Pensieri Liberi, Personale/Politico, Precarietà, R-Esistenze

Cronache postpsichiatriche: storia di un matrimonio

Appunti per la mia autobiografia.

Quando si vuole restare integri rispetto ad una situazione traumatica capita di frammentare i ricordi, di cogliere la parzialità di un evento. Capita, anche involontariamente, di imporre l’alterazione della percezione altrui. Così mi è sembrato di vivere in tanti anni di matrimonio con un uomo buono e gentile che non riesce a tollerare di sentirsi in difetto, neppure un pochino. Ciò vuol dire che quando gli si rimprovera qualcosa egli nega o oppone un ricordo frammentato, parziale, per salvare se stesso. Non so perché o chi gli abbia detto che essere imperfetti sia un crimine. Io so che essere umani è una componente essenziale di ogni individuo ma il risultato è che per vent’anni ho discusso con un uomo perennemente sulla difensiva, come se dirgli “mescola la cipolla altrimenti si brucia” fosse una sorta di imputazione senza appello di un reato capitale.

Perciò ho dovuto bilanciare la sopportazione per la sua inesauribile insicurezza con tutte le altre cose di lui magnificamente perfette. Vent’anni con lui sono stati un incredibile viaggio di pazienza e speranza, di gioco e paura, di insegnamento e apprendimento reciproco. Questo giovane ragazzo dalla quieta sapienza si era innamorato della più appassionata idealista. Lui alle prime armi, io donna fatta e finita, ci siamo donati amore e comprensione inattesi. In lui ho trovato un supporto che mai avevo trovato neppure tra i membri della mia famiglia. A spingerlo era la passione, il terribile timore di perdermi, perché sapeva che non era il primo e che probabilmente non sarebbe stato neppure l’ultimo. Mi chiese con fervore di restare insieme, di stare con lui, di non lasciarlo mai. Pianse ad ogni litigio per il timore di vedermi partire e sparire dalla sua vita. Sapeva di me che se decido di troncare i rapporti non torno mai indietro. Dunque mi fece giurare e stragiurare di non lasciarlo, almeno per un po’, provare a vedere come andava e io provai. Essendo alle prime armi, temeva di sbagliare, odiava essere semplicemente consigliato sul percorso da fare. Se era alla guida dell’auto e gli dicevo di andare a destra lui, infuriato, piantava una frenata, perché nessuno poteva dirgli cosa fare. Nessuno poteva farlo sentire in difetto. Dunque quando avemmo rapporti sessuali e come mio solito, in modo diretto, chiesi esattamente quello che volevo, lui si sentì frustrato e così anch’io. Avrei voluto allora sapere quello che di lui so adesso. Non l’avrei lasciato solo a temere l’abbandono per qualunque errore pensava di aver commesso. Quello che per me era una normale discussione per lui era la fine del mondo. Quel che per me era un consiglio, su come non far bruciare le cipolle, per lui era un modo per sminuirlo.

Non è stato semplice e d’altronde non deve essere stato semplice neppure per lui, restare sfidando la sorte, con tanti sensi di colpa per ogni cipolla bruciata, come se ne andasse della sua stessa vita. Le relazioni hanno dei tempi precisi prima che l’intesa sia raggiunta. Io lo sapevo e pazientavo, perché mi era già successo. Lui non sapeva e pensava che tutto fosse perduto. Questa differenza, questo rapporto impari ha determinato una sorta di distacco. Da parte sua perché non voleva perdermi e sapeva che non tolleravo i tipi gelosi. Da parte mia pensavo che avesse capito e dunque fosse semplicemente felice così. Stiamo ancora discutendo sul perché siamo rimasti insieme vent”anni e sappiamo di dover arrivare al momento in cui diremo chiaramente perché è finita. Lui dice di saperlo. Dovrò ascoltarlo fino in fondo perché sia finita davvero. Dovrò ascoltare il suo punto di vista, quello che non ho ascoltato mentre depressa non ascoltavo neppure me stessa. Per cui questa mia terapia avrà un significato se assieme a me curerò la parte inascoltata di lui. Perché riesca ad andare avanti. Perché io non senta che vi sia nulla in sospeso.

Lasciarsi è un processo forse più lento che mettersi insieme. Merita più attenzione se si è nutrito dell’affetto per l’altra persona e io di bene gliene voglio tanto, come lui a me. Altrimenti oggi non starei in una stanza tutta per me in un appartamento il cui affitto è pagato dal suo sudore. Vorrei che ci dicessimo che è stato bello finché è durato e che non c’è rancore sopito o nulla da chiarire. Ecco perché mi impegno oggi ad ascoltare anche lui. Glielo devo. Lo devo anche a me stessa. E quel che sarà sarà.

Eretica Antonella

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