Sono nata con una vagina quindi sono una puttana. Così mi hanno chiamato a scuola, per le strade, nei luoghi di lavoro, perfino nelle relazioni con uomini che dicevano di amarmi. Se non fossi nata con una vagina cosa ne sarebbe stato di me? Sarei diventata forse un uomo stupido e volgare, compiaciuto per ogni battuta sessista contro le donne? Non posso saperlo ma quel che so è che l’educazione della fanciulla non è uguale a quella del fanciullo. Io non so cose di scienza, quel che dicono dottori che descrivono differenze di sesso e differenze caratteriali. Ho conosciuto donne e uomini stronzi. Ho conosciuto persone perbene, uomini o donne. Per me non fa alcuna differenza. In quanto all’attrazione sessuale si è aperta in me una opportunità quando oltre al piacere provato con l’uomo ho conosciuto quello provato con una donna. Non so chi sono, cosa sono. Non so niente. Eppure tutti sembrano sapere così tanto di me. Mi attribuiscono difetti e pregi, mi definiscono brava o inetta, giusta o cattiva, incapace o competente. Non dipende forse tutto dalla mentalità della persona che pronuncia simili giudizi? Di certo non dipende da me. Io sono sempre uguale, non mi travesto, non recito, non adopero linguaggi diversi a seconda della persona che incontro. Dunque sono loro ad avere diversi punti di vista e io sono il punto fermo, il mio solo ed unico punto fermo.
Ho una vagina e dunque sono puttana e magari avessi capito prima questa cosa, per scacciare i molesti sfottendoli con battute sui loro cazzi mosci. Magari avessi avuto il coraggio di sembrare scurrile, di usare parole forti ridicolizzando chiunque veniva da me a lasciarmi un po’ di saliva sul collo. A noi con la vagina non è dato il diritto di giudicare la capacità sessuale di quei maschi. Loro soltanto possono e quando lo fanno stroncano o promuovono vite, senza badare alle conseguenze. Mi sono accorta del nome che gli altri avevano scelto per me quando a undici anni io rifiutai di baciare uno stronzo, brutto, pallido e con il fiato che sapeva di topo morto. Troia, urlò. Avrei dovuto seppellirlo di insulti, urlargli contro il mio disprezzo, descrivere tutti i motivi per cui a lui, sì, proprio a lui, un bacio non l’avrei mai dato. Invece sono scappata, vergognandomi, colpevole, per aver attirato troppa attenzione su di me. E mentre scappavo speravo che mio padre non lo sapesse mai altrimenti avrei preso legnate fino al giorno dopo.
Essere puttana inconsapevole diventa un impedimento in ogni cosa. Non sai quanto vali e che strumenti potresti usare per ottenere le cose. Non sai come rivolgerti a certi figli di stronzi e non sai neppure il perché rimani sola, lì, a piangere, dopo che il bullo della scuola è riuscito a tirarti su la maglia e ti ha visto a petto nudo. Petto e non seno, dato che a quell’età il seno non ce l’avevo ancora. Se fossi stata puttana consapevole avrei rincorso lui per vedere il cazzo moscio o il suo culo peloso. Ma non sono mai stata così temeraria. E me ne pento. Però rifletto. La puttana consapevole sa alzare la voce e urlare quando serve. Se un viscido strofina il pene sulla tua gamba mentre stai viaggiando in autobus egli meriterebbe che tutti sapessero. Invece io mi spostavo, seguendo i consigli di mia madre: non dare mai a nessuno l’occasione per aggredirti. E questo comprendeva la legittima difesa. Perciò restare immobile, spostarmi, zittirmi, far finta di niente o far finta di dormire se qualcuno allungava una mano per toccarti, era la migliore strategia. Migliore un cazzo. Avessi saputo allora quel che so adesso avrei rovesciato fiumi di merda contro ogni stronzo pervertito, maniaco e idiota.
