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Fame da morire: disturbi alimentari e info generali

Qualche riflessione sui disturbi alimentari. Non riguarda solo le mie abbuffate, l’immobilità conseguente, la voglia di procrastinare e delegare, l’isolamento, l’incapacità di riprendere il controllo. Non riguarda l’irritabilità, la sonnolenza dovuta a farmaci e al metabolismo messo a dura prova. Ho tentato di darmi delle regole, una sorta di disciplina. Il divano non è più il mio luogo preferito ma mi sposto alla scrivania che mi spinge a leggere e lavorare meglio. La bulimia si compone di una dipendenza patologica da cibo. L’incapacità di autocontrollo rivela scarsa autostima e se l’autocontrollo consuma zuccheri cosi si spiegano le ricadute e la voracità per i medici. Qualcuno dice che nel cervello di una bulimica la dopamina viene consumata troppo alla svelta e ne consegue la ricerca di un piacere effimero che deriva dall’abbuffata.  Sulle persone affette da disturbi alimentari ricade lo stigma da puritanesimo igienista o salutista. Lo stesso che viene citato da chi chiama devianze anoressia e bulimia. È utile sapere che l’immagine del corpo su un preciso peso medio ha origine dalle ricerche delle aziende che facevano assicurazioni sulla vita in America e che hanno imposto a tutti il loro cifrario statistico, incluso peso e forma media del corpo “sano”. Viene meno l’interpretazione soggettiva della nostra immagine, senza contare le differenze di etnia e fisicità nei differenti luoghi del mondo. Il mio culo da afro-siciliana non avrebbe mai ottenuto il patentino di salute “giusta” da un’azienda USA di assicurazioni sulla vita che viene formulata scandendo i criteri di salute di un corpo meritevole di una polizza sulla quale l’azienda investe senza rischiare di dover pagare perché la persona assicurata muore anzitempo.

Si sviluppa a partire dall’amore per il corpo magro e androgino una sorta di dismorfismo corporeo che rivela l’immagine distorta che abbiamo di noi. La storia di donne mediterranee e siculo formose ne esce totalmente sconfitta. Da lì si sviluppa un’ossessione, un’idea prevalente che ha per oggetto la forma e il peso del corpo. I disturbi ossessivo compulsivi sul corpo e il cibo riguardano entrambi i generi. Si vive di asimmetrie tormentate che diventano ossessioni e impulsi e si traducono in gesti per preordinare ostacoli mentali che non facilitano il superamento delle ossessioni e del disinnesco psicopatologico. Il disturbo da dismorfismo del corpo viene riconosciuto nel DSM 5 ed è descritto come ossessione ed estraneità e vergogna del proprio corpo. Tra le varie ossessioni si cita la bulimia nervosa con compensazione fisica. In questo caso non avviene compensazione attraverso il vomito ma si cerca in ogni modo di consumare calorie attraverso l’esercizio fisico o l’uso di purganti. L’odio del corpo ha anch’esso un’origine culturale, così come la sua soluzione in termini di compensazione e digiuno. Se il disturbo riguarda l’immagine del corpo non si può non ricordare Santa Caterina da Siena e il suo digiuno ascetico. E in quel caso si parla di rifiuto del cibo in ogni caso. C’è un altro aneddoto da citare: molte donne erano vittime di padri che le donavano a Dio in monasteri dove l’anoressia si praticava e si raggiungeva in termini di vicinanza ed elevazione alla santità.  Lì si praticava la mortificazione del corpo. Per rafforzare la volontà propria, rispetto alla propria identità, le donne si ritiravano in digiuno a pregare e una in particolare, la principessa Margherita, poi canonizzata, smise persino di lavarsi e morì a 28 anni pur di mostrare autonomia contro il padre.

La canonizzazione classifica l’anoressia in questo caso come mirabile inedia, stabilisce che la magrezza sia uguale alla santità, che corrisponda all’attivismo, vale a dire che di una persona magra si riteneva che fosse non pigra e quindi non piegata alle volontà altrui, non facile alle possessioni demoniache. Al di là di questi aneddoti la prima versione di definizione medica è quella di anoressia isterica. Quando si resero conto che riguardava anche gli uomini la definirono anoressia nervosa. Riguardava sempre e comunque una distorsione dell’immagine del corpo. Si parla di bulimia nervosa solo a partire dal 1979 come variante dell’anoressia ed evoluzione del digiuno. Nella bulimia si riscontrava un peso corporeo normale o obeso se le abbuffate avvenivano senza compensazione. Anche la bulimia ha una radice storica: i romani voraci e ingordi, riuniti in banchetto, vomitavano per poter continuare a mangiare. Ciò non ha attinenza con la distorsione della visione del corpo né con la dipendenza da cibo come fosse una droga. Il DSM 5 parla dell’abbuffata compulsiva con compensazione, descritta come uso di clisteri per esempio, si riferisce al divorare ossessivamente, parla di disturbo della percezione del corpo, definisce il livello di gravità a seconda del numero di episodi di abbuffate. Più di recente tutto ciò viene definito Binge eating disorder, ovvero ancora bulimia senza compensazione, alimentazione incontrollata, l’ossessione di mangiare quantità di cibo che servirebbe a nutrirti per una settimana, la tendenza ad abbuffarsi da soli per disgusto verso sé stessi, la conseguente vergogna, l’uso di purganti.

