Antiautoritarismo, Antifascismo, Autodeterminazione, Contributi Critici, Culture, R-Esistenze, Salute Mentale

Di devianze, manicomi, stigmi e cose da ricordare se parliamo di malattie mentali

Le ultime affermazioni, gravissime, da parte di fascisti che continuano a parlare di “devianze”, riferendosi a disturbi fisici e/o mentali, richiedono una ulteriore analisi. Il punto è che si tratta di opinioni diffuse e ancora culturalmente legittimate, poiché siamo in un periodo di pieno revisionismo storico serve delineare un quadro di quel che era ed è in relazione alla psichiatria. Dalla monarchia al governo fascista, con il codice Rocco, la malattia mentale veniva definita devianza dalla norma in senso antisociale ed era trattata come un problema di ordine pubblico. Manicomi e carceri erano simili nel ruolo di contenimento della “devianza” per consentire maggiore tranquillità sociale. Lo psichiatra era  – per dirla alla maniera usata da Franco Basaglia – un funzionario del consenso che agiva in senso repressivo per lenire il conflitto di classe. Le istituzioni manicomiali erano strapiene di gente povera e che non rispettava le norme imposte. Non era diverso dalla destinazione d’uso fatta dai nazisti nei campi di concentramento. Quando Basaglia e i suoi colleghi arrivarono nel manicomio di Gorizia trovarono reparti stracolmi di persone definite come deviati cronici, la cui cronicità era documentata in appositi registri che venivano custoditi in questura. Si riteneva che il malato mentale fosse un criminale, veniva considerato tale, pur se non aveva mai commesso alcun crimine. I metodi usati per il contenimento di questi “deviati” andava dalla legatura mani e piedi, dall’imprigionamento con gabbie lucchettate disposte attorno ai materassi, dall’obbligo di indossare il “corpetto” o camicia di forza, dall’elettroshock punitivo, dalla strozzatura della persona malata mediante panno bagnato, premuto sulla faccia, mentre qualcuno versava altra acqua. Vi ricorda qualcosa? 

Le condizioni igienico sanitarie delle persone nei manicomi erano terribili e per fortuna non c’erano più persone lobotomizzate, con metodo caro in epoca vittoriana. Lo psichiatra era un direttore del carcere e gli infermieri agivano da secondini. Devianza era il termine usato per definire una categoria di pericolosità sociale, secondo le logiche anacronistiche lasciate in eredità da Lombroso con il suo corollario di maschere funeste e criminali riconosciute a partire dall’aspetto. I vecchi baroni della medicina psichiatrica dell’epoca tentarono di arginare il conflitto con le nuove generazioni affermando l’universalità della scienza. Quando i giovani medici tradussero con ciò che la scienza non era affatto neutra, né lo è oggi, rifiutarono di essere tutori dell’ordine, di farsi specialisti in legittimazione al soldo della classe manipolatoria al potere. Stabilirono che la diagnosi non poteva essere un giudizio di valore e che il manicomio rappresentava la morte civile per migliaia di persone costrette in zone chiuse che rafforzavano le gerarchie al potere. Trovarono anche molte persone che presumevano fosse saggio praticare l’identificazione con gli aggressori, i tutori, i fascisti, i potenti, dai quali, come riconoscimento, ricevevano il “bacio della morte” noto nelle dittature perché sviliva e imprigionava il dissenso con pratiche repressive. Nel caso dei manicomi affermare che la scienza fosse universale e neutra stabiliva una linea di manipolazione e repressione viscida, subdola, ambigua, perché si diceva che l’aggressione andava praticata per il bene dei pazienti. Basaglia e colleghi iniziarono con l’apertura dei reparti, poi la dimissione di casi che non richiedevano il ricovero, notando che in molti casi vi erano persone che non potevano essere dimesse perché non avevano nessuno e non c’era una soluzione sociale per loro. Coinvolsero i pazienti in assemblee quotidiane, con medici e infermieri, riuscirono a collocare pazienti in luoghi di lavoro a paghe minime. Il processo è noto ed è documentato nei libri a firma Franco Basaglia e altri.

