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Se anche la malattia è tutta colpa mia

Lei scrive:

ti seguo con interesse da anni. Vorrei condividere la mia storia, se avrai la pazienza di leggerla. Perché so che forse, almeno tu, non mi giudicherai. Ho provato a farlo con un’altra persona prima di te, ma lei mi ha giudicata eccome.

Mi viene sempre in mente un proverbio giapponese che dice: se cadi sette volte, rialzati otto. Vorrei chiedere all’antico saggio giapponese dopo quante volte sia lecito non rialzarsi più.
Nessuno sembra chiedersi cosa succede da grande a una persona che subisce abusi fin da piccola. Evidentemente le persone guardano troppi film hollywoodiani col lieto fine, dove basta un po’ di caparbietà e resilienza per ottenere qualsiasi cosa e per cambiare la propria vita. La realtà è ben diversa. Mio padre è una persona violenta e profondamente disturbata. Mia madre era una persona fragile. Non mi ha mai difeso nei confronti degli abusi di mio padre. Forse perché non ne era in grado. O forse perchè, anche se in maniera diversa, era un po’ abusante anche lei. I miei parenti, sia da una parte che dall’altra, hanno sempre fatto finta di non vedere. Anche se, silenziosamente, disprezzavano mio padre. Ma non era affar loro. Non erano affar loro le sue offese, le sue urla, i suoi schiaffi, le sue palpatine al sedere. Chissà perché la vergogna invece di essere del violento, ricade sulla vittima. Ero io quella che si doveva vergognare. Era mia la colpa di tutto.

Non ho mai mangiato. “Inappetente” venivo definita dai medici fin da piccolissima. Nessuno, né i medici, né gli insegnanti si sono mai chiesti il perché. A scuola ne ho subito tanto di bullismo. Ma non era niente rispetto a quello che subivo dentro casa. Pallida ed emaciata, con due occhiaie da far spavento, me ne sono sentita dire di tutti i colori: “fai schifo”, “scheletro”, “mostro” erano cose che mi sentivo dire giornalmente.  Anche se, più di una volta, quegli stessi ragazzini problematici che mi prendevano in giro per il mio aspetto, smettevano di farlo e tentavano di capire: “perché sei così magra e pallida? Perché non mangi?”. Gli stessi bulli provavano pena per me. Volevano capire. La mia sofferenza era evidente perfino per loro. Non capivo neanche io il perché non mangiassi. Non volevo dimagrire, tutt’altro. Ho iniziato a soffrire di depressione e ansia in adolescenza. Senza capire il perché. Eh già, perché per me gli abusi erano la normalità. Non si nasce consapevoli. Se cresci in una famiglia come la mia e non hai nessun aiuto esterno, pensi semplicemente di meritarti quello che ti accade.Ti viene addossata la colpa di tutto. E tu ti senti in colpa di tutto. Nel mio caso, l’esterno non ha aiutato molto e neanche il destino. A vent’anni vado a vivere in un altro paese.

Trovo un lavoro, mi iscrivo all’università. In poche settimane divento normopeso. Per la prima volta in vita mia. A 17 anni pesavo meno di 40 chili. Ora finalmente 55. Provo speranza per la prima volta in vita mia. Dura poco. Mia madre si riammala di cancro. Già si era ammalata quando facevo le medie. La situazione è grave. Io torno in Italia. Le sorelle di mia madre si presentano per 2 weekend al mese e fanno del loro meglio per farmi sentire in colpa se esco e cerco di distrarmi. Io comincio a vomitare tutte le mattine per l’ansia. Non riesco più a mangiare. Riperdo peso. Un pomeriggio mi addormento sul divano. Nel dormiveglia sento un mio cugino dire al fratello ridacchiando: “guardala, sembra una larva”. Mia madre muore. Mio padre diventa sempre più violento. Sempre più schifoso. Io non riesco a dormire la notte, mi devo chiudere a chiave in camera. Perdo sempre più peso e perdo anche il lavoro temporaneo. Riesco a scappare di nuovo da un’altra parte. Ma non sono più la stessa. Ho i nervi logori. Oltre alla depressione e l’ansia, divento ossessivo-compulsiva. Riesco sempre meno a tenermi lavori, riesco a farmi sempre meno amicizie, subisco mobbing. Mi sento male fisicamente.Torno a casa per dei controlli sperando di poter ripartire. Scopro di avere anche io il cancro. L’ennesima mazzata. Ho paura a stare in casa con mio padre. Mi rivolgo a tutti i centri che mi vengono in mente, inclusi quelli antiviolenza.

Mi dicono che non possono ospitarmi perché hanno pochi fondi e si occupano solo di madri che rischiano di essere ammazzate dai loro ex. Le risorse in Italia sono quelle che sono. Chiedo perfino alle suore. Chiedo a tutti quelli che mi vengono in mente. Gli unici ad aiutarmi sono i medici, grazie alla psico-oncologa dell’ospedale. Mi consentono di rimanere in osservazione all’ospedale per un paio di giorni dopo ogni infusione di chemioterapia. Più di questo non possono fare. “Fortuna” vuole che mio padre nel frattempo si stia facendo una storia con la badante di mia nonna. Non vuole che si sappia (lei è sposata) e quindi va a vivere da un’altra parte. Senza però dimenticare di logorarmi i nervi prima di ogni chemio. I miei mini-ricoveri all’ospedale diventano quasi una vacanza. Ho persone che si prendono cura di me. Mi vengono a trovare i volontari dell’ospedale. La psicologa. I parenti degli altri malati. Il resto del tempo sono a casa da sola e mi prendo cura di me da sola, come sempre. Cucino, vado a fare la spesa. Nonostante gli effetti collaterali e l’astenia della chemio, aggravati anche dal caldo estivo. Le sorelle di mia madre vengono per esattamente 24 ore, alla seconda chemio. Le sento dire che “in fondo non sto così male”. Una dice che ha il gatto a cui pensare. Mia cugina dice che non ha tempo. Taglio i ponti con tutti i parenti. Avrei dovuto farlo prima.
E poi.

E poi ho provato a rialzarmi, a cercare un lavoro, a cercare amicizie al di fuori dell’ospedale. Ma come si fa con i controlli serrati? Come si fa con i nervi sempre più logori e con una depressione che nel frattempo è diventata maggiore? Come si fa quando a un colloquio di lavoro (per invalidi) ti senti dire che se vuoi il lavoro (sottopagato) dovresti evitare di assentarti per i controlli oncologici? Come si fa quando più passano gli anni, meno rispondono ai tuoi curriculum? Come si fa quando ti dicono: visto che conosci le lingue puoi farmi queste traduzioni gratis per arricchire il tuo curriculum? Come si fa con il cuore sempre più in pezzi perché l’unica certezza che hai maturato negli anni è che a nessuno frega di te?

Ora ho più di 40 anni e non ho una vita. Non ho un più un lavoro, non ho amicizie, non ho una relazione da più di 10 anni. Sono una persona invisibile. Sempre più depressa. Sempre più ossessivo-compulsiva. Vivo nella stessa casa ora piena di muffa, di crepe, con un impianto elettrico che ha sessantanni e uno idraulico arrugginito e altrettanto vecchio. Oltre alla pensione di invalidità mensile di nemmeno 300 euro mensili (che l’inps ha anche cercato di togliermi, fortunatamente non riuscendoci), qualche soldo me lo passa mio padre. Ovviamente solo quel tanto che mi basta per sopravvivere, così da poter dire davanti agli altri che lui è un buon padre e che io sono una scansafatiche. E fa sì che io non riceva neanche empatia. Perché se ti fai “mantenere” dal tuo aguzzino, in fondo in fondo vuol dire che ti va bene così. Talmente bene che mi sono riammalata. Di un altro tipo di tumore. Non so quanto riuscirò ad affrontare anche questo da sola. Non so come farò a superare un’operazione e i postumi di un’operazione. E non so neanche cosa mi aspetterà dopo. E non so quanto ne valga la pena con una vita come la mia. Sono una persona invisibile, sola e malata. E non ho nessuno a cui importi qualcosa perché in fondo, è tutta colpa mia.
 Ti ringrazio per quello che fai.
Un saluto

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2 pensieri su “Se anche la malattia è tutta colpa mia”

  1. tesoro. per quanto non serva a niente e lo so, ti mando un abbraccio fortissimo. se puoi e se vuoi , cerca di non mollare. e… a proposito :non è assolutamente colpa tua. è l unica certezza che posso darti. margherita

  2. Il tuo testo è un’opera fantastica. Hai trovato la capacità e il coraggio di raccontare e dire quello che hai vissuto e che senti. Sei stata anche sfortunata e non hai un temperamento dominante come la maggior parte delle persone, come me. Non sei sola. Siamo tutti soli. Alcuni si illudono. E io so che nella sofferenza e nelle solitudine Tu, come me, troveremo la pace e la serenità dell’accettazione molto prima del popolo di chi nega la solitudine e la malattia per poi farsi sorprendere dall’evento naturale assoluto (e quindi più negato e nascosto) la propria morte, inevitabile e certa. Ma questo non vuol essere un commento triste e mortifero bensì una esortazione alla consapevolezza. Della quale Te sei maestra. La consapevolezza insegna ad apprezzare la gioia delle piccole cose proprio perché se ne conosce profondamente la natura. Esercizio sconosciuto a chi nega: accontentarsi…

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