Ma alle donne si insegna che è meglio subire in silenzio. Invece le puttane si ribellano, perché hanno dato un prezzo a quello che tutti vogliono vedere o toccare. E se quel prezzo non viene pagato una puttana si ribella. Allora avrei voluto essere puttana nel nome e nei fatti. Fregarmene delle maldicenze, di far bella figura, di indossare abiti provocanti, di essere qualunque cosa e chiunque volessi essere. E dato che non esiste la terra delle seconde occasioni posso solo sperare che quel che scrivo venga letto da qualcuna che domani si mostrerà più furba di me.
Mi hanno detto che le donne sono arrendevoli e fragili, sensibili e adorabili, come fiori che muoiono appena colti. Mi hanno detto che le donne non possono fare quel che fanno gli uomini. Volevano dire che gli uomini non possono fare quel che fanno le donne: non possono fare figli, ecco cosa. Ma questo non è abbastanza, perciò indagherò a fondo il perché di ogni violenza subita. Lo farò ragionando da puttana, senza timidezze e pudori, dando un valore a quel che mi hanno tolto e mi toglieranno ancora. Lo farò con la rabbia che ho represso fino ad ora, per fare male ad altri invece che a me stessa. Perché è così che ho agito nel tempo. Milioni di azioni di autolesionismo, tante rinunce, pianti, finzioni, vergogna e depressione e paura, una fottuta paura di farmi avvicinare da chiunque, giacché la vicinanza significava scorgere la mia vulnerabilità e dunque avere la possibilità di farmi male. Molto male.
Il male non è quello che vi raccontano negli horror o nelle messe religiose. Fare del male è semplice, basta ferire l’animo umano, ripescando quel che procura più dolore, l’attaccamento, l’abbandono, l’amore, la passione, la contraddizione, un’incoerenza. Si può ferire qualcuno senza vederlo sanguinare. Ogni ferita un passo indietro, ogni colpo un luogo d’ombra, finché si arriva nell’angolo buio dove ci si sente al sicuro, senza più dire, fare, pensare e baciare. Zitta, perché nessuno ti veda e se ti lasci notare quel che accadrà sarà solo colpa tua. E tutta qui la filosofia di quelli che ti danno della puttana senza aspettarsi che tu reagisca come se lo fossi per davvero.
Puttana con orgoglio, che non indietreggia, non tace, non acconsente se non vuole dar consenso, che non si rende invisibile per non causare l’appetito dei mostri. E’ lei che avanza, urla, di rabbia, con i pugni stretti, e man mano che si avvicina quel mostro famelico la vede diventare più grande, e lui più piccolo, talmente da dover alzare lo sguardo per vedere di lei il passo deciso, l’espressione soddisfatta di chi ha lottato e vinto. Non sempre, certo. A volte ha lottato e perso. Di puttane morte sono pieni i mondi. Ma almeno hanno lottano. Invece io? Bambina timida a scuola, arrossivo se il compagno mi toccava la gonna, correvo a casa spaventata anche solo dopo aver visto un’ombra. Sempre piena di paure, malata di terrore, malata di inerzia, infine.
Quante saranno state le volte in cui da sola, allo specchio, provavo discorsi mai detti, risposte non date, fingendomi più tosta di quello che ero. Quante volte ho finto sicurezza perché avevo digiunato per giorni per raggiungere un peso che mi avrebbe dato un aspetto migliore. Migliore secondo chi? Secondo gli altri o forse secondo me, con il mio occhio malato, la visione distorta e i miei pensieri colmi di ansia, per poter essere solo accettata. Per poter essere solo amata. Non è questo quello che tutti alla fine vogliono? Riflettersi nell’altro e vedersi migliore, anche solo per un attimo, e per quell’attimo ti senti invincibile, sicura, piena di stima e di valore e potresti tenere il mondo in una mano e lanciarlo lontano se solo volessi. Ma essere una puttana inconsapevole ti toglie tutto. La forza, la stima, il valore, la sicurezza, l’invincibilità.