Allo stesso tempo combattevano lo stigma che gravava sulle persone che venivano definite solo per la malattia mentale diagnosticata secoli prima. Iniziarono procedimenti di recupero e quando aprirono i reparti lasciarono che i pazienti vestissero come volevano, senza divise che li rendessero oggetto di pregiudizi. Pensavano tutti che i pazzi liberati avrebbero danneggiato moralità e serenità sociale, in realtà non accadde nulla, anzi quel luogo divenne l’epicentro di un terremoto che coinvolse indagini su ogni manicomio esistente nel Paese. Strutture, come carceri, costruite in luoghi isolati, con recinti e spesso in condizioni fatiscenti. I manicomi vennero riconosciuti per quel che erano: una vergogna, in cui veniva praticata disumanizzazione e tortura. Luoghi di segregazione e non di guarigione, assistenza e cura. La legge 180 arrivò alla fine di quel lungo percorso durato anni, con una discussione parlamentare che – per chi avesse voglia di consultarla – somiglia tanto a quella relativa la legge 194 (sull’aborto) e non a caso. Il controllo dei corpi delle donne, criminalizzate perché chiedevano di poter scegliere liberamente, ed il controllo dei corpi di persone segregate perché definite “deviate” (includendo omosessuali, trans e lesbiche), era difficile da cedere. Era il tempo in cui le battaglie per i diritti civili fornirono ampio respiro a tutti. Le battaglie si sommavano, dalla lotta di classe, alle battaglie di genere, tutte confluivano nella manifestazione di una idea di produttività che non corrispondeva né a quella vergata dai capitalisti né a quella sancita dai conservatori e dai fascisti. La schiavitù riproduttiva si sommava alla schiavitù produttiva di ogni soggetto ritenuto deviato e deviante se non seguiva ritmi, tempi e modalità indicate da chi stava al potere.

In Manicomio perché fuori norma

Tra i tanti c’erano anche soggetti traumatizzati dalla guerra, a Gorizia molti Jugoslavi (dell’epoca) pativano l’enorme carico della sconfitta di resistenze di cui non abbiamo memoria. C’erano poi tante donne che non seguivano le norme di ruolo imposte. Ricordo che la prima moglie di Mussolini fu reclusa in manicomio perché lui voleva liberarsi di lei e del figlio di cui si seppe solo più tardi. In un tempo in cui non esisteva il divorzio era facile per gli uomini praticare morte sociale ai danni delle mogli. La reclusione in manicomio era coatta, non veniva mai storicizzata la vita della paziente e poteva essere dimessa solo grazie alla firma di un tutore, il padre o il marito che non prevedevano la possibilità di liberare quelle donne. Franco Basaglia parlò di pazienti cronicizzati perché rinchiusi o mai curati, parlò di una realtà mortificante e disumana. Non potendo ottenere un cambiamento istituzionale, mentre oramai avevano reso noto la nudità del re, praticarono dimissioni in massa. Tutto il personale rifiutò di continuare a lavorare in quel luogo e il gesto, tanto eclatante quanto necessario, diede l’ultima spinta ad un ripensamento del quadro sanitario nazionale e alla chiusura dei manicomi. Nei primi tempi in cui i manicomi furono dismessi i vecchi tromboni della medicina non fecero altro che spostare i pazienti negli ospedali comuni, alcuni in reparti che vennero definiti psichiatrici, dove comunque veniva praticato il Tso, a porte chiuse, ancora oggi blindate, sebbene il comportamento dei medici e degli infermieri sia in parte cambiato, altri in medicina generale o in geriatria perché non sapevano dove metterli. Non furono mai chiusi i manicomi criminali che resistono nelle prigioni per criminali trattati con farmaci e metodi di cui ancora oggi non siamo completamente a conoscenza. Il garante per i detenuti e politici che hanno tentato di visitare quei reparti ne sono venuti fuori disgustati.

La donna delinquente, la prostituta e la donna normale secondo Lombroso (definito “padre” della criminologia – puach!)

