Autodeterminazione, Personale/Politico, R-Esistenze, Salute Mentale

Posseduta da un diavolo laico

Mio padre soffriva di paranoia, ansia, cambiamenti d’umore repentini e attacchi di una violenza incontrollata che ho sperimentato sulla mia pelle. Suscitava terrore sentirlo tornare a casa e poi non gioiva ad essere contraddetto. Lui era l’autorità massima, il patriarca, senza dimestichezza reale col ruolo, con una schizofrenia di base che lo lasciava a mugolare quando non trovava il pranzo in tavola e a urlare e lanciare oggetti quando la famiglia dimostrava coi respiri la propria esistenza. Mia madre gli dava quella che si chiamava Valeriana, una sostanza vegetale per calmarlo, salvo poi giustificarlo per qualunque azione aggressiva e sessista contro i figli.

La prima femmina di casa era malata, non donna fatta e finita, senza aver avuto accesso al menarca per la sua anemia. L’unica figlia che visse il passaggio dall’infanzia all’adolescenza fui io, non senza traumi e ritorsioni. Quella femminilità sbocciata doveva subire mortificazioni, affinché fosse assoggettata al volere paterno. Se nell’infanzia tentavo di compiacere come potevo quel padre padrone, ascoltando mia madre che mi attribuiva ogni colpa per i suoi, di lui, scatti d’ira, nell’adolescenza mi ritrovai a tracciare un percorso nuovo. Ero la prima, in assoluto. Mia sorella era sempre stata in ospedale o a medicarsi e a studiare. Per mio padre non era neppure una donna. Era la malata, la croce nefasta di cui portare il peso. Poi c’ero io, apparentemente sana, tristemente introspettiva, dedita a letture e scrittura, in cerca di angoli di pace che mi salvassero dalle urla paterne e dalle moine educative materne.

Il mio ruolo era ben definito: aiutare la mamma, dall’infanzia in poi, aiutare la sorella, non permettermi alcun capriccio, non provare alcun sentimento che contrastava quegli equilibri. Cominciai a rispondere a tono senza saperlo, all’improvviso, e le reazioni furono violente. Mio padre mi chiamava “troia, puttana” e picchiava, mia madre lesinava comprensione per il suo ruolo di martire, mio fratello mi odiava perché rompevo i silenzi imposti e scuotevo l’ordine che mia madre tentava di creare pur se in quel contesto morboso e disfunzionale. Mia sorella poteva permettersi il lusso di dirmi come vivere, sebbene lei non avesse esperienza in fatti adolescenziali. Non c’erano amori, né desideri sessuali, né volontà di scindere quella dipendenza. Piuttosto cercava di creare un legame con mamma e scacciava il padre fuori dal clan. Si sostituiva a lui in una metodica e salvifica azione finto-femminista per sfogare così i suoi rancori e in qualche modo togliergli quel che lui aveva tolto a lei: la dignità di sentirsi donna nonostante la malattia; la dignità di sentirsi persona e non solo un peso per la famiglia.

Le mie esigenze erano invece molto meno contorte. Le prime cotte, i primi sbalzi ormonali, volevo piacere e piacermi. Mia sorella mi diceva, demolendomi, da bulla, che le mie gambe erano tozze e che il mio volto era butterato per il trucco. Non mi truccavo ancora, non ne avevo alcuna possibilità. Quel che lei nascondeva era la gelosia per una vita che non avrebbe potuto vivere e che io ho vissuto piena di sensi di colpa. Per ogni orgasmo ricevuto e dato, per ogni innamorato incontrato, per ogni richiesta d’indipendenza che mi sciogliesse da quel vincolo infernale. Mia sorella aveva il vizio, fin da piccola, perché pensava fossi la preferita di papà, di indurre incidenti che mi ferivano. Strattoni sulla scala, manate a cinque dita i cui lividi restavano sulle cosce a lungo. Lei era malata e io non potevo toccarla. Mi restava solo il lusso di urlare, di tanto in tanto. Quelle urla, quella disperazione, dell’adolescente che voleva sfuggire quella vita penosa, divennero un mezzo di comunicazione e uno stigma. La pecora nera, il sangue pazzo, una da esorcizzare. Non che i miei fossero clericali. Credenti ma anticlericali, comunisti, di sinistra, con la stessa sessuofobia staliniana traslata nel nostro contesto. Le crisi di violenza paterna erano solo lo sfogo di un uomo perbene. I miei sfoghi erano la prova provata di una tendenza a diventare un mostro, ad allargare le cosce al diavolo, a spingermi oltre i comandamenti sul rispetto e la santificazione della madre e del padre.

Leggevo tanta roba di piscologia, per capirmi e capire, fin da piccola. Alternavo quelle letture a quelle sulla rivoluzione d’ottobre che mio padre mi imponeva come sapere da portare a scuola. La professoressa delle medie, cattolica sebbene progressista, mi diede un voto bassissimo. Non avevo colto la lezione sui totalitarismi. Hannah Arendt non era ancora tra le mie filosofe preferite. Non si trovava neppure in biblioteca. Quel che era giusto era il modello suggerito da mio padre, intuitivamente antifascista ma violento in casa. Patriarca post-moderno ma senza un filo d’attenzione per una figlia che costrinse alla miopia senza lenti finché fu richiamato dalla maestra. Tutto ciò che dicevo o facevo o chiedevo erano capricci. I miei bisogni non erano nulla in confronto al male supremo vissuto da mia sorella. Alla sua ombra dovevo seguirne le orme, riverirla, soccorrerla e curarla per poter essere assimilata dal clan e godere di quel falso senso di sicurezza che ti dà l’appartenenza. Quando scelsi di non appartenere rimasi sola. Costretta ad un matrimonio riparatore, poi picchiata anche dal mio ex, ma tutto ciò è storia già narrata. Quel che non potevo vivere era un’adolescenza fatta a misura di adolescente.

