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Cronache postpsichiatriche: la scrittura come terapia

Appunti per la mia autobiografia.

Per offrirvi una sintesi cito l’immagine che ha dato di me la psicologa con cui ho sostenuto il colloquio prima che mi assegnasse un terapeuta adeguato ai miei disturbi.

L’immagine che la psicologa ha descritto di me è di una bambina che in mezzo alla guerra (metaforico) se ne resta in un cantuccio protetta nel proprio mondo fatto di libri e di scrittura. Ha detto che seppur nelle mie condizioni sono in grado di elaborare autoanalisi e che se non avessi usato la scrittura come mezzo terapeutico il mio cervello ora sarebbe rotto, in frantumi. La scrittura mi ha permesso di mantenerlo in qualche modo intero con crepe che la psicoterapia mi aiuterà a rimarginare.

Che la scrittura sia un mezzo terapeutico per chi soffre di disturbi mentali è stato detto e scritto molte volte. Non solo perché grandi scrittrici hanno arricchito la cultura con le proprie opere pur soffrendo di forme depressive, talvolta trattate con noncuranza o con metodi violenti come l’elettroshock. La scrittura è un mezzo di espressione artistica, se vogliamo, che permette a chi ne fa uso di produrre una sintesi dei propri stati d’animo. Questa sintesi può diventare poesia, racconto, romanzo, autobiografia. Lo sforzo di sintesi implica anche una elaborazione del vissuto traumatico. Un trauma elaborato può allora essere affrontato.

Per farvi un esempio: il mio trauma è costituito da un sasso enorme che non riesco a individuare o imbrigliare. Resiste dentro di me e provoca danni terribili. La scrittura ha la capacità di far vedere ciò che prima non ti era noto. Dunque individua e descrive il sasso, le sue dimensioni, le traiettorie che compie e l’elaborazione successiva ti permette di stabilire quali strategie usare per fermarlo, prenderlo, sgretolarlo.

Con i traumi è un po’ più complesso ma la sostanza resta la stessa. Non puoi lottare contro mostri dei quali non riconosci il volto. E qualunque mostro ha un volto. Qualunque. Da lì a prenderti la soddisfazione di dargli almeno un ceffone passa poco. In media mezzo secolo. Questo è il tempo che ho impiegato io per mantenermi viva e con un cervello ancora intero invece che frantumato. La sola fatica di tenere il cervello intero mi è costata anni e anni di scrittura. Se i traumi non si fossero sovrapposti, l’uno sull’altro, forse avrei impiegato meno tempo e starei meglio di come sto. Ma questa è la mia vita e dovrò accontentarmi delle risorse che mi offre per renderla migliore.

Scrivo sin dall’età di 6 anni. Parlo di vere e proprie storie e non di temi scolastici. La scrittura è parte di me. Ciò che non so dire potrò certamente scriverlo. Ancora oggi penso a dove potrei trovare una lapide cimiteriale (in origine era quella di mia nonna), tra cipressi e nel silenzio, dove poter poggiare il mio quaderno per scrivere una storia. Le storie che scrivevo da piccola erano voli di fantasia. Immaginavo di trovarmi in altri luoghi, altri paesi, certamente non in casa mia con mio padre che mi picchiava e mia madre che mi trattava da serva. Nell’adolescenza la scrittura prese la forma del diario, quello su cui puoi scrivere tutto ciò che senti e vivi, per cui soffri e piangi. Fungeva da compensazione. Dopo aver scritto mi sentivo più libera, potevo respirare meglio. Quello che consegnavo al diario restava nel diario. In me restava la consapevolezza di aver elaborato un trauma e di saperlo nominare. I miei diari furono bruciati dal mio ex marito. E lui non aveva mai letto Ray Bradbury. Però evidentemente intuiva il potere di quella scrittura.

Da adulta continuai a scrivere perché ne avevo bisogno, non potevo e non posso farne a meno. I miei pensieri diventano parole e le parole compongono un quadro espressivo nel quale chiunque può leggervi se stesso, se vuole. Ciò che voglio comunque dire è che la scrittura mi ha reso libera, tutte le volte in cui volevano imbrigliare la mia identità è la scrittura che mi ha portata in salvo. Ha creato per me un varco, calato una fune e organizzato un’evasione, tutte le volte che serviva. E per organizzare simili evasioni – e mi scuseranno i cultori della scrittura come arte – non serve scrivere conoscendo tutte le regole della sintassi. Se sai scrivere allora scrivi chi sei e cosa senti. Se non trovi le parole prendile in prestito. Se non credessi nel potere terapeutico della scrittura non avrei chiesto a tante persone di raccontare la propria storia sulla pagina facebook di Abbatto i Muri. Molte persone hanno poi detto di sentirsi sollevate perché scrivere di un trauma subito dà sollievo.

Dare un nome ai traumi, riconoscerli, guardarli bene, vederli prendere forma sotto l’influenza della tua penna è liberatorio. Perché la scrittura acquisisce la stessa velocità dei tuoi pensieri e quando questo avviene ti ritrovi a scrivere cose che forse neppure avresti immaginato di poter dire. Però sono lì, limpide, generose, donate a te, per il tuo benessere.

La metafora del cervello in frantumi come causa di traumi e dell’interezza serbata grazie alla scrittura può paragonarsi all’estraneamento dell’Io durante uno stupro. Quell’estraneamento ti permette di sopravvivere allo stupro grazie ad uno scudo che protegge la tua mente. Diversamente si potrebbe anche impazzire. Tante volte ho letto storie di donne che hanno subito uno stupro in cui spiegavamo che “era come se io non fossi lì”. Così siete sopravvissute. La scrittura in tempi di guerra, come quelli che ho vissuto sulla mia pelle, è stato il mio scudo supremo. Senza di esso oggi sarei un rottame, molto più di quel che sono. sarei probabilmente morta, dentro e forse anche fuori. Non che un tentato suicidio sia segno di vitalità ma non deve essere stato un caso se è avvenuto quando avevo smesso di scrivere. Smesso di parlare con me stessa, di parlarmi attraverso i miei scritti. Se avessi continuato a scrivere in tutti i momenti della mia depressione forse oggi sarei più forte. Quello che so è che “ho troppi ragni nella testa”, come mi disse un’amica, e la scrittura può permettermi di liberarli tutti. Perché se non scrivo, se i ragni restano lì, se la velocità della scrittura non corrisponde alla velocità dei miei pensieri quei ragni finiranno per mangiarmi il cervello.

La scrittura è anche uno strumento artisticamente flessibile per cui puoi parlare di te anche se stai raccontando del Conte depresso del pianeta di Depressolandia. Puoi esorcizzare i mostri uccidendoli tra una pagina e l’altra. Puoi amare te stessa, nell’amore che esprimi delineando un personaggio che definisce le parti migliori di te. Puoi analizzare te stessa descrivendo un protagonista che interpreterà la parte del cattivo e svelerà le tue contraddizioni e le tue incoerenze. Perché nessuno è mai lineare e neppure la scrittura lo è. Se la scrittura deve esserti utile come terapia dovrai liberarla da qualunque vincolo lessicale, sintattico, linguistico. Potrai esprimerti come vuoi purché tu scriva.

Ci sono altre forme di espressione, come la pittura e se sai dipingere buon per te. Io non so farlo dunque scrivo. Ma dubito che tu sappia disegnare e non scrivere. Perciò scrivimi su abbattoimuri@gmail.com e che la terapia collettiva abbia inizio.

Eretica Antonella

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