Si parla di remissione se gli episodi di abbuffata diminuiscono, immaginando che la diminuzione corrisponda alla fine del disturbo. Da bulimica dico che non è così perché si può stare interi periodi a non abbuffarsi ma quella tendenza resta e si ripresenterà. La bulimia senza compensazione porta in genere all’obesità, che non corrisponde ad una grassezza definita quanto ad un livello molto alto di adiposità (più massa grassa che magra, meno muscoli). In quella situazione si tentano diete che portano depressione, disturbi d’ansia, continuando a soffrire della distorsione dell’immagine del proprio corpo. Gli attacchi di abbuffata compulsiva corrispondono ad uno dei modi in cui si pratica autolesionismo. Non si prova spesso alcun piacere ma ci si fa del male. Il cibo domina il corpo e la bramosia di un certo tipo di cibo, per esempio i dolci, associata alla bulimia, non produce sazietà perché il disturbo porta a cibarsi di qualunque cosa incluso ciò che non piace. Se ci si lancia ossessivamente verso un cibo che piace si parla di comfort food che favorirebbero alterazioni dopaminergiche e serotoninergiche. Chi studia e fa ricerca nelle neuroscienze parla di cause chimiche, di neurotrasmettitori che non funzionano bene, di processi sinaptici alterati, di processo disfunzionale che dà luogo a pensieri e comportamenti patologici. In realtà diventa un modo comodo per non analizzare le cause che favoriscono l’insorgere di tali disturbi.

Parlo di donne adolescenti che hanno subito traumi legati in maniera forte alla questione di genere. Parlo di fattori traumatici, separazioni e lutti, violenze, di cui non si tiene conto. In Italia pare che più che in altri posti si pratichi il TSO, con minaccia alla libertà e imposizione della cura e del nutrimento. Pare che in Italia, rispetto al resto dell’europa, si realizzino i ricoveri con trattamenti coatti con una percentuale più alta. Tali metodi probabilmente sarebbero da evitare perché viene intaccata l’autonomia del soggetto e aumenta l’angoscia di espropriazione di sé (se il problema è che si vuole avere il controllo la perdita di esso non favorisce alcuna guarigione). Si fa largo uso di psicofarmaci e per quel che riguarda i disturbi alimentari e soprattutto la bulimia si cita spesso la fluoxetina. Con me non ha funzionato. Anzi mi ha prodotto effetti deleteri. Per l’anoressia si parla di sostanze a base cannabinoide, dovrebbe produrre fame chimica. Qualcuno parla della somministrazione di ossitocina che è la sostanza prodotta quando sei incinta perché diminuisce l’attenzione al cibo, nel caso della bulimia. Non credo sia in commercio e nessuno me l’ha mai proposta. Qualcun altro – nostalgico – non demorde e parla di elettroshock con stimolazione di aree del cervello transcranica. Poi c’è la soluzione chirurgica che riguarda la bulimia. I più rispettosi dell’individualità dei soggetti affetti da disturbi parlano di cure multidisciplinari e denunciano l’intensa medicalizzazione coatta che sostituisce l’assenza di ascolto.

C’è chi parla di danni metabolici prodotti dai farmaci e anche dei danni conseguenti alla chirurgia bariatrica, che non risolve, lo dico per esperienza, perché se prima l’abbuffata si componeva di un’unica grande e continua attività ossessiva nei confronti del cibo, nel tempo post intervento bariatrico, con stomaco ridotto e quindi con la risposta all’abbuffata che in prevalenza si traduce in rigurgito, si continua nel disturbo con un piluccamento infinito che non dismette il sintomo bulimico. Manca uno studio delle vulnerabilità in senso preventivo, quindi l’attenzione agli stigmi sul peso e sul corpo e l’attenzione alle relazioni familiari. Manca un’analisi sull’ansia manifestata in relazione al peso come sintomo prodromico all’anoressia. Manca anche un’analisi sul sintomo che precede la bulimia in termini di ruminazione sul peso.

Spero che queste note e riflessioni, tratte da documenti, articoli e libri, possano esservi utili e continuerò poi con altri post la mia storia clinica nella battaglia contro la mia bulimia. 

Eretica Antonella

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