Dovevo supplire ogni carenza di mia sorella e dimostrare di essere brava quanto lei nello studio. Dovevo smettere di vivere, pensare, respirare, amare, calarmi nel ruolo della malata. Questa cosa veniva favorita al punto che quando arrivava il tizio con la siringa anche io e mio fratello scoprivamo i culi perché ne volevamo un po’ per noi. Essere malati per essere amati. Poi smisi, continuai con la mia vita e ad un certo punto mia sorella riapparve, gelosa ancora, a insinuarsi tra le mie amicizie, nel mio luogo di lavoro. Pensavo fosse sincera, invece voleva fottermi. Quando si aggravò e si trasferì da me, con madre e gatti al seguito, mi espropriò di tutto. la mia vita, la mia casa, i miei tempi, i miei rapporti con chiunque. Dovette passare qualche anno prima che accettassi un lavoro altrove, lontano, dove non potesse raggiungermi. Eppure mi ricattava, come sempre, tenendomi legata a quell’infame accordo familiare. Mi@ figli@ non volle partire con me. Era grande, non potevo costringerl@ e mia madre non lo permetteva. Espropriata di tutto, poi a udire telefonate minatorie su quanto l’altr@adolescente manifestasse stessi sintomi a loro incomprensibili. Perciò volevo che stesse con me. Non è andata.

Ora che mia sorella è defunta il clan è spezzato, ciascuno per fatti propri, di alcuni non ho notizie né mi serve averne. Sono adulti, facciano ciò che vogliono. Ma continua a macerare il senso di colpa per essere sfuggita al ruolo di cura e non essermi adattata alla mitezza richiesta poiché indicata per una fanciulla leggiadra ed eterea come avrei dovuto essere. Sono così cresciuta pensando di essere brutta, tozza, da lì i disturbi alimentari, pensandomi in difetto per ogni cosa, da lì i sensi di colpa e di inadeguatezza, pensando di essere una fallita, da lì ogni azione autosabotatrice ogni volta che mi sembrava di raggiungere un’opportunità. Non riavrò la mia adolescenza perduta, non riavrò indietro gli anni trascorsi a cercare di compiacere tutti, in ogni caso nessun rimorso. Quando c’è una guerra in corso e ti attaccano, aggrediscono ogni parte di te, si combatte, con ogni mezzo necessario. Ed è sfibrante dover indossare una divisa che dismetto dimenticando a volte che quella cultura non era solo parte della mia famiglia ma è ovunque. Mai rilassata, mai quietamente docile e compiacente, mai disposta a scendere a compromessi. Io sono io, il frutto di quel che mi hanno imposto e di quel che ho scelto.

Se c’è un esorcismo che doveva essere praticato era quello per sradicare la mia famiglia da me. Per diseducarmi al sessismo e rieducarmi all’antisessismo. Per restituirmi ogni momento in cui ho pensato, illudendomi, di contare qualcosa per qualcuno, scoprendo di essere orfana, circondata da soggetti dediti a miseri stratagemmi egoistici per poter tracciare linee di potere con chiunque. Io, sconfitta, mi sono ritirata altrove. Quella guerra non mi apparteneva, sebbene mi raggiunga ogni volta in forme diverse. Un giorno o l’altro però troverò il modo per dichiararmi orfana per scelta, per non dover rispondere a nulla e nessuno. Nulla mi hanno dato e nulla restituirò. Fuoco e fiamme mi hanno lanciato e fuoco e fiamme lancerò. Il sangue mestruale che in me sgorgava, in mia sorella no, quello che veniva visto come peccaminoso e rischioso, è stato il mio urlo di libertà. Godetevelo, se vi capita, e seminate terrore, perché quel sangue procura panico in ogni struttura patriarcale che non sa più come controllare i vostri corpi e la vostra sessualità.

Con amore, sveglia per fine effetto farmaci,

Eretica Antonella

Una tantum
Mensile
Annuale

Donazione una tantum

Donazione mensile

Donazione annuale

Scegli un importo

€1,00
€5,00
€10,00
€5,00
€15,00
€100,00
€5,00
€15,00
€100,00

O inserisci un importo personalizzato


Abbatto I Muri vive di lavoro volontario e tutto quello che vedete qui è gratis. Aggiornare e gestire questo spazio è un lavoro che costa tempo e fatica. Se mai vi passasse per la mente di esprimere la vostra gratitudine basta un obolo per un caffè (alla nocciola). :*
‘Abbatto i muri’ is a blog and an online platform run by a volunteer called Eretica. It aims to raise awareness of Intersectional feminism. It also tries to support the LGBT community in Italy and victims of domestic violence and many other issues which occur in Italy.
Grazie davvero a chi vorrà contribuire alla causa!

Apprezziamo il tuo contributo.

Apprezziamo il tuo contributo.

Fai una donazioneDona mensilmenteDona annualmente

7 pensieri su “Posseduta da un diavolo laico”

  1. Questa storia mi ha colpito molto e quasi schiacciato. Nessuna dovrebbe essere prigioniera della propria famiglia, ma scegliere la propria strada, essere incoraggiata. Purtroppo spesso non è così, ma abbiamo risorse per sopravvivere e tornare a vivere pur con pezzi di vita disastrosi. Sei forte! Ti stimo tantissimo e ti mando un abbraccio. Low✊️

    1. La mia famiglia è accentratrice perfino se monca di alcuni membri. Non perseguiva l’indipendenza di tutti ma la loro dipendenza e il controllo. Ne parlerò perché è essenziale che si colga la differenza.

Rispondi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto Twitter

Stai commentando usando il tuo account Twitter. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.