Nel frattempo Il paziente psichiatrico non venne più schedato in questura, l’adulto non ha bisogno di un tutore patriarca per essere dimesso; si sono realizzate, grazie alla volontà di regioni più evolute (rispetto ad altre) case in cui convivono malati la cui osservazione è delegata ai centri di salute mentale territoriale, sono nate le comunità di recupero per diversi disturbi, incluse le dipendenze da alcol e sostanze, i servizi sociali agiscono assieme a psichiatri territoriali per tentare il reinserimento sociale del paziente. Questo sulla carta. Ciò che avviene di regione in regione è ovviamente diverso ma lo stigma non è mai stato completamente cancellato e resta il marchio, quel giudizio di valore che rende un paziente psichiatrico diverso dalla gente cosiddetta “normale”, ovvero che rispetta le norme. Ancora adesso un paziente psichiatrico è trattato a volte come un problema di ordine pubblico, viene praticata la contenzione, la legatura, per sanare l’ansia del personale sanitario più che per il bene dello stesso paziente, qualche vecchio psichiatra nostalgico ha ripreso a parlare di elettroshock (la chiamano terapia elettroconvulsivante) per donne in depressione post partum o depresse in generale, affinché le donne siano restituite alla vitale e attiva efficienza domestica e di cura. 

Contenzione in passato

La figura dello psichiatra viene ancora associata ai crimini, con perizie richieste dai tribunali per sgravare pene a stupratori e assassini. C’è chi attraverso lo psichiatra esige di poter conferire alla donna il marchio della deviata per non farle ottenere l’affido dei figli durante le separazioni giudiziarie in cui l’ex marito è accusato di violenza domestica e affini. 

Se una persona commette crimini di un certo tipo si continua ad usare il termine “psicopatico”, mentre noi continuiamo a dire che lo stupratore o il femminicida non è malato ma figlio della cultura patriarcale. La malattia mentale viene tirata in ballo anche per insultare qualcuno. Per le opinioni che esprimi, per le idee che esponi, qualcuno potrebbe definirti malata, pazza, deviata. Ancora peggio se dichiari di soffrire di un disturbo mentale e comunque vuoi riappropriarti del diritto a esprimere la tua voce su ciò che ti interessa. Se da un lato disconoscono il lato debilitante, invalidante, della tua malattia, dall’altro enunciano teoremi sull’inaffidabilità dei tuoi pensieri e delle tue parole. 

Contenzione nel presente

Se i fascisti andassero al governo le cose si aggraverebbero ancora di più. Pensate al numero dei libri messi al rogo perché scritti da persone affette da disturbi mentali (moltissime). Arte e letteratura sarebbero mutilati di voci importanti che hanno scosso le fondamenta di un sistema autoritario che resiste e insiste nel reprimere coscienze e lotte per le libertà. Se i fascisti fossero al governo torneremmo al tempo in cui il gene della devianza verrebbe rintracciato da movenze e abbigliamento. Tutto in nome del mantenimento dell’ordine costituito. Perché una persona che manifesta una malattia mentale è una responsabilità della società. Un disturbo non è una colpa. Rinviare ai pazienti per colpe e responsabilità è uguale a criminalizzarli e quindi a considerarli ottime cavie per nuove torture e reclusioni. Per gente fascista pensate che ogni cultura differente, ogni religione diversa, ogni diverso modo di pensare è indice di devianza e innescare odio contro tutto ciò è il primo passo per la disumanizzazione, per la legittimazione della perdita di empatia e per la violenza. Se la storia può insegnarci qualcosa invito tutti a studiare. Andate a leggere com’era e poi chiedetevi se effettivamente sia cambiato tutto o se non stiamo tornando indietro. Sono depressa e bulimica, orgogliosa di essere antifascista e antiautoritaria. E voi?

Eretica Antonella

Ps: i fascisti che parlano di devianze e gente sana (il fascino fascista e la banalità del male) dovrebbero ricordare quel che i vari fascisti nel mondo e i nazisti fecero a tante persone malate di mente (razzismo, sessismo, stigmi contro le disabilità, tutto al prezzo di uno)

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