La mia era una famiglia disfunzionale che attribuiva al cibo una funzione compensativa per colmare abbandoni e carenze affettive e soprattutto le violenze che venivano esercitate da mio padre e taciute da mia madre. Sedere a tavola durante il pranzo era una tortura perché non si poteva lasciare un briciolo di nulla sul piatto, pena una punizione col corporale, lo sganassone di mio padre e l’insistenza di mia madre che continuava a chiedere se ne volessimo ancora. Mia madre era anche una compratrice compulsiva di qualunque nuova marca di merendine immesse sul mercato che in genere mangiava dopo aver fatto finta di essere l’agnello sacrificale familiare che rinunciava alle parti buone delle pietanze per poi abbuffarsi di sera e infine assumere lassativi come fossero pillole della buonanotte. Questo comportamento c’è stato ovviamente trasmesso e almeno per me è diventato deleterio perché al cibo attribuivo un piacere e una compensazione legittimati in famiglia e uniti al fatto che mangiare tutto significava essere una brava bambina, non prendere sganassoni, forse guadagnarsi un po’ di affetto. Nel frattempo cominciavo a manifestare ritenzione idrica nelle cosce già a 9 anni perché fino a tardi facevo la pipì a letto e il medico, furbo, prescrisse qualcosa per farmi trattenere liquidi.
La mia costituzione non era longilinea, ereditavo i geni familiari, mediterranei, sarei diventata una adolescente formosa ma prima ancora ero una bambina con le gambe spesse rispetto al resto del corpo. So con quanta fatica poi ho riequilibrato le proporzioni facendo danza e ginnastica allo sfinimento durante l’adolescenza. Mi restava un culo grosso ma sembrava non dar fastidio a nessuno mentre la mia stessa sorella mi sfotteva dicendo che avevo dei tronchi d’albero al posto delle gambe. Tutti questi deprezzamenti mi indussero nell’adolescenza a iniziare diete impossibili e ad arrivare quasi all’anoressia. Ma di questo parlerò dopo. Perché mi pare necessario raccontare come i disturbi alimentari non arrivino da soli ma si sviluppano in un contesto che li alimenta, prima la famiglia, poi la società con i modelli estetici impossibili. C’era anche la faccenda del sentirci colonizzate nel corpo, siciliane con i culi all’africana che non erano di altezza superiore ad una media di 1,60, che sfogliando riviste di moda guardavano ragazze di 1,80 dalle gambe lunghe e dai corpi androgini che sembravano così tanto andare di moda. Non potevamo somigliare a loro neppure volendo, dunque potevamo solo sentirci difettose. Il rito dei pasti casalinghi era anche una dimostrazione di ruolo di genere ben interpretato quando da piccola mi insegnavano come cucinare al papà cose buone mentre lui mi premiava con un complimento, e lui non era affatto prodigo di complimenti. Fare di tutto perché ti vogliano bene vuol dire affondare i denti e prendere a morsi il mondo se serve e sviluppare una fame da morire che è di affetto colmata con altre innumerevoli sostanze rintracciate a casa.
Probabilmente il mio metabolismo non era dei migliori e non ero affatto una bambina pigra perché oltre la scuola dovevo ripulire la casa da cima a fondo, inclusi due piani di scale più volte attraversati saltellando. In ogni caso prendevo peso e sono rimasta in un peso forma adolescenziale per lungo tempo tra abbuffate e attività compensatorie molto a lungo fino a toccare una magrezza che per chi soffre di anoressia significa toccarsi le ossa, visibili quando ti guardi allo specchio, riuscire ad afferrare il giro vita con due mani e osservare l’ampiezza delle cosce dispiacendosi per quei muscoli che vorresti non avere. Da mia madre ho ereditato grandi polpacci e da mia zia la cellulite. Nessun digiuno poteva risolvere il problema. Quando mi addormentavo, da piccola, sognavo di risvegliarmi corretta nei difetti che ritenevo dovessero essere eliminati. L’ossessione è già un disturbo, sentirsi poco amate e apprezzate solo quando a tavola il tuo piatto pieno viene consumato diventa doloroso. Tuttavia non sono mai riuscita a vomitare.
Come mia madre prendevo lassativi e poi andavo su e giù per quelle scale dai gradini alti al punto da massacrarmi le ginocchia. Eppure tutti dicevano che ero una bella bambina, ancora di più perché stranamente i miei tratti erano nordici, chiari i colori, gli occhi azzurrissimi. Quel che non funzionava era nel mio modo di guardarmi attraverso lo specchio. Vedevo una creatura non amabile, così come mi facevano sentire a casa. Quando arrivai al tempo delle mestruazioni e in poco tempo sviluppai l’altezza le mie forme divennero più proporzionate ma ancora non bastava. Da lì inizia il periodo anoressico alternato ad abbuffate e poi alla fatica di compensare con attività fisica che consumasse le calorie in eccesso. Il piacere derivato dal fatto di mangiare dolci diventava senso di colpa e poi sofferenza. Una sofferenza che mi porto dietro ancora oggi che sono oltre la menopausa. Perché ogni trattamento o terapia non aggiustano le cose ma ti insegnano a conviverci. Questo almeno è quello che ho capito nel frattempo. Al prossimo post, con l’adolescenza e la magrezza.
Eretica Antonella