?” e quella volta che io risposi pronta (ci avevo pensato su, a quella risposta) che ero un incrocio (dissi proprio così, come fossi un cucciolo), un incrocio tra un maschio e una femmina, un mio zio disse con grande ironia a beneficio dei presenti “Su questo non ci possiamo sbagliare!” e tutti a ridere. Era una cena di famiglia e io divenni paonazza e come spesso accadeva mi rifugiai in bagno a piangere di rabbia (credevo di aver detto una cosa intelligente e invece no).
Lei scrive:
Cara Eretica, ho seguito la discussione sui bambini transgender e vorrei esprimere la mia opinione se me lo permetti. Non voglio insegnare niente a nessuno. Voglio solo raccontare la mia storia. Sono nata maschio ma mi sentivo femmina. Non ho avuto la fortuna di crescere in una famiglia che mi appoggiasse. La mia famiglia ha una istruzione media, è ignorante su molte cose e pensava di fare il mio bene quando mi ha proibito di indossare abiti da femmina o di giocare con le bambine. Mia madre, soprattutto, esprimeva preoccupazione per il mio futuro e tentava di convincermi che si trattava di una “fase”. Oh, quante volte me lo sono sentita dire. Tutta la mia vita, secondo molte persone, è stata ed è ancora una “fase”.
Continua a leggere “Quando la famiglia non supporta una bambina transgender”
Lei scrive:
Ciao Eretica! Non sai quanta ansia mi sale nello scriverti questo messaggio. Non sarò breve, mai scritto bene, mai avuto dono della sintesi. Vorrei riportare qui la mia storia tuttavia in forma anonima perché mi sento disturbata dal giudizio a riguardo. La affido a te perché nonostante non ti conosca e a volte non ti capisca mi sento rafforzata nell’animo forte dei tuoi post e nel tuo modo così lontano dal mio nel saper portare avanti guerre difficili con tutta questa determinazione priva di violenza. Sono nata nella fortuna. Sono stata cresciuta all’insegna della conoscenza scientifica e dell’amore per l’arte. Mi hanno tirata su ad apertura mentale e dialogo, mi hanno spinta a comprendere il mio valore e quello altrui, lontana da ogni sessismo, fascismo, razzismo, antisemitismo. Nonostante quest’idilliaco inizio sono una di quelli che porta “la bestia” dentro.
Lei scrive:
Cara Eretica,
Ti leggo spesso con piacere e stima per le battaglie che porti avanti.
Ho pensato di scriverti per sfogarmi raccontando un po’ della mia storia, che in questi giorni come non mai mi fa sentire esausta, stanca di stigma e pregiudizi.
Il recente attentato a Nizza, in particolare, è stato motore di alcuni riflessioni che covavo dentro da tempo.Continua a leggere “Lo stigma fa più male della follia: la mia storia”
Lei scrive:
[02-06-2016] – È da tanto che penso di scrivere questa pagina di diario, ma da sempre rimando.
Mi chiamo….no, non mi chiamo, il mio nome non ha importanza, potrei essere chiunque, la tua amata sorellina, la tua timida vicina di casa, la stronza che ti isola a scuola, l’insopportabile secchiona, la strafiga che invidi il sabato in discoteca. Ho quasi 17 anni, i miei genitori sono separati, vivo con mia madre e il suo compagno.
di M.
Non dico mai, o quasi mai, “sono depressa”. Non la voglio come etichetta addosso, non la sento come descrittiva della mia identità. Forse sono io, forse sono anche depressa, ma è solo una delle identità che mi attraversano. Piuttosto dico “sto affrontando una leggera depressione”. Che poi leggera e depressione vicine mi fanno abbastanza ridere, ma è quello che ha scritto il medico di base quando gli ho chiesto di mandarmi da uno psichiatra per farmi dare delle medicine. Ha scritto “leggera depressione”, e io lo uso, lo dico, “leggera”, perché mi fa sentire meno peggio: non depressa, “leggermente depressa”.
Continua a leggere ““Non sto tanto bene”, o la rivendicazione politica della depressione”
Sono maschio, bianco, eterosessuale. Sono nato e cresciuto nel nord Italia, in una paese di provincia rosso, solidamente amministrato dal PC dal dopoguerra in poi. Una terra ricca e strana, in cui tutti, quasi per codice genetico, andavano alla Festa dell’Unità, ma molti lo facevano scendendo dalle ville in Mercedes. Una terra in cui Bella Ciao e Allende e i Tupamaros e Che Guevara, ma anche i versi stonati dal lambrusco di “Nessuno più al mondo deve essere sfruttato” e “Contessa”, convivevano allegramente con un radicato pregiudizio contro i “taroni” che era ben più antico di Bossi & Co. Una terra di sinistra in cui l’insulto più sanguinoso che un uomo potesse ricevere era “culano”.
Continua a leggere “#Omofobia: evitate di trasmettere pregiudizi alle generazioni future”
In questi giorni, tra gli altri pretesti usati da chi ama insultare gay, lesbiche, trans, famiglie omogenitoriali, femministe and so on, troviamo anche una presunta dichiarazione della figlia di un marò in cui lei fa coming out e si schiera dalla parte delle persone che lottano per le unioni civili.
Ci sono molte persone, tante donne, che mi scrivono a proposito della loro depressione. Sono narrazioni consapevoli, lucide, sebbene intrise di un gran senso di impotenza, a testimoniare il fatto che dietro una persona depressa non c’è qualcun@ che non capisce, che non sa quello che sta succedendo. E quella consapevolezza è come un corpo dentro un corpo, una vita dentro una vita, che lotta per uscire fuori e marciare ad altre velocità. Oppure. Ci sono quell* che raccontano di una quasi serena convivenza con quello di cui soffrono.
Continua a leggere “#Depressione – quando il cervello viaggia con le finestre aperte”