Così mi permetto per una volta di ascoltare me stessa, cosa che avrei dovuto fare tanto tempo fa, per poter mandare a fare in culo tutti i coglioni che pensano di poter governare la vita delle donne senza pagarne le conseguenze. Posso rimettere in sesto la mia vita operando cambiamenti nei miei ricordi e adorarmi mentre sfotto lo stronzo che cerca di infilarmelo e non trova il buco o quell’altro idiota che cerca dov’è la clitoride e insiste nel leccare l’ombelico. Posso ricordare la volta in cui cacciai via l’uomo che mi chiamò puttana perché gli chiesi di non venire prima di me, per lasciare che il mio piacere scorresse assieme al suo. Posso gettar merda sul vecchio che mi palpava al lavoro e io lì ferma, paralizzata, come se non fossi neppure più io ma qualcun altra. Invece avrei dovuto dargli un calcio alle palle e lasciarlo soffrire, a terra, dolorante, picchiandolo ancora e ancora, per aver osato mettermi le mani addosso.
Se avessi fatto questo, se avessi reagito per ogni pugno preso, per ogni tortura inflitta, per ogni violenza subita, non starei oggi a contemplare il mondo da una finestra, in una stanza di reclusione con un post it attaccato alla parete con le parole del mio psicologo: ascolta te stessa. Ed è così che mi ascolto e quel che emerge è solo rabbia, per non aver fatto quello che avrei dovuto, per non aver reagito, per non aver dato una lezione a chi ha pensato di potermi mettere all’angolo. Invece mi sono piegata alla volontà altrui, ho succhiato cazzi che non avrei voluto succhiare, ho ingoiato sperma dal sapore orrendo e ancor più grave è che l’ho fatto gratis. Se potessi contare i soldi persi per ogni volta che ho dato via il culo o la vagina, per i pompini elargiti a chiunque mi mostrasse non dico amore ma anche solo attenzione. Come una cagna, in calore, ho agito senza pretendere nulla e poi pensavo di averlo scelto quando subivo cose che non volevo, perché sarebbe stato brutto lasciarli a mezzo. Palle doloranti, cazzo eretto, e tutte le fantastiche minchiate propinate da uomini che vogliono solo che tu li faccia eiaculare. Se mi fossi fatta pagare oggi sarei ricca, forse, o per lo meno avrei salvato il mio amor proprio. Invece ho solo sperato che venissero presto. Dai su, finisci presto, fingendo orgasmi che potevo meglio procurarmi da sola. E questa triste storia si conclude solo quando avrò bussato a ciascuno dei miei amanti a chiedergli quanto dovuto. Solo così forse saremo pari. E allora sarò puttana, puttana per davvero. Fiera e orgogliosa di esserlo, senza che altre femmine dabbene mi vengano a dire di non dettare queste parole, che mai nessuna possa leggerle, perché altrimenti l’ordine patriarcale andrebbe in frantumi. Invece quelle sono lì a reggere cazzi mosci e vecchi, continuando a far sembrare giusto quel che giusto non è. Continuando a spacciar per femminismo quello che è solo la riedizione riveduta e corretta delle raccomandazioni di mia nonna. Non farti notare, non troppo bella devi apparire, non stare da sola di notte per strada, non darla al primo venuto, sposati, fai figli, sii donna. E io donna lo sono stata e ditemi cosa mi ha restituito la vita. Un bel niente. Un benemerito cazzo di niente. Puttana è meglio, se sai cosa vuoi, se sai cosa vuoi dire e sai che non vorrai mai subire. Puttana è il mio nome e ora che so quel che significa lo scelgo e me lo tengo. Potendo contemplare dall’alto la fragilità degli uomini e la paura delle donne. Potendo diventare artefice del mio destino, senza per questo dover fare pompini gratis a nessuno. Sono così puttana che potrei inventare un mondo nuovo fatto per noi. Ed è di quel mondo che da ora in poi vi parlerò.
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