Antiautoritarismo, Autodeterminazione, Critica femminista, Il Femminismo secondo la Depressa Sobria, R-Esistenze, Violenza

Mai forzare una vittima a uscire dalla violenza

Prima bisogna metabolizzare il distacco, poi imparare a scindere la dipendenza, infine bisogna superare l’idea di poter ancora riparare qualcosa. Non è semplice uscire dalla violenza. Non lo è affatto. Se si trattasse semplicemente di fare una denuncia non ci sarebbe bisogno di assistenza psicologica. Perché se non hai concluso dentro di te quel rapporto, se non hai finito di analizzare e rivedere possibili altre vie, non si può andare avanti. C’è un percorso di guarigione interiore che viene prima di qualunque possibile via di fuoriuscita dalla violenza e quella guarigione è dolorosa, implica un bilancio di un fallimento che vuoi o non vuoi pesa sulle tue spalle perché tu c’eri ma non te ne sei accorta e ti senti in colpa. Quando smetti di sentirti in colpa forse recuperi coraggio.

Il percorso di fuori uscita dalla violenza non è così semplice come si può pensare. Non è semplice cancellare la dipendenza da un giorno all’altro o fare una denuncia. E’ un insieme di soluzioni che chi si occupa di questo sceglie con la donna che vuole sottrarsi alla violenza in modo graduale, a partire dalle questioni principali, la sicurezza della vittima, la sua possibilità di sostentamento, il reinserimento nel lavoro se non ha lavorato per lungo tempo. Serve anche un’analisi psicologica per comprendere i tempi e i modi in cui tutto ciò possa avvenire senza che la vittima abbia la possibilità o l’idea di voler tornare indietro alle certezze del suo vecchio rapporto violento, immaginando ancora di poter avere il controllo su qualcosa quando di controllo non ne ha affatto. Obbligare una vittima alla denuncia, per esempio, senza aver prima compiuto alcuni passi necessari che la aiutino a separarsi dalla vecchia vita è come dire che dovrai aspettarti che quella denuncia sia ritirata. Succede più spesso di quel che si crede perché il distacco avviene prima in termini psicologici e poi attraverso strumenti differenti. Se la vittima ritiene di sentirsi legata al carnefice non sarà semplice che lei denunci. Più semplice è indurla a farsi domande su quel che vuole per sé, se è felice adesso o cosa vorrebbe per il suo futuro, cosa potrebbe servire per costruirlo. Di mezzo ci sono sempre soldi, lavoro, reddito e casa, perché se una donna non ha scelta rimarrà col suo carnefice anche a costo della propria vita. E nessuno ti offre una casa e un lavoro su due piedi, dandoti certezza del futuro. Nessuno riuscirà a scindere una co-dipendenza con la forza. Ecco perché serve pazienza.  

Un rapporto è alla fine ma la co-dipendenza è difficile da scindersi. Un rapporto violento si basa su alcuni elementi precisi. Il primo è il fatto che ti rende dipendente dalla persona da cui devi difenderti. Secondo se non sei autonoma e in grado di sostentarti non sai dove andare. Terzo anche se potresti abbandonare tutto si dice che è sempre meglio il male che conosci che il nuovo che non conosci affatto e dunque resti con almeno una certezza invece di smontarle tutte e tutte insieme. La dipendenza demolisce la tua autostima e ti rende difficile anche solo l’idea di denunciare, ci sono poi le volte in cui non lo vuoi fare perché non sta nel tuo dna farlo e in ogni caso sai che se non risolvi la conclusione del rapporto interiormente tutto il resto non porta a nulla. Se non compissi quel percorso fondamentale pur avendo fatto una denuncia la ritireresti. Non sono pochi i casi infatti di donne che denunciano e che poi ritirano perché non hanno concluso quel rapporto con sé stesse. La dipendenza poi ti toglie la possibilità di immaginare un futuro senza quella persona. Immagini che senza non potrai vivere o che non potrai mai più piacere a nessuno e anche se non ti interessasse questo aspetto quel che ti manca è una prospettiva di futuro, il fatto di reinventarsi, avendo lasciato qualcosa che senti in sospeso. Perciò non si può mai forzare qualcuno a denunciare perché non è quello che aiuta in dinamiche del genere.

Aiuta invece il fatto di far sentire la vittima supportata, mai da sola, con degli interventi che possono essere elaborati man mano che procede la sua presa di coscienza del rapporto finito. Elaborare il lutto è la cosa più difficile e non si può passare oltre senza averlo fatto. Questo momento di lutto va gestito accompagnando la vittima nel suo viaggio interiore. Senza quel viaggio lei non riuscirà comunque ad andare avanti e a staccarsi dal pensiero di avere qualche colpa o responsabilità di quello che ha subito. E’ importante anche capire se la donna abbia o meno legami familiari   che la supportino perché è possibile che non li abbia e sia completamente sola. Se è così il partner sarà per lei l’unico legame familiare che le resta e lo considererà sotto questa luce e non come un semplice uomo da cui difendersi. Tutto quello che va fatto deve essere deciso con la vittima diversamente si sentirà sovradeterminata ed è fondamentale che la sua autodeterminazione sia rispettata.

Molto spesso la foga paternalista insiste per la separazione coatta tra vittima e carnefice e quel che ottiene è esattamente il contrario di ciò che voleva. La vittima va protetta da se stessa prima che dall’altro perché in lei risiede ancora quel legame che la spingerà ad un ultimo appuntamento, a cedere un’altra volta, a fare marcia indietro, a pentirsi delle azioni compiute se troppo veloci e definitive. Serve la sensibilità di chi opera nei centri antiviolenza per aiutare una vittima a compiere quel percorso necessario affinché la vittima stessa sia pronta a liberarsi e poi andare avanti. Un paternalista vorrebbe salvarla dal carnefice. Una donna che sa come funziona questa situazione sa che lei deve salvarsi da sola, piano e con i propri tempi.  Quindi fondamentale è la pazienza, non siate precipitosi/e, rispettate i tempi e i modi che la vittima sceglierà per tirarsi fuori da una situazione di violenza. Datele aiuto e fate in modo che lo chieda non alle vostre condizioni ma alle